09 ottobre 2018

Più formazione per un vero cambiamento


Il governo italiano è visibilmente in difficoltà per l’incapacità dei due partiti che lo compongono di affrontare con la dovuta serietà i gravi problemi del Paese. Buon senso e senso dello Stato vorrebbero che, data la limitatezza delle risorse disponibili, esse venissero impiegate con oculatezza, equità ed efficacia. Invece si ha l’impressione che la priorità sia la soddisfazione delle promesse elettorali dei 5Stelle e della Lega per non perdere consensi alle prossime elezioni europee (maggio 2019). Il rischio è che i mali dell’Italia si aggravino e che il «cambiamento» sbandierato durante la campagna elettorale delle riforme, della crescita, della lotta alla povertà, alla corruzione e all’evasione fiscale, della formazione dei giovani per prepararli meglio alla vita e al lavoro, del rilancio dell’economia… si trasformi in una brutta manovra elettorale dei due principali partiti in lotta (ancora non dichiarata) per la supremazia e il prossimo governo monocolore.

Rischio d’isolamento in Europa

02 ottobre 2018

Governo del cambiamento: in che direzione va l’Italia?


Dire che la società è in continua trasformazione è banale perché si tratta di un’evidenza. Anche sostenere, come fanno alcuni politici italiani, che l’attuale governo sia quello del cambiamento è una banalità, perché tutti i governi sono in qualche misura diversi dai precedenti. Per aver senso tali affermazioni dovrebbero indicare la direzione del cambiamento. In altre parole, gli atti della nuova maggioranza parlamentare e le iniziative del governo dovrebbero fornire indicazioni plausibili sul futuro del Paese, della società, dell’economia, dei giovani, del bene comune. Francamente, fino a questo momento, nessun segnale mi sembra rassicurante e incoraggiante.

Situazione di partenza difficile
Il debito pubblico italiano è uno dei più alti del mondo in cifre assolute e relative alla popolazione. Per l’Italia è una situazione di partenza difficile, soprattutto se si tiene conto di altri elementi storici, geografici, economici, culturali e sociali che pesano sulle prospettive di sviluppo sostenibile. Basti pensare al divario nord-sud, ricchi e poveri, occupati e disoccupati. Una delle caratteristiche degli elementi che trovo maggiormente preoccupanti dell’azione del governo a guida Giuseppe Conte è la disinvoltura con cui sembra sottovalutare sia il debito pubblico che alcuni elementi negativi, quali la scarsa crescita, la forte evasione fiscale, la corruzione, l’aumento della povertà, la rassegnazione di molti cittadini.
Quanto al debito, anche i bambini sanno che prima o poi si deve paga. I debiti nazionali li pagano i cittadini con nuove tasse o nuove privazioni e le future generazioni con una diminuzione della qualità di vita. Ciononostante, il Governo ha approvato la settimana scorsa una manovra di bilancio in deficit, ossia aumentando il debito che graverà soprattutto sulle generazioni future.
Approvare una tale manovra con la certezza di appesantire ulteriormente il debito pubblico e di portare il deficit al 2,4% del PIL (prodotto interno lordo), invece di mantenerlo al di sotto del 2,0% per consentire la riduzione del debito, è apparso a molti osservatori nazionali e internazionali un azzardo insensato. Uno dei quotidiani più prestigiosi della Svizzera titolava un commento al riguardo: «Trionfo dell’insensatezza a Roma: l’Italia vuol fare ulteriori debiti» (NZZ).
Pur ammettendo che il debito pesa soprattutto quando lo si deve pagare, è evidente che può cominciare a pesare già prima se i mercati reagiscono negativamente (come successo venerdì scorso) o qualora si chiedesse un prestito alle banche per finanziare una casa o un’attività economica. Trovo assolutamente insostenibile che alcune iniziative si finanzino facendo ulteriori debiti invece che riducendo gli sprechi o recuperando l’evaso a costo zero (senza condoni).

