Il punto centrale della
modifica costituzionale sottoposta a referendum in autunno in Italia non
riguarda solo il Senato, ma anche la Camera dei deputati - che diviene «titolare
del rapporto di fiducia con il Governo ed esercita la funzione di indirizzo
politico, la funzione legislativa e quella di controllo dell'operato del
Governo» - e il Governo. Il cumulo di funzioni della Camera, che prima erano
esercitate insieme al Senato, e il rafforzamento dei poteri del Presidente del
Consiglio dei ministri farebbero dell’Italia, secondo i sostenitori del SÌ un
Paese più efficiente e più moderno, mentre secondo i sostenitori del NO lo
rafforzerebbero sì, ma a scapito della democrazia.
Parlamento: disparità tra Camera e Senato
Una prima contestazione riguarda la discordanza tra
l’affermazione riportata sopra, contenuta nell’articolo 55 modificato della
Costituzione e l’inizio dello stesso articolo che, almeno linguisticamente
sembra mettere sullo stesso piano Camera e Senato quando afferma: «Il
Parlamento si compone della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica».
Tradizionalmente, infatti, col termine Parlamento in Italia s’intende l’organo
bicamerale detentore del potere legislativo e del controllo politico del
governo. Con la riforma, invece, solo la Camera eserciterebbe in via ordinaria
queste funzioni, creando di fatto una sostanziale disparità tra le due
componenti.
Un’altra contestazione mette in evidenza la disparità del
metodo di elezione. Mentre i deputati continueranno ad essere eletti a
suffragio universale, i senatori saranno eletti dai Consigli regionali e dai
Consigli delle Province autonome di Trento e di Bolzano, con metodo
proporzionale, tra i propri componenti e, nella misura di uno per ciascuno, tra
i sindaci dei Comuni dei rispettivi territori. La mancata elezione popolare (su
base regionale) dei senatori, si obietta, rende l’intero Parlamento meno
rappresentativo della sovranità popolare, espressa in tutte le democrazie
moderne attraverso l’elezione diretta di entrambe le camere.
Le obiezioni più forti
dei sostenitori del NO riguardo alla Camera dei deputati concernono tuttavia non
tanto le sue maggiori competenze
rispetto al Senato, quanto piuttosto, la sua composizione e il suo ruolo nei
confronti del Governo.
La Camera di chi?
Anzitutto, quando si
dice, nella modifica costituzionale approvata, che la Camera dei deputati è
eletta a suffragio universale, quindi da tutti i cittadini italiani aventi il
diritto di voto, bisognerebbe ricordare, osservano i sostenitori del NO, come
sarà eletta. Infatti, stando alla legge elettorale approvata il 6 maggio 2015,
l’Italicum (principale promotore e sostenitore Matteo Renzi),
la prossima Camera sarà eletta con un sistema simile a quello della legge
precedente (Porcellum) che la Corte costituzionale ha dichiarato
parzialmente incostituzionale.
Secondo i sostenitori del NO, qualora al referendum
prevalgano i SÌ, la Camera dei deputati, grazie all’abnorme premio di
maggioranza previsto dalla legge elettorale al partito vincente, i maggiori
poteri dello Stato potrebbero concentrarsi nelle mani di una sola forza
politica e del suo leader.
In pratica e in
estrema sintesi, la prossima Camera, nonostante il suffragio universale,
sarà ancora una volta espressione delle segreterie dei partiti, anzi dei
capipartito, perché saranno loro a decidere le liste e i capilista
(bloccati e candidabili addirittura in dieci collegi elettorali). Di più, con
l’introduzione del ballottaggio, se nessuna lista raggiungerà il 40% dei
consensi al primo turno, al secondo turno la lista vincente, magari espressione
di una netta minoranza nel Paese (soprattutto se si tiene conto dei non
votanti), otterrà grazie al premio di maggioranza, il 55% dei seggi, ossia 340
seggi su 630, una maggioranza più che confortante per il Governo.
Potrà succedere,
dunque, che la Camera, costituita in maggioranza dai rappresentanti di una
lista, diventi di fatto espressione non della maggioranza dei cittadini
italiani ma dei sostenitori di quella lista e presumibilmente di un grande partito
(anche se nella lista possono confluire diversi partiti minori) e addirittura
di un capopartito. I sostenitori del SÌ escludono questa possibilità, ammessa
invece dai sostenitori del NO. Il rischio di questo referendum è che si
trasformi, come voleva in un primo tempo lo stesso Renzi, in un vero e proprio
plebiscito sull’attuale capo del governo, che è anche leader del maggior
partito politico e principale sostenitore della riforma.
La Camera, il Governo e il leader
La possibilità di eleggere
una Camera non rappresentativa della maggioranza dei cittadini (impensabile per
i costituenti del 1947) non è l’unica e nemmeno la principale preoccupazione dei
sostenitori del NO. Questi si preoccupano soprattutto delle conseguenze di una
Camera fortemente condizionata dal modo in cui sarà eletta (sempreché la Corte
costituzionale non dichiari anche l’Italicum incostituzionale prima
della sua entrata in vigore). Rilevano infatti che nella nuova Camera a farla
da padrone non sarebbe più la sovranità popolare, ossia gli elettori, ma una
persona in particolare, il capo del partito vincitore, a cui
inevitabilmente tutti gli eletti dovranno far riferimento.
