02 luglio 2025

1925-31: Politica immigratoria federale la legge del 1931

Facendo seguito all'articolo precedente, per completezza d’informazione mi sembra opportuno fornire ulteriori informazioni sulla legge federale che ha richiesto la modifica costituzionale approvata nel 1925 e che è stata alla base di gran parte della storia dell’immigrazione italiana in Svizzera. Poiché questa storia è stata vissuta male da molti italiani e sono ancora tanti coloro che la considerano una storia di sfruttamento e persino di violazione aggravata di fondamentali diritti dell’uomo, ritengo utile fornire ai lettori non prevenuti alcuni elementi oggettivi di giudizio sulla legge federale del 26 marzo 1931 concernente la dimora e il domicilio degli stranieri (LDDS), la legge organica che ha integrato e sostituito gran parte delle ordinanze concernenti gli stranieri emanate durante e subito dopo la prima guerra mondiale. Entrata in vigore il 1° gennaio 1934, è rimasta valida fino all'entrata in vigore della nuova legge sugli stranieri (1° gennaio 2008).

Il contesto

Anzitutto merita ricordare il contesto, ossia il primo dopoguerra, in cui gli svizzeri, pur non avendo partecipato alle operazioni militari hanno conosciuto insieme agli orrori della guerra il prezzo della libertà e dell’indipendenza. Successivamente, anch'essi subirono la difficile crisi del 1929-32, che colpì duramente l’industria d’esportazione, con conseguente aumento della disoccupazione (mentre ha tenuto l’economia interna, favorita dalla crescita dei consumi e dell'edilizia abitativa). Gli anni successivi fino al 1936 furono caratterizzati da una persistente stagnazione e un ulteriore aumento della disoccupazione, con decine di migliaia di disoccupati, che rischiava di aggravare le tensioni sociali ancora esistenti dopo lo sciopero generale del 1918 e la crisi del 1920-23.

Da queste esperienze trassero alcune conclusioni fondamentali:
1. Poiché la sovranità appartiene al popolo e ai Cantoni svizzeri, che insieme costituiscono la Confederazione, a questa spetta principalmente la lotta contro i pericoli di «inforestierimento» dovuti alla presenza di un numero eccessivo di stranieri.
2. Pertanto dev'essere di competenza della Confederazione e non dei Cantoni o dell’economia il controllo degli stranieri (permessi d’ingresso, permessi di dimora e di domicilio, naturalizzazione, integrazione (allora «assimilazione»).
3. Alla Confederazione spetta inoltre il compito di salvaguardare l’ordine pubblico, garantire la sicurezza dello Stato e rafforzare l’unità e l’identità nazionali.

Che la Confederazione abbia scelto la Polizia federale degli stranieri come strumento politico-burocratico per la gestione della politica immigratoria federale non dovrebbe meravigliare perché anche la Svizzera, come in generale tutti i Paesi industrializzati, almeno inizialmente ha visto l’ingresso e la dimora degli stranieri come un problema di ordine pubblico e comunque da tenere sotto controllo. Tanto più che all'epoca era molto diffusa la propaganda fascista a cui si sarebbe aggiunta poco dopo anche la propaganda nazista.

Non dovrebbe nemmeno meravigliare che la legge sia rimasta in vigore tanto a lungo, fino al 1° gennaio 2008, nonostante alcuni tentativi di abrogarla, falliti grazie all'ampio sostegno popolare, all'infondatezza delle accuse di xenofobia nei confronti delle autorità e all'efficacia della legge nel mantenere la pace sociale e la pace del lavoro. Nel frattempo, tuttavia, vennero introdotte diverse modifiche, richieste non solo ad esigenze interne (innovazione tecnologica nell'industria, cambio di mentalità sugli stranieri), ma anche ad esigenze degli immigrati, sempre più stanziali (domiciliati), nonché a pressioni internazionali (negoziati bilaterali).

Pregiudizi ingiustificati

Ciò che invece meraviglia è che qualche pseudo storico o sedicente esperto di migrazioni continui a parlare di una politica di sfruttamento con cui centinaia di migliaia di lavoratori soprattutto italiani siano stati alla mercé di datori di lavoro spietati, di organi dello Stato svizzero vessatori (Polizia degli stranieri), degli svizzeri come se tutti fossero razzisti e nonostante votassero contro le iniziative xenofobe, di rappresentanti diplomatici e consolari italiani più interessati alla loro tranquillità che al benessere dei connazionali, di attivisti politici e sindacali (specialmente svizzeri) solidali a parole e indifferenti in pratica.