Insostenibilità della manovra in deficit
Uno degli indicatori della sostenibilità dello sviluppo economico di un Paese è la preservazione del capitale. Ma se il capitale disponibile viene ridotto oggi, per investimenti insostenibili (reddito di cittadinanza, pensione di cittadinanza, superamento della legge Fornero, flat tax, «pace fiscale», ecc.), chi garantirà ai nostri figli e nipoti le risorse necessarie per il loro benessere? Con quale senso di responsabilità si mette a repentaglio la qualità di vita delle future generazioni, se in Italia il tasso di rischio di povertà (11,1%), in percentuale su tutti gli occupati, è già oggi nettamente superiore a quello medio dell’Unione Europea (9,6%)?
Tutte le misure insostenibili peseranno sulla qualità di vita dei nostri figli e nipoti perché avranno a disposizione meno risorse ambientali, economiche e sociali. Incurante delle reazioni delle opposizioni, dei mercati, di alcuni esponenti dell’Unione Europea (UE), il premier Conte osa affermare di aver approvato la «manovra del popolo» e con essa «il più consistente piano di investimenti pubblici che sia mai stato realizzato in Italia». Crederlo sulla parola? No, preferisco giudicare sui fatti e comunque attendere, presto, il giudizio definitivo della Commissione europea, anche se qualche anticipazione c’è già stata: «Quello che emerge finora dalla discussione in Italia non sembra in linea col patto di stabilità. È importante che l’Italia si attenga a politiche di bilancio responsabili per tenere i tassi bassi» (Valdis Dombrovskis, vicepresidente della Commissione UE).
Spero, ovviamente, che l’Italia risalga presto la china, riprenda la sua corsa in Europa, dia speranza soprattutto ai più colpiti dalla crisi, i poveri, i disoccupati e i giovani. Ma alcuni segnali mi preoccupano, soprattutto la rassegnazione diffusa in quasi tutti i ceti sociali e la politica immigratoria. Forse è utile per capire la direzione che sta prendendo o dovrebbe prendere l’Italia del cambiamento conoscere meglio alcuni aspetti della situazione italiana. 

Stato della popolazione
a)     Popolazione
La popolazione italiana di poco più di 60 milioni di persone invecchia più velocemente di qualsiasi altra popolazione europea. Se l’incremento naturale ogni 1000 abitanti era di 1,5, nel 2017 è di -3,1(!). Si sa che l’invecchiamento eccessivo comporta numerosi problemi alla società nel suo insieme e soprattutto ai giovani. In molti Paesi, per evitare che il tasso di dipendenza dei minorenni e degli anziani dalle persone in età dai 14 ai 64 anni diventi insostenibile, si attua una sana politica d’integrazione degli stranieri. L’Italia sembra preferire la soluzione di questo problema tramite badanti.

b)     Incremento naturale della popolazione
L’Italia è il Paese con un tasso di fecondità (numero di figli per donna) tra i più bassi in Europa e nel mondo, nel 2017: 1,3 figli per donna (CH: 1,5; DE: 1,6; F: 2,0). Anche il tasso di natalità ogni 1000 abitanti è tra i più bassi in Europa e nel mondo: 7,6 (CH: 10,3; DE: 9,5; F: 11,4). Inoltre, la tendenza al matrimonio scarseggia. Il numero dei matrimoni ogni 1000 abitanti è tra i più bassi d’Europa: 3,4 (CH: 4,8; DE: 5,0; F: 3,5). Ossia, l’incremento naturale è manifestamente a rischio.

c)     Saldo migratorio
Il saldo migratorio è la differenza tra il numero degli immigrati e quello degli emigrati. In Italia è stato sempre basso (1980: 0,1, contro il 2,7 della Svizzera e il 3,9 della Germania) e, contrariamente a molta disinformazione assai diffusa, resta ancora molto basso (2017: 1,4, contro il 5,4 e il 5,8 rispettivamente della Svizzera e della Germania).

d)     Formazione dei giovani
I giovani italiani tra i 18 e 24 anni senza una formazione post obbligatoria (31,7% nel 2016) è ben superiore alla media europea (26,1%). Gli adulti (25-64 anni) con formazione superiore (17,7%) sono nettamente sotto la media europea (30,7%). Nella manovra economica appena approvata il Governo avrebbe potuto destinare risorse consistenti per la scuola, la formazione, la ricerca, l’università. Non l’ha fatto scegliendo altre priorità demagogico-elettorali. Peccato per l’Italia, un tempo grande potenza economica e culturale, e oggi non ha nemmeno un’università tra le prime 100 della classifica mondiale (la piccola Svizzera, tanto per un confronto, ne colloca ben cinque!)

