Facendo seguito all'articolo precedente, per completezza d’informazione mi sembra opportuno fornire ulteriori informazioni sulla legge federale che ha richiesto la modifica costituzionale approvata nel 1925 e che è stata alla base di gran parte della storia dell’immigrazione italiana in Svizzera. Poiché questa storia è stata vissuta male da molti italiani e sono ancora tanti coloro che la considerano una storia di sfruttamento e persino di violazione aggravata di fondamentali diritti dell’uomo, ritengo utile fornire ai lettori non prevenuti alcuni elementi oggettivi di giudizio sulla legge federale del 26 marzo 1931 concernente la dimora e il domicilio degli stranieri (LDDS), la legge organica che ha integrato e sostituito gran parte delle ordinanze concernenti gli stranieri emanate durante e subito dopo la prima guerra mondiale. Entrata in vigore il 1° gennaio 1934, è rimasta valida fino all'entrata in vigore della nuova legge sugli stranieri (1° gennaio 2008).
Il contesto
Da queste esperienze trassero alcune
conclusioni fondamentali:
1. Poiché la sovranità appartiene al popolo e ai Cantoni svizzeri, che insieme
costituiscono la Confederazione, a questa spetta principalmente la lotta contro
i pericoli di «inforestierimento» dovuti alla presenza di un numero eccessivo
di stranieri.
2. Pertanto dev'essere di competenza della Confederazione e non dei Cantoni o
dell’economia il controllo degli stranieri (permessi d’ingresso, permessi di
dimora e di domicilio, naturalizzazione, integrazione (allora «assimilazione»).
3. Alla Confederazione spetta inoltre il compito di salvaguardare l’ordine
pubblico, garantire la sicurezza dello Stato e rafforzare l’unità e l’identità
nazionali.
Che la Confederazione abbia scelto la Polizia federale degli
stranieri come strumento
politico-burocratico per la gestione della politica immigratoria federale non
dovrebbe meravigliare perché anche la Svizzera, come in generale tutti i Paesi
industrializzati, almeno inizialmente ha visto l’ingresso e la dimora degli
stranieri come un problema di ordine pubblico e comunque da tenere sotto
controllo. Tanto più che all'epoca era molto diffusa la propaganda fascista a
cui si sarebbe aggiunta poco dopo anche la propaganda nazista.
Non
dovrebbe nemmeno meravigliare che la legge sia rimasta in vigore tanto a lungo,
fino al 1° gennaio 2008, nonostante alcuni tentativi di abrogarla, falliti
grazie all'ampio sostegno popolare, all'infondatezza delle accuse di xenofobia
nei confronti delle autorità e all'efficacia della legge nel mantenere la pace
sociale e la pace del lavoro. Nel frattempo, tuttavia, vennero introdotte
diverse modifiche, richieste non solo ad esigenze interne (innovazione
tecnologica nell'industria, cambio di mentalità sugli stranieri), ma anche ad
esigenze degli immigrati, sempre più stanziali (domiciliati), nonché a
pressioni internazionali (negoziati bilaterali).
Pregiudizi ingiustificati
Ciò che invece meraviglia è che qualche pseudo storico o sedicente esperto di migrazioni continui a parlare di una politica di sfruttamento con
cui centinaia di migliaia di lavoratori soprattutto italiani siano stati alla
mercé di datori di lavoro spietati, di organi dello Stato svizzero vessatori
(Polizia degli stranieri), degli svizzeri come se tutti fossero razzisti e nonostante votassero contro le iniziative xenofobe, di rappresentanti
diplomatici e consolari italiani più interessati alla loro tranquillità che al
benessere dei connazionali, di attivisti politici e sindacali (specialmente svizzeri) solidali a parole
e indifferenti in pratica.