Purtroppo questi detrattori seriali della politica immigratoria svizzera non s’interrogano mai sulla legittimità e costituzionalità di quella legge, altrimenti scoprirebbero che fu non solo legittima e costituzionale, ma anche democratica perché approvata all'unanimità dai rappresentanti del popolo e dei Cantoni. A molti di essi sfugge anche la considerazione che senza un rigido controllo degli ingressi e dei permessi di soggiorno degli stranieri, attratti dalla florida economia, il loro aumento illimitato avrebbe potuto pregiudicare la composizione etnica, linguistica, culturale, economica e persino politica della Svizzera, sarebbe stato difficile o forse impossibile conservare l’integrità nazionale e territoriale della Confederazione, rafforzare la fragile identità nazionale, promuovere il benessere generale e la sicurezza economica della popolazione, conformemente al senso e allo spirito della costituzione federale.

Purtroppo è stato invece sempre carente, a parere dello scrivente, il contributo al miglioramento della legge e della situazione degli immigrati da parte dell’immigrazione italiana organizzata, perché questa ha quasi sempre privilegiato la contestazione e quasi mai la proposta ragionevole e sostenibile, non ha scelto sempre gli strumenti più adeguati e non ha sempre sostenuto convintamente la via maestra dell’integrazione, non ha visto a lungo di buon occhio la tendenza alla naturalizzazione della seconda e poi della terza generazione. Ma non è questo l’ambito giusto per trattare questi temi.

Limiti della legge del 1931

Anche la legge sugli stranieri del 1931 può essere ovviamente criticata e a mio parere alcuni punti lo meritano perché avrebbe potuto essere opportunamente modificata, almeno dal momento in cui la politica svizzera si è resa conto che l’immigrazione stava diventando strutturale. Il legislatore avrebbe potuto (e forse dovuto) mitigare la rigidità dei permessi di soggiorno, intervenire contro gli abusi del permesso stagionale che creavano troppi «falsi stagionali», introdurre misure di sostegno all'integrazione senza aspettare le iniziative anti-stranieri di Schwarzenbach, facilitare la naturalizzazione della seconda generazione, superare la rigidità di una legge che era stata concepita e approvata per consentire alla Confederazione di lottare contro il pericolo dell’inforestierimento (Überfremdung), soprattutto quando la percentuale degli stranieri ha cominciato a decrescere (8,7% nel 1930).

La Svizzera si presentava ed era vista allora soprattutto
come meta «temporanea» (e precaria) di lavoro e di vita! 
L’articolo 4, per fare qualche esempio, avrebbe potuto essere eliminato o almeno riscritto dando per scontato che «l’autorità decide liberamente, nei limiti delle disposizioni di legge e dei trattati con l’estero, circa la concessione del permesso di dimora o di domicilio» e che non è obbligata al rinnovo dei permessi, qualora vengano meno le condizioni per le quali furono rilasciati. Perché insistere sul sentimento di precarietà già vissuto drammaticamente da molti immigrati?

Anche l’articolo 10 avrebbe potuto essere lasciato cadere o scritto diversamente senza elencare la nutrita casistica per cui gli stranieri indesiderati potevano essere espulsi (criminalità, malattia, indigenza (!), abuso dell’ospitalità svizzera con ripetute infrazioni gravi dell’ordine pubblico, ecc.).

L’articolo 16, giustificato nella sostanza, avrebbe potuto essere migliorato nella forma, anche per non ingenerare equivoci, inevitabili quando si dice genericamente che «nelle loro decisioni, le autorità competenti a concedere i permessi terranno conto degli interessi morali, economici del paese nonché dell’eccesso della popolazione straniera». Bastava forse dire che le nuove ammissioni dovranno avvenire tenendo presente la situazione del mercato del lavoro.

Tuttavia, il principale limite di questa legge è stato forse di mirare essenzialmente a «proteggere» gli interessi svizzeri (e i valori svizzeri contro il pericolo di un’invasione incontrollata di migranti eterogenei), trascurando, anche nell'interesse svizzero, il principio dell’integrazione degli stranieri, soprattutto di quelli residenti stabilmente. Purtroppo, solo lentamente, dopo il 1970, la politica è intervenuta a mitigare le difficili condizioni di vita degli stranieri e ad avviare lentamente l’integrazione, cominciando dalle seconde generazioni. Meglio tardi che mai?

Giovanni Longu
Berna 02.07.2025 

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