Italia rassegnata
Alla luce anche di questi dati statistici, ho trovato comprensibile, durante un recente viaggio in Italia, la rassegnazione di molta gente, di tutte le classi sociali, sulla situazione italiana. Nessuna delle persone incontrate ha palesato soddisfazione, tutte mi hanno confermato il clima di rassegnazione diffuso da nord a sud e la speranza di molti giovani di trovare lavoro all’estero. Non mi sono addentrato sulle cause di tanta rassegnazione, perché le risposte sarebbero state molto probabilmente monotone: «non c’è lavoro, soprattutto per i giovani», «non ci sono programmi d’occupazione»… e simili.
Peccato! Perché conservo nella memoria sedimentata ormai da decenni l’immagine di un’Italia laboriosa, ambiziosa, combattiva, anche con molti scioperi, niente affatto rassegnata alla povertà, alle ingiustizie sociali, alla disoccupazione. Era anche un’Italia molto contrastata perché pervasa da ideologie antagoniste incarnate in partiti politici e sindacati contrapposti, che avevano però in comune l’ambizione del lavoro per tutti, della dignità dei lavoratori, dell’accesso allo studio e della ricompensa sociale. Se è vero che oggi l’Italia è un Paese rassegnato e che le ideologie sono morte, la situazione diventa critica perché lascia spazio alla delega in bianco, al populismo, all’autoritarismo. 

L’immigrazione
Sull’immigrazione, intesa in tutte le sue forme, ho trovato una sorta di accettazione senza resistenza della politica del ministro Salvini, perché nello stato in cui si trova oggi l’Italia nessuna istituzione sembra in grado di accogliere numeri consistenti d’immigrati, formarli e inserirli nel mondo del lavoro. La paura dello straniero si diffonde, senza che nessuno cerchi di spiegare che è totalmente priva di fondamento (non esiste alcun dato storico di popoli sopraffatti da immigrati pacifici) e serva soprattutto a nascondere l’incapacità del governo a gestire il fenomeno migratorio. Tant’è che manca in Italia, a quanto ho potuto notare, una politica immigratoria degna di questo nome, con obiettivi precisi, strutture adeguate, programmi, forme di accompagnamento.
Di fronte alle critiche piovute da ogni parte all’Italia per l’atteggiamento nei confronti dei profughi, il Presidente del Consiglio Conte ribatte che la politica italiana verso gli immigrati «ha al primo posto l’obiettivo di tutelare la dignità delle persone, salvare le vite e difendere i diritti fondamentali delle persone». Che faccia!, verrebbe da dire, anche alla luce delle critiche che continuano ad arrivare alla politica migratoria italiana per l’atteggiamento cinico del ministro dell’Interno Matteo Salvini nei confronti dei migranti, delle ONG, delle associazioni umanitarie, ecc.
Salvini, ministro dell’Interno, è diventato in quattro mesi l’uomo forte del governo. E’ riuscito persino a far rientrare la questione dei migranti nelle sue competenze e a trattarla come un problema di ordine pubblico. Il decreto sicurezza  approvato dal governo prevede infatti misure severe per i migranti, come l’abolizione della protezione internazionale per i migranti in caso di condanna in primo grado, ecc.
Personalmente trovo preoccupante che in Italia, patria di civiltà, si finisca per considerare i migranti potenziali criminali pericolosi, quasi da sorvegliare a vista. Preoccupante anche come un ministro della Repubblica si difenda dalle accuse rivolte ad alcuni suoi provvedimenti: «Faccio ciò che mi hanno chiesto gli italiani… sono gli italiani che mi pagano». Non credo che il popolo italiano gli abbia affidato il compito di condurlo all’isolamento internazionale, al progressivo impoverimento, al benessere effimero perché a breve termine ma certamente insostenibile a lungo termine.
Giovanni Longu
Berna, 2 ottobre 2018

26 settembre 2018

Xenofobia, malattia grave ma non incurabile (2a parte)