Purtroppo questi detrattori seriali della politica
immigratoria svizzera non s’interrogano mai sulla legittimità e
costituzionalità di quella legge, altrimenti scoprirebbero che fu non solo
legittima e costituzionale, ma anche democratica perché approvata all'unanimità
dai rappresentanti del popolo e dei Cantoni. A molti di essi sfugge anche la
considerazione che senza un rigido controllo degli ingressi e dei permessi di
soggiorno degli stranieri, attratti dalla florida economia, il loro aumento illimitato
avrebbe potuto pregiudicare la composizione etnica, linguistica, culturale,
economica e persino politica della Svizzera, sarebbe stato difficile o forse
impossibile conservare l’integrità nazionale e territoriale della
Confederazione, rafforzare la fragile identità nazionale, promuovere il
benessere generale e la sicurezza economica della popolazione, conformemente al
senso e allo spirito della costituzione federale.
Purtroppo è stato invece sempre carente, a parere dello scrivente, il contributo al miglioramento della legge e della situazione degli immigrati
da parte dell’immigrazione italiana organizzata, perché questa ha
quasi sempre privilegiato la contestazione e quasi mai la proposta ragionevole
e sostenibile, non ha scelto sempre gli strumenti più adeguati e non ha sempre
sostenuto convintamente la via maestra dell’integrazione, non ha visto a lungo di buon occhio la tendenza alla naturalizzazione della seconda e poi della terza generazione. Ma non è questo
l’ambito giusto per trattare questi temi.
Limiti della legge del 1931
Anche la legge sugli stranieri del 1931 può essere ovviamente criticata e a mio parere alcuni punti lo meritano perché avrebbe potuto essere opportunamente modificata, almeno dal momento in cui la politica svizzera si è resa conto che l’immigrazione stava diventando strutturale. Il legislatore avrebbe potuto (e forse dovuto) mitigare la rigidità dei permessi di soggiorno, intervenire contro gli abusi del permesso stagionale che creavano troppi «falsi stagionali», introdurre misure di sostegno all'integrazione senza aspettare le iniziative anti-stranieri di Schwarzenbach, facilitare la naturalizzazione della seconda generazione, superare la rigidità di una legge che era stata concepita e approvata per consentire alla Confederazione di lottare contro il pericolo dell’inforestierimento (Überfremdung), soprattutto quando la percentuale degli stranieri ha cominciato a decrescere (8,7% nel 1930).
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La Svizzera si presentava ed era vista allora soprattutto come meta «temporanea» (e precaria) di lavoro e di vita! |
Anche l’articolo 10 avrebbe potuto essere lasciato cadere o
scritto diversamente senza elencare la nutrita casistica per cui gli stranieri
indesiderati potevano essere espulsi (criminalità, malattia, indigenza (!),
abuso dell’ospitalità svizzera con ripetute infrazioni gravi dell’ordine pubblico,
ecc.).
L’articolo 16, giustificato nella sostanza, avrebbe potuto
essere migliorato nella forma, anche per non ingenerare equivoci, inevitabili
quando si dice genericamente che «nelle loro decisioni, le autorità competenti
a concedere i permessi terranno conto degli interessi morali, economici del
paese nonché dell’eccesso della popolazione straniera». Bastava forse dire che le
nuove ammissioni dovranno avvenire tenendo presente la situazione del mercato del lavoro.
Tuttavia, il principale limite di questa legge è stato forse
di mirare essenzialmente a «proteggere» gli interessi svizzeri (e i valori
svizzeri contro il pericolo di un’invasione incontrollata di migranti
eterogenei), trascurando, anche nell'interesse svizzero, il principio dell’integrazione degli stranieri,
soprattutto di quelli residenti stabilmente. Purtroppo, solo lentamente, dopo
il 1970, la politica è intervenuta a mitigare le difficili condizioni di vita
degli stranieri e ad avviare lentamente l’integrazione, cominciando dalle seconde
generazioni. Meglio tardi che mai?
Giovanni Longu
Berna 02.07.2025
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