Con l’Italicum
e con la riforma costituzionale, infatti, il capo del partito vincitore delle
elezioni, verrebbe ad acquistare di fatto grazie all’investitura popolare una
legittimazione personale straordinaria. Diventando capo del Governo, è facile
immaginare, sostengono i contrari alla riforma, l’enorme potere ch’egli
potrebbe esercitare non solo sul Governo, ma, indirettamente, anche sulla
Camera e, persino sul Capo dello Stato e sulla stessa Corte costituzionale,
grazie ai nuovi sistemi di elezione dell’uno e dell’altra.
Secondo alcuni
critici, il potere del capolista-capopartito vincitore delle elezioni e
inevitabilmente capo del Governo sarebbe paragonabile a quello di un
Cancelliere o di un Primo Ministro pur non essendo eletto come tale. Con la
riforma, infatti, risulterebbe pressoché impossibile al Presidente della
Repubblica non nominarlo Presidente del Consiglio dei ministri.
Il potere del capo del
Governo, pur non differendo di molto da quello detenuto attualmente, rischia di
diventare enorme perché sono stati notevolmente ampliati i poteri del
Governo. Per esempio, esso può esigere un trattamento speciale
ogniqualvolta presenti alla Camera disegni di legge con procedura d’urgenza o
quando li consideri essenziali per
l’attuazione del suo programma. Per il loro esame può chiedere che sia iscritto
con priorità all’ordine del giorno dei lavori della Camera affinché possano
essere approvati in via definitiva entro 70 giorni.
Visioni
apocalittiche o possibilità reali?
Questa nuova
situazione creerebbe, secondo gli oppositori della riforma, uno stravolgimento
degli equilibri tra i poteri dello Stato, in quanto la Camera del deputati,
nella quale il Governo ha comunque la maggioranza assoluta, verrebbe in qualche
modo asservita alla volontà del Governo e, secondo il giurista e politico Felice
Besostri, contrario alla riforma, «ridotta a ratificare senza discussione
tutto quel che vuole il Governo e il suo Presidente».
Queste visioni vengono
etichettate come esagerate, «apocalittiche», dai sostenitori della riforma costituzionale,
perché comunque continueranno ad esistere le opposizioni e tanto il Capo dello
Stato che la Corte costituzionale non potranno rinunciare totalmente alla
propria autonomia e al ruolo di garanti riconosciuto dalla Costituzione. Sono
invece ritenute possibili, come visto, dai sostenitori del NO.
Per esempio, sostiene
Besostri, «l’elezione del Presidente
della Repubblica dipenderà dalla lista vincitrice». Infatti dopo
l’ottavo scrutinio basterà per la sua elezione la maggioranza assoluta del Parlamento
(630 deputati e 100 senatori) in seduta comune, ossia 365 voti. Non dovrebbe
essere difficile al Capo del Governo trovare tra i senatori appartenenti al suo
stesso partito i 25 voti mancanti al numero dei deputati della maggioranza.
Quanto alla Corte
costituzionale, argomenta Besostri, cinque membri sono stati eletti finora
da un Parlamento di 945 membri in seduta comune. D’ora in poi ci sarebbero tre
membri eletti da una Camera nelle mani del Governo e due da un Senato di appena
100 membri, a mezzo servizio, i quali penseranno ovviamente a nominare giudici
che difendano i loro interessi e non i principi costituzionali.
Prodi tra
Berlusconi e Renzi
Seguendo con un certo distacco, anche se con interessata
curiosità, il dibattito in corso attorno alla riforma costituzionale
Boschi-Renzi, non mi sorprende che in fondo si contrappongano non opinioni
discordanti sui contenuti della riforma, ma due visioni della politica e dello
Stato tra di loro distanti e in parte contrapposte.
Curiosamente, all’attuale legge di modifica costituzionale
una delle critiche che muovono gli oppositori è la stessa che nel 2005 il capo
della sinistra Romano Prodi rivolgeva alla legge di riforma approvata
dal centrodestra (poi bocciata dal referendum), in cui veniva rafforzato
esplicitamente il potere del Presidente del Consiglio dei ministri e del
Governo. Diceva Prodi: «La Casa delle Libertà (CdL) prepara la dittatura della
maggioranza… Concentrano tutti i poteri nelle mani del premier, umiliano il parlamento
e limitano il ruolo delle istituzioni di garanzia». Allora la CdL replicava
come oggi la maggioranza renziana: «accuse fuori luogo e ridicole». Ai votanti
il giudizio finale, ma prima ritengo opportune alcune riflessioni conclusive,
nel prossimo articolo. (Segue)
Giovanni Longu
Berna, 14.09.2016
Berna, 14.09.2016
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