Negare che le migrazioni moderne, soprattutto quelle spontanee, possano costituire un grosso problema di accoglienza per molti Paesi di destinazione è impossibile. D’altra parte, affermare che questi grandi movimenti di masse umane rappresentano una «minaccia» per le società benestanti è esagerato e insostenibile. Di conseguenza, sostenere che i migranti vanno respinti come potenziali invasori non appena si avvicinano alle coste italiane e addirittura che si sarebbe dovuta impedirne la partenza dai loro Paesi d’origine, magari con un blocco navale, lo trovo inaccettabile. Del resto, nessun popolo, a mia conoscenza, è mai stato sottomesso e distrutto da migranti inermi; tutti i popoli scomparsi sono stati eliminati da eserciti agguerriti e da conquistadores o si sono autodistrutti. Ritengo pertanto sostenibile e giudizioso affermare che la migrazione è governabile nell’interesse reciproco dei migranti e dei popoli che sanno accoglierli e integrarli.

La migrazione è inevitabile
Poiché i flussi migratori spontanei ci sono sempre stati, perché meravigliarsi che nella nostra epoca da molti Paesi afflitti da guerre, povertà e discriminazioni di ogni genere molte persone cerchino altri luoghi più favorevoli? E poiché i più poveri cercano sempre di avvicinarsi alle mense dei ricchi epuloni sperando di potersi sfamare almeno con le briciole lasciate cadere dai commensali, perché alcuni Paesi vorrebbero respingerli come indegni di partecipare al nostro benessere? Che senso ha la graduatoria «prima i nostri», poi gli altri «se ne avanza», in un mondo in cui i cambiamenti possono essere repentini e ciò di cui tutti i popoli hanno maggiormente bisogno, nessuno escluso, è la solidarietà e la collaborazione, per non rischiare un domani di trovarsi tra le file dei bisognosi?
In una visione globalizzante le relazioni tra i popoli dovrebbero essere caratterizzate dalla collaborazione più che dalla ricerca della supremazia, dall’apertura più che dalla chiusura, dalla solidarietà più che dall’egoismo. Coloro che ritengono pericolosi o troppi gli stranieri che chiedono di entrare in Europa, magari attraverso l’Italia, dovrebbero anche cercare di soppesare meglio il rapporto costi-benefici, ma non sul breve periodo, bensì a medio e a lungo termine, quello che passa alla storia.
E’ facilmente dimostrabile che tutti i popoli hanno tratto grandi benefici dagli immigrati (persino da quelli giunti clandestinamente!) a condizione che le inevitabili difficoltà iniziali siano state superate attraverso mediazioni, accordi, volontà di pacificazione, sforzo reciproco d’integrazione. Tra questi popoli beneficiari potrei citare gli Stati Uniti, benché da qualche tempo molti americani sembrino aver dimenticato le loro origini, seguendo il vessillo America first, prima l'America, issato dal presidente Donald Trump. Potrei ricordare anche la Francia, la Spagna, il Lussemburgo… l’Italia; ma preferisco soffermarmi sul caso svizzero, perché ha coinvolto milioni di italiani e continua a coinvolgerne ancora tanti.

Un po’ di memoria e d’immaginazione
Purtroppo molti italiani non amano essere confrontati con altri popoli, soprattutto se dal confronto potrebbero uscirne penalizzati, ma non dovrebbero sottrarsi a un piccolo sforzo di memoria perché nella lunga storia dell’Italia unita (dal 1861) è solo da poche decine d’anni che il saldo migratorio (immigrati meno emigrati) è positivo. Per oltre un secolo il numero di emigrati italiani ha superato, spesso abbondantemente, il numero dei rimpatriati e dei nuovi immigrati. Tra il 1876 e il 1976 circa 26 milioni di italiani hanno lasciato temporaneamente o definitivamente l’Italia specialmente per motivi di lavoro. Gli italiani residenti all’estero sono oggi più di cinque milioni.
Per molti italiani l'esperienza migratoria è stata traumatica!
Chi conosce anche solo sommariamente la storia dell’emigrazione italiana sa certamente che per molte persone l’esperienza migratoria soprattutto agli inizi è stata traumatica, piena di ostacoli e di sofferenze. Il racconto triste e quasi disperato di questi emigrati non è riuscito tuttavia a trattenere i partenti alla volta delle Americhe o di Paesi europei. Evidentemente la speranza di una vita migliore è una forza irresistibile! Perché negarlo?
Eppure, ci sono molti in Europa e anche in Italia che questa speranza vorrebbero soffocarla sul nascere in quanti si avventurano nel Mediterraneo, rischiando grosso, alla ricerca di un porto sicuro e di un po’ di solidarietà. «Bisogna respingerli - ha detto un politico – perché non possiamo mica accoglierli tutti!». So che non è un esercizio agevole, ma si provi ad immaginare che cosa ne sarebbe stato dei 26 milioni (probabilmente molti di più) che cercarono fortuna fuori dell’Italia se anche solo alcuni Paesi li avessero ricacciati indietro. Per poche centinaia di italiani respinti alla frontiera dalle autorità svizzere nel 1965 perché sprovvisti dei necessari documenti «i rotocalchi pubblicarono fotografie strazianti di famigliole divise, di mamme e bambini pieni di freddo e di dolore dinanzi al confine sbarrato, la TV trasmise servizi speciali da Chiasso e da Domodossola, i quotidiani gridarono allo scandalo a causa dei nostri ragazzi spediti indietro in vagoni cellulari» (da un racconto di Attilia Venturini)

