Quando Flavio Cotti diceva che la Svizzera è
un caso speciale, un «Sonderfall» (v. articolo del 16.12.2015), non diceva
qualcosa che già non si sapesse. Prima di lui l’avevano già detto in tanti, fin
dall’Ottocento, e non vi è storico serio che abbia mai sostenuto il contrario.
In effetti l’evoluzione della storia svizzera non è lineare, secondo un piano
logico che si realizza senza intoppi, senza contraddizioni, senza scontri,
soprattutto all’interno, visto che dall’esterno gli svizzeri si sono sempre
difesi bene, almeno dal 1815. Ancor oggi la Svizzera resta, sotto tanti
aspetti, un Sonderfall, difficile da interpretare.
La Svizzera vista dall’esterno
Vista dall’esterno, la Svizzera moderna è
facilmente riconoscibile, sia pure con molta approssimazione, grazie a una
serie di luoghi comuni: è il Paese degli orologi, della puntualità, della
pulizia, della cioccolata, naturalmente delle banche, del segreto bancario,
ecc. Ai più attenti osservatori, pochi in realtà, non sfugge tuttavia che la
Svizzera, pur essendo un piccolo Paese con poco più di otto milioni di
abitanti, è anche un grande Paese esportatore di prodotti di alta tecnologia,
uno dei Paesi più innovativi e competitivi del mondo, con ben due università
tra le prime venti del mondo, un sistema di servizi (commerciali, finanziari,
sanitari, previdenziali, turistici, formativi, ecc.) eccellente, una fitta rete
di trasporti, ecc. E c’è chi ha voluto fare della Svizzera il Paese della cuccagna,
della ricchezza, del benessere, dell’accoglienza per ricchi e anche poveri,
insomma un’isola felice in mezzo a un mare burrascoso.
La Svizzera vista dall’interno
Vista dall’interno, invece, la realtà svizzera
è meno idilliaca, molto più complessa e di non facile comprensione. Ha infatti
i suoi problemi, i suoi conflitti, le sue povertà, i suoi difetti, le sue
contraddizioni, le sue paure. Già, la paura. In Svizzera è di casa (v. articolo del 4.11.2015): paura del nuovo, del cambiamento, del rischio, di perdere il benessere duramente conquistato, di essere invasi dagli
stranieri, una paura, diceva Max Frisch che rende la Svizzera «un Paese
senza utopie», che appare «non come qualcosa in divenire, ma come qualcosa che
è diventato eccellente e va difeso».
Un altro grande scrittore svizzero, Friedrich
Dürrenmatt, ha paragonato la Svizzera addirittura a una prigione costruita
dagli stessi svizzeri per sentirsi più protetti, «al riparo da eventuali
aggressioni» (v. articolo del 14.5.2014). In più occasioni ne ha denunciato errori
e difetti, mettendo in dubbio l’«identità svizzera» perché «gli svizzeri» non
esistono, ma esistono gli svizzeri tedeschi, i romandi, i ticinesi, i
retoromanci. Tutti gli svizzeri si sentono «svizzeri» nei confronti degli
stranieri, ma tra di loro, tra le varie etnie, «il rapporto non è buono, anzi
di per sé non esiste alcun rapporto. Abitiamo gli uni accanto agli altri, ma
non insieme».
Il federalismo elvetico funziona
Mosaico della cupola del
Palazzo federale con al centro la croce svizzera e il motto «UNUS PRO OMNIBUS /OMNES PRO UNO» (uno per tutti, tutti per uno) |
1.
Il federalismo elvetico funziona
perché si fonda su regole semplici e certe di rango costituzionale o
convenzionale. La Costituzione del 1848 non lasciava dubbi: la Confederazione
riconosce la sovranità dei Cantoni come Stati federati e garantisce il loro
territorio, le loro costituzioni, ecc. Confederazione e Cantoni sono tenuti ad esercitare
i loro poteri conformemente alla Costituzione, senza prevaricazioni né da una
parte né dall’altra. Senza regole precise o accordi di principio (si pensi alla
concordanza o alla tolleranza) il federalismo non avrebbe retto alle spinte centripete esercitate dai diversi Cantoni.
2. Il federalismo funziona perché l’intervento delle istituzioni è basato
sul principio di sussidiarietà. Ciò significa che la Confederazione (intesa come Stato
centrale) lascia ai livelli istituzionali inferiori (Cantoni e Comuni) tutto
ciò che a questi livelli può essere risolto; spetta al livello istituzionale
superiore garantire il buon funzionamento e i risultati dei livelli inferiori.
3. Il federalismo e la coesione
nazionale s’ispirano anche al principio di solidarietà, secondo la
massima «tutti per uno – uno per tutti», per cui ogni
membro dell’unione è chiamato a produrre il massimo sforzo per il bene di tutti
secondo le proprie possibilità, specialmente in caso di minaccia, pericolo,
difficoltà, anche se concernesse solo una parte minoritaria del Paese.
Per rendere un Paese e le sue istituzioni funzionanti evidentemente non
bastano i principi costituzionali o convenzionali: ben più importante è la loro
applicazione pratica. In Svizzera, pur con tutti i difetti tipici di ogni
organismo sano ma perfettibile, i buoni risultati rendono testimonianza che i
principi sono (ancora) validi e la pratica incoraggiante. (segue)
Giovanni
Longu
Berna, 23.12.2015
Berna, 23.12.2015
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