09 ottobre 2018

Più formazione per un vero cambiamento


Il governo italiano è visibilmente in difficoltà per l’incapacità dei due partiti che lo compongono di affrontare con la dovuta serietà i gravi problemi del Paese. Buon senso e senso dello Stato vorrebbero che, data la limitatezza delle risorse disponibili, esse venissero impiegate con oculatezza, equità ed efficacia. Invece si ha l’impressione che la priorità sia la soddisfazione delle promesse elettorali dei 5Stelle e della Lega per non perdere consensi alle prossime elezioni europee (maggio 2019). Il rischio è che i mali dell’Italia si aggravino e che il «cambiamento» sbandierato durante la campagna elettorale delle riforme, della crescita, della lotta alla povertà, alla corruzione e all’evasione fiscale, della formazione dei giovani per prepararli meglio alla vita e al lavoro, del rilancio dell’economia… si trasformi in una brutta manovra elettorale dei due principali partiti in lotta (ancora non dichiarata) per la supremazia e il prossimo governo monocolore.

Rischio d’isolamento in Europa

Purtroppo nessun membro del governo vuol sentire critiche, benché queste siano legittime trattandosi di soldi pubblici che si vorrebbero ben spesi, ossia tenendo conto non solo dei bisogni, ma anche, come dice la Costituzione, del necessario «equilibrio tra le entrate e le spese» (art. 81), dell’«equilibrio dei bilanci», della «sostenibilità del debito pubblico» (art. 97), della «tutela del risparmio» (art. 117), dell’«osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea» (art. 119), ecc.
Il fatto che la «Nota di aggiornamento al Documento economia e finanza DEF», essendo stata approvata dal Presidente Sergio Mattarella, non presenti difetti d’incostituzionalità, non basta a ritenerla adeguata alle esigenze del Paese in tutte le sue parti. Pertanto, le critiche delle opposizioni e di osservatori neutrali andrebbero tenute in considerazione ai fini di introdurre miglioramenti in fase di dibattito parlamentare, invece di respingerle sdegnosamente al mittente.
Trovo questo atteggiamento del Governo doppiamente dannoso per l’Italia: presta il fianco a critiche durissime da parte non solo di membri del Parlamento ma anche di alcuni membri della Commissione europea e rischia di peggiorare lo stato dei conti pubblici, perché potrebbe scoraggiare investimenti stranieri in Italia con le conseguenze che è facile immaginare. Il rischio d’isolamento e d’impoverimento dell’Italia mi pare reale, anche perché certe simpatie verso movimenti xenofobi e antieuropei, non aiutano certo ad attirare le simpatie dei cosiddetti «poteri forti» e soprattutto dei mercati.

Linguaggio politicamente scorretto
Particolarmente pericolosa per l’Italia è l’arroganza con cui i due vicepremier Matteo Salvini e Luigi Di Maio sembrano sfidare l’Unione europea (Ue), nonostante le assicurazioni del capo del Governo Giuseppe Conte di volere con l’Ue un «dialogo serio e costruttivo». Quando il commissario Pierre Moscovici ha maldestramente detto che gli italiani: «Hanno fatto la scelta di un governo risolutamente euroscettico e xenofobo», le reazioni dei due ministri e di gran parte dei media italiani non hanno incontrare ostacoli al politicamente «scorretto», ricorrendo persino a insinuazioni di natura privata.
Anche di fronte alle «serie preoccupazioni sul deficit dell’Italia», manifestate dal presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker e da alcuni commissari europei, mentre il ministro del Tesoro Giovanni Tria ha risposto pacatamente che «le preoccupazioni della Commissione europea sono infondate», i due vicepremier hanno reagito con stizza e con tono di sfida: «Se Bruxelles dice no io me ne frego», «Juncker e Moscovici hanno rovinato l’Europa e il nostro paese» (Salvini); «ci aspettavamo che questa manovra non piacesse a Bruxelles … ma deve essere chiaro che indietro non si torna», oltretutto «Juncker è inadatto come presidente della Commissione Ue» e «dello spread ce ne infischiamo» (Di Maio).
Eppure un certo rispetto delle istituzioni dell’Ue, compresa la Banca centrale europea (BCE), e soprattutto un dialogo costruttivo non potrebbero che giovare all’Italia, soprattutto quando si tratterà di negoziare spazi di flessibilità o di varare misure di sostegno all’economia, all’innovazione, alla formazione e alla ricerca. Altro che salvarsi da sola, «se l’Italia avesse una sua moneta», come vorrebbe il leghista Claudio Borghi! Senza il sostegno dell’Ue e dei fondi d’investimento internazionali resteranno parole vuote e slogan demagogici quelli di Di Maio sulla «manovra del popolo», sull’«abolizione della povertà», sul «reddito di cittadinanza», sulla «dignità del lavoro» o quelle di Salvini sull’abolizione della legge Fornero (in modo che si possa andare in pensione a 62 anni, mentre ovunque la tendenza è quella di alzare l’età pensionistica) e l’introduzione della «flat tax».