La qualità dell’emigrazione italiana
Il fatto stesso che ancora oggi il flusso emigratorio dall’Italia non si è completamente arrestato sta a significare che per gli italiani l’esperienza migratoria non è sempre (stata) negativa, anzi, verrebbe da dire che tutto sommato è (stata) positiva. La realtà è che l’emigrazione/immigrazione quasi sempre fa bene sia ai migranti che ai Paesi che li sanno accogliere. Il successo è quasi sempre legato a due fattori altrettanto importanti: la qualità degli emigrati e la capacità dei Paesi destinatari di valorizzarli. IL caso svizzero mi pare illuminante.
La qualità degli immigrati italiani in Svizzera è consegnata a una serie di opere grandiose, ma anche di ordinaria amministrazione, che hanno contribuito a rendere questo Paese «il più felice del mondo» (François Garçon). Mi riferisco in particolare alla realizzazione delle grandi infrastrutture ferroviarie di fine Ottocento e inizi del Novecento, all’intensa attività edilizia e di genio civile del secondo dopoguerra, alla grande produzione industriale, alle attività terziarie.
Gli immigrati italiani sia dell’Ottocento che del secondo dopoguerra hanno sofferto molto, a causa di ondate di xenofobia senza precedenti, ma hanno saputo resistere. Purtroppo la prima generazione non è riuscita a fare grandi passi avanti, ma è doveroso darle atto che ha fatto bene a trasferire i propri obiettivi di successo alle generazioni successive. Oggi i risultati parlano chiaro: gli italiani, in generale, sono stimati, sono presenti in tutte le attività economiche, culturali, politiche, sociali e occupano spesso posti di grande responsabilità. Un successo!
In Svizzera, come anche in molte altri parti del mondo, l’italianità o l’italicità, come preferisce qualcuno, rappresenta soprattutto un pregio, è sinonimo di qualità, buon gusto, stile. Da dove proviene questo riconoscimento internazionale? Non c’è dubbio, esso proviene soprattutto dai migliori ambasciatori del made in Italy, gli emigrati.

La politica immigratoria svizzera
Se la qualità degli immigrati italiani in Svizzera ha contribuito al loro successo e al benessere del Paese, non si può negare che una parte di esso spetti anche alla politica immigratoria svizzera. Benché spesso criticata, dalla stampa, dalla politica e dagli stessi immigrati, la Confederazione ha saputo interpretare bene il suo ruolo, tenendo conto dei diversi interessi in gioco, sia politici che economici. Le va dato atto, per esempio, di non aver mai ceduto alle pressioni dei movimenti xenofobi, che pretendevano il blocco dell’immigrazione, per paura dell’«inforestierimento». La xenofobia in Svizzera non è mai stata maggioritaria, non ha contagiato il governo che ha sempre riconosciuto il contributo essenziale degli immigrati alla prosperità dell’intera nazione.
Fin dagli anni Settanta del secolo scorso la Confederazione ha cercato di avviare una politica d’integrazione in grado di stimolare sinergie efficaci tra Cantoni, Comuni, Chiese, associazioni padronali e sindacali, associazioni di immigrati e singoli immigrati. Una serie di leggi, ordinanze, direttive favorisce la realizzazione di numerosi progetti integrativi basati sull’impegno degli stranieri ad integrarsi, sugli interventi degli enti pubblici a facilitare la loro integrazione, per esempio organizzando corsi linguistici e di formazione professionale, favorendo il loro inserimento nel mondo del lavoro.
Che si tratti di una politica vincente, anche per gli italiani nuovamente in crescita da diversi anni, lo dimostra il fatto che la Svizzera di oggi, un Paese competitivo a livello mondiale e con un benessere largamente diffuso, continua ad aver bisogno di immigrati.

In conclusione
Ci sono in Europa e nel mondo Paesi che devono la loro prosperità all’immigrazione gestita in maniera che a trarne beneficio siano tutte le parti interessate. Questa condizione può svilupparsi soltanto se domanda e offerta sono in sostanziale equilibrio, ossia se lo Stato accogliente si trova in una situazione di crescita. Se manca questa, se manca il lavoro, non è però colpa dell’immigrazione, ma unicamente della politica che non è in grado di stimolare sviluppo. La xenofobia, quando contagia un governo o anche solo una sua parte importante, è spesso un’arma di distrazione di massa per nascondere le propria contraddizioni e incapacità. Andrebbe democraticamente disattivata. (Fine)
Giovanni Longu
Berna, 26.09.2018

19 settembre 2018

Xenofobia, malattia grave ma non incurabile (prima parte)


Se il linguaggio dei media fosse più franco, oggi parlerebbe senza mezzi termini della diffusione in Europa di una pericolosissima epidemia, fatta di nazionalismo, populismo, giustizialismo, radicalizzazione, xenofobia, tanti mali che rischiano di cronicizzarsi come l’evasione fiscale, lo sperpero di denaro pubblico, la corruzione, la disattenzione al bene comune, la marginalizzazione dei più deboli e altro ancora. L’Italia da alcuni anni sembra volersi candidare a campione di tutto ciò senza riuscire a produrre al suo interno gli anticorpi necessari a combattere questa grave malattia. La prima cura dovrebbe consistere nella franchezza del linguaggio, nella denuncia di ciò che è inaccettabile e pericoloso e nella proposta di rimedi efficaci a breve e a medio termine.

La situazione italiana: un problema per l’Europa
In Italia, il governo in carica dal 1° giugno, frutto delle votazioni del 4 marzo 2018 e autobattezzatosi «del cambiamento», ha al suo interno dei ministri che, incuranti dei richiami alla prudenza e alla moderazione del Presidente della Repubblica, sembrano decisi a spingere la fragile imbarcazione italiana contro gli scogli piuttosto che verso porti sicuri. Fuori metafora, alcuni ministri, nella loro voglia di cambiamento purchessia, non esitano a sfidare non solo le opposizioni parlamentari e persino la magistratura, ma anche le istituzioni europee, la Commissione, il suo presidente e singoli commissari, capi di Stato e di governo, ministri europei, il governatore della BCE, l'Alto Commissariato dell'ONU per i diritti umani, l’Alto Commissariato dell’ONU per i rifugiati… nonostante il formale impegno dell’Italia a sostenere le loro azioni!
Si rende conto Giuseppe Conte che su questa strada il suo governo non fa che alimentare sospetti e rischia l’isolamento in Europa? Si rende conto che se Mario Draghi, Governatore della Banca centrale europea (BCE), afferma pubblicamente che le dichiarazioni populiste del governo hanno già fatto danni all'Italia, si sta andando davvero sulla cattiva strada? Se poi si aggiunge anche la dichiarazione del Commissario agli Affari Monetari della Commissione europea Pierre Moscovici («L’Italia è oggi un problema, deve essere credibile, con un bilancio credibile»), che fa il presidente Conte per salvaguardare l’immagine dell’Italia? Tanto più che il commissario europeo aveva poco prima denunciato il clima che si respira oggi in Europa, «che assomiglia molto agli anni Trenta», perché, se è vero che «non c’è Hitler», ci sono «forse dei piccoli Mussolini».
Perché Conte non è intervenuto a commentare l’intervento di Moscovici? O ha preferito condividere i commenti stizziti dei suoi vicepremier Luigi Di Maio («L’atteggiamento da parte di alcuni commissari europei è inaccettabile […] Dall’alto della loro Commissione si permettono di dire che in Italia ci sono tanti piccoli Mussolini») e Matteo Salvini («Il commissario UE Moscovici si sciacqui la bocca prima di insultare l’Italia, gli italiani e il loro legittimo governo»)? Si è mai chiesto il presidente Conte dove vuole condurre l’Italia, a stare saldamente in Europa o nell’isolamento?
Provo difficoltà a comprendere come gran parte dei media italiani sembrino non accorgersi del danno d’immagine che Di Maio e soprattutto Salvini stanno procurando all’Italia col loro atteggiamento populista e xenofobo in Europa e nel mondo. Trovo particolarmente deleteri i loro continui scontri con alcuni Paesi europei, con le istituzioni europee, con le Organizzazioni non governative (ONG) operanti nel Mediterraneo per il salvataggio dei profughi e persino con l’Alto Commissariato dell'ONU per i diritti umani e l’Alto Commissariato dell’ONU per i rifugiati. Ritengo pericolosissime anche le scelte di campo del ministro Salvini con l’estrema destra di alcuni Paesi. Mi chiedo se l’Italia si meriti tutto ciò.