Le buone intenzioni non bastano
Sarebbe ingiusto, tuttavia, condannare a priori la riforma per certi versi coraggiosa che intende realizzare il governo nei prossimi anni, ma sarebbe ingenuo non rendersi conto che, a detta degli esperti, mancano le risorse certe per realizzarla interamente. Trovo pertanto presuntuoso da parte dei soliti cantori del governo chiedere ai cittadini italiani una specie di credito di fiducia in bianco.
Comincia il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte che afferma: «Le famiglie e l'Unione europea non hanno nulla da temere: le misure contenute nella legge di bilancio creeranno sviluppo e occupazione. La nostra manovra, per la prima volta, mette al centro i cittadini e fa del bene al Paese».
Perché mai gli italiani dovrebbero credere sulla parola a Conte e ai suoi ministri, quando le critiche alla manovra piovono da ogni parte e la preoccupazione della Commissione europea è forte? Come si fa a credere a Di Maio che sostiene: «la povertà è sconfitta per sempre!» grazie al reddito di cittadinanza, senza sapere nemmeno dove troverà i soldi per finanziarlo, anche se va affermando che «ci sono i soldi per realizzare tutte le misure che abbiamo promesso»? E’ mai possibile che la maggioranza degli italiani sia costituita da fanatici creduloni e non da gente pratica che vuol vedere prima i risultati? Dovrà ricredersi Di Maio che, rivolgendosi al Centro studi di Confindustria che prevede un aumento delle tasse a causa dell’introduzione del reddito di cittadinanza e della riforma delle pensioni, ha assicurato: «non si illudano, il governo non torna indietro sulle misure che ha promesso agli elettori, questa è la manovra del popolo». No, è populismo!
Bisogna dire che nella manipolazione della lingua italiana questo governo (come del resto anche i precedenti) è abilissimo, basta vedere come sa suscitare speranze e consensi. Lo dimostra, a mio parere, anche con la «Nota di aggiornamento al Documento economia e finanza DEF» ora all’esame del Parlamento. Essa infatti contiene molte affermazioni che, in teoria, renderebbero l’Italia il Paese più equo e felice del mondo, se venissero confermate dai risultati. Si leggano, per esempio, i due passaggi seguenti, relativi al reddito di cittadinanza e agli investimenti:
«Lo strumento del reddito di cittadinanza […] ha il duplice scopo di garantire la necessaria mobilità del lavoro e un reddito per coloro che nelle complicate fasi di transizione, determinate dai processi di innovazione, si trovano in difficoltà».
«Settori strategici per la crescita su cui il Governo punterà anche per realizzare opportune sinergie pubblico-privato sono in particolare quelli della ricerca scientifica e tecnologica, della formazione di capitale umano, della innovazione e delle infrastrutture, in quanto portatori di effetti rilevanti e duraturi sulla produzione e la capacità del Paese di creare valore».

Mancano gli investimenti adeguati
Verrebbe da dire: ben vengano questi provvedimenti se davvero servono a raggiungere gli obiettivi indicati. Come si può vedere, però, non c’è niente di impegnativo e vincolante in queste frasi e, soprattutto, è lecito chiedersi se il reddito di cittadinanza (una specie di assicurazione contro la disoccupazione) può rappresentare un incentivo al lavoro e garantire la «mobilità del lavoro» se i posti di lavoro mancano e se gli investimenti previsti per la ricerca e la formazione siano adeguati.
Dubito in particolare che le scarse risorse disponibili siano sufficienti per rilanciare la ricerca scientifica, la formazione del capitale umano, il rinnovo delle infrastrutture, il rilancio della produzione, ecc. Magari fosse così semplice anche solo sviluppare la ricerca scientifica e la formazione del capitale umano! Ha idea il Governo di quanti giovani ricercatori emigrano perché in Italia le infrastrutture di ricerca sono scarse? Quanti poli di ricerca ha l’Italia da nord a sud? Quanto è complessa, impegnativa e costosa la formazione professionale dei giovani, se fatta bene? Perché a suo tempo è stata affidata improvvidamente alle Regioni? Cosa garanisce realmente il Piano nazionale per la garanzia di qualità del sistema di Istruzione e Frmazione professionale?
Spero che i miei dubbi siano infondati ed è per questo che seguirò con attenzione in particolare la legge di attuazione preannunciata come «Disegno di legge recante disposizioni in materia di istruzione, università, alta formazione artistica, musicale e coreutica, ricerca e attività sportiva scolastica e universitaria, nonché di riassetto, semplificazione e codificazione della normativa dei medesimi settori». Spero soprattutto che la legge preveda finanziamenti adeguati.

Investire sulla formazione
I dubbi di fondo comunque restano perché, a mio avviso, per la ripresa tanto auspicata la maggior parte delle risorse disponibili avrebbe dovuto essere destinata allo sviluppo dell’occupazione e alla valorizzazione delle risorse umane, soprattutto al Mezzogiorno. E’ il lavoro esercitato con piacere e competenza che dà dignità al lavoratore, non il reddito di cittadinanza. E’ l’occupazione che riduce la disoccupazione e l’emigrazione giovanile. E’ la formazione professionale che fa crescere l’economia e il benessere di un Paese. In questi settori bisognerebbe investire.

Se tali affermazioni possono sembrare generiche, un esempio verificabile ne dimostra la piena concretezza, la Svizzera. Chi cercasse la chiave del benessere svizzero non deve cercare a lungo perché la troverebbe facilmente nella «qualità della formazione», dalla scuola elementare all’università. E se si volesse sapere perché in questo Paese la disoccupazione giovanile è a un livello molto basso la risposta è semplice: qui la formazione professionale è generalizzata, seria, efficiente ed efficace. Il naturale sviluppo di una buona formazione di base sono la maturità professionale, la scuola universitaria professionale, l’insegnamento superiore, la formazione continua, la ricerca, l’innovazione. Naturalmente la formazione costa, la piccola Svizzera vi destina una decina di miliardi di franchi… e i risultati si vedono.
Giovanni Longu
Berna 09.10.2018

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