Il vice Luigi Di Maio: che figura!
Che il governo Conte non si esprima quasi mai con voce unanime è ormai notorio. Il silenzio del capo del governo su alcune esternazioni dei due vicepresidenti Salvini e Di Maio non aiuta tuttavia a capire quanto lui sia consenziente e quanto in disaccordo. Sta di fatto che sulle pagine dei giornali finiscono soprattutto i due vice, disorientando i lettori sull’autentica opinione del governo, anche perché a tacere è spesso anche il ministro dell’economia Giovanni Tria. Alcuni esempi per chiarire queste affermazioni.
Alcune settimane fa il ministro Luigi Di Maio ha parlato del contributo dell’Italia al bilancio dell’Unione Europea quantificandolo in 20 miliardi, mentre ne riceverebbe appena 12. Falso. Perché il Presidente del Consiglio non è intervenuto a correggere almeno le cifre? Ha forse preferito che gli rispondesse per le rime il commissario europeo al bilancio Ghuenter Oettinger? Questi ha infatti osservato: «La cifra di 20 miliardi che alcuni esponenti del governo indicano come contributo dell’Italia al bilancio dell’Unione Europea è una farsa. Non sono 20 miliardi di euro l’anno. L’Italia contribuisce con 14, 15, 16 miliardi in un anno. Se si tiene in conto ciò che ottiene dal bilancio UE, il risultato è un contributo netto di 3 miliardi l’anno». Che figura! Peccato che non fosse né la prima né l’ultima.
Non è stata la prima perché molti certamente ricordano gli atteggiamenti da vincitore dopo le elezioni di marzo, quando osò chiedere l’impeachment per il capo dello Stato!
Recentemente, poi, deve aver detto che «fra le agenzie di rating ed il popolo noi stiamo con il popolo» beccandosi questa replica del giornalista Beppe Severgnini: «È una scemenza quella di Di Maio, perché il nostro debito è detenuto da investitori stranieri, e se questi li spaventi scappano e lo spread sale, bruciando i risparmi». Ma è proprio così sprovveduto il ministro dello sviluppo economico e ministro del lavoro e delle politiche sociali? Non sarebbe meglio che si occupasse di sviluppo economico, di formazione professionale, di politiche sociali efficaci?

Il vice Matteo Salvini: arrogante e ambizioso
Nel governo Conte, tuttavia, non è solo Di Maio ad alzare la voce, anzi risuona più forte, quasi quotidianamente, quella del ministro dell’interno Matteo Salvini. Forte dei sondaggi che lo danno in crescita costante, al dialogo, ritenuto probabilmente una perdita di tempo, preferisce la lotta. Incurante, almeno apparentemente, della propria persona, sembra convinto che l’ora del destino per la riscossa del popolo italiano (ormai quello padano è definitivamente scomparso!) è scoccata e che lui ne sia il suo condottiero principale.
Negli scontri, quasi quotidiani, con le istituzioni europee, con la Francia, con la Germania, ultimamente col Lussemburgo, col governatore della BCE Mario Draghi (al quale ha ricordato: «conto che gli italiani in Europa facciano gli interessi dell’Italia come fanno tutti gli altri Paesi, aiutino e consiglino e non critichino e basta»), Salvini si comporta come il condottiero predestinato a guidare l’Europa, che non si lascia intimorire da nessuno, perché sembra godere di un sostegno incondizionato dell’opinione pubblica.
Ne ha dato prova anche recentemente, durante un incontro interministeriale a Vienna. Il ministro degli Esteri lussemburghese Jean Asselborn, dopo aver ascoltato per un po’ Salvini difendere la sua posizione sui migranti, è intervenuto affermando la necessità dell'immigrazione per contrastare l'invecchiamento della popolazione europea. Non l’avesse mai fatto. Salvini gli ha risposto che la sua prospettiva è completamente diversa: «Io penso di essere al governo e di essere pagato per aiutare i nostri giovani a tornare a fare quei figli che facevano qualche anno fa e non per espiantare il meglio dei giovani africani per rimpiazzare i giovani europei che per motivi economici oggi non fanno più figli. Magari in Lussemburgo c'è questa esigenza, in Italia invece abbiamo l'esigenza di aiutare i nostri figli a fare degli altri figli e non ad avere nuovi schiavi per soppiantare i figli che non facciamo più».
Il ministro lussemburghese è poi intervenuto nuovamente per ricordare al ministro Salvini che «in Lussemburgo abbiamo accolto decine, migliaia di immigrati italiani. Sono arrivati come migranti a lavorare in Lussemburgo affinché voi poteste avere in Italia soldi per dare da mangiare ai vostri figli». Per chiudere lo scontro Salvini ha affermato: «Se in Lussemburgo avete bisogno di nuova immigrazione, in Italia preferisco aiutare gli italiani a tornare a fare figli».
Faccio fatica, forse a causa della distanza di osservazione delle cose italiane da Berna, a comprendere non tanto l’atteggiamento arrogante e ambizioso del ministro Matteo Salvini (ormai convinto di avere in pugno l’intero governo, e domani, dopo le prossime votazioni europee, addirittura il governo dell’Unione Europea insieme al Primo ministro ungherese Viktor Orban), quanto, stando ai sondaggi, il gradimento del suo operato e soprattutto delle sue promesse nell’opinione pubblica.

La questione dei migranti
Possibile che gli osservatori della politica italiana non si rendano conto dell’insensatezza di espressioni, attribuite a Salvini, quali: «Prima i nostri, poi gli altri (se ne avanza)», «Migranti, è finita la pacchia», «migranti = clandestini», «migranti = invasori», e simili. Il premier Giuseppe Conte è meno drastico ma non meno negativo nei confronti dei migranti: «Non possiamo accoglierli tutti» e crede di giustificare questa affermazione con questi pseudo argomenti: «Con l'accoglienza indiscriminata non possiamo risolvere il problema dell'immigrazione, perché noi possiamo assicurare il soccorso, ma non possiamo offrire l'accoglienza indiscriminata». Più che un giurista Conte mi sembra un leguleio, perché non può mescolare indistintamente l’accoglienza, il soccorso, la procedura d’asilo, l’immigrazione (regolare), l’integrazione. All’Italia in questo momento è chiesto soprattutto di farsi carico del «soccorso» in mare (e quindi dello sbarco in un porto sicuro), dell’accoglienza almeno provvisoria per l’identificazione, l’avvio delle procedure d’asilo per appurare chi ne ha diritto e chi dev’essere rimpatriato nel Paese da cui è partito.
Alla base del pensiero politico del governo e soprattutto del ministro Salvini, camuffato in una serie di espressioni atte a far presa sul sentimento di frustrazione e di rancore di molta gente che si sente in gravi difficoltà e abbandonata, c’è una valutazione essenzialmente xenofoba della situazione. Poiché la xenofobia è una malattia grave sebbene non incurabile, desidero affrontare il tema con un certo distacco dalla situazione italiana e un atteggiamento propositivo. Prenderò in considerazione una situazione analoga verificatasi in Svizzera nel secolo scorso e risolta direi felicemente, anche se so bene che la radice della xenofobia è inestirpabile in maniera definitiva. (Segue)
Giovanni Longu
Berna, 19.09.2018