Nessuno mette in dubbio il ruolo fondamentale del trio De Gasperi, Adenauer e Schuman nell'avvio dell’integrazione europea, mentre pochi sembrano disposti a riconoscergli un ruolo determinante nella caratterizzazione delle istituzioni europee nascenti con connotazioni «cristiane». L’esitazione è dovuta probabilmente alla difficoltà di identificare questi caratteri particolari nelle scelte e nelle azioni del trio e forse anche alla costatazione che alcuni di quei valori si sono, purtroppo, persi o affievoliti nel tempo. Eppure, in De Gasperi, Adenauer e Schuman, ferventi cattolici praticanti, i valori «cristiani» erano esistenziali, facevano parte dei loro comportamenti, della loro vita privata e pubblica e quindi anche delle loro decisioni politiche.
Scelte fondamentali
Roma 1957: firma dei Trattati istitutivi della Comunità economica europea (CEE) e della Comunità europea dell'energia atomica (Euratom). |
L’impegno politico fu per tutti e tre una conseguenza logica
e irrinunciabile delle loro convinzioni religiose. Lo considerarono una «missione» da compiere con tutte le loro forze. Favorirono anzitutto la
riconciliazione tra Paesi che si erano aspramente combattuti e s’impegnarono a
diffondere nell'Europa occidentale (perché era impossibile agire contemporaneamente anche in quella
orientale) un sincero spirito di fratellanza, le libertà fondamentali, la
democrazia parlamentare, la solidarietà, la libertà religiosa, i valori
cristiani.
Con lo stesso spirito, De Gasperi, Adenauer e Schuman
decisero di dar vita alla prima Comunità europea, la CECA (Comunità Europea del
Carbone e dell’Acciaio), in cui non è difficile vedere anche nel nome un
richiamo sottile alla condizione delle prime comunità cristiane in cui «fra
loro tutto era comune» (cfr. articolo del 17.07.2024). La solidarietà doveva
essere un carattere fondamentale della nuova Europa.
Un’altra caratteristica «cristiana» del trio, che permeerà la sua azione politica nel progetto di costruzione europea, era anche il rigetto dei nazionalismi. Per Adenauer la frammentazione dell’Europa era un anacronismo, un non-senso. Il suo partito democristiano (CDU) sosteneva che «le cose miglioreranno solo se cambia l’ideologia della nazione». Per De Gasperi «l’Europa esiste nella sua essenza, ma è visibilmente sminuzzata e tagliuzzata da divisioni territoriali, barriere economiche, rivalità nazionali. […] L’Europa esiste, ma è incatenata; sono questi ferri che bisogna spezzare. Le nostre strutture politiche accusano terribilmente la loro arteriosclerosi».
Inoltre, quando il trio parlava del popolo, anzi dei popoli,
non si trattava solo dell’abbandono di un corporativismo di classe, ma
dell’affermazione di un principio della dottrina sociale cattolica, valido per
tutti i popoli della terra. A questo principio si ispirava De Gasperi quando
sosteneva: «né capitalismo né comunismo, ma solidarismo di popolo».
Apertura all’Oriente
In questa prospettiva universalistica s’inseriva anche
l’idea del trio dell’unità dei popoli europei, da raggiungere non solo
eliminando le guerre, ma costruendo insieme l’Europa, con l’apporto specifico
delle peculiarità di ognuno. Non si trattava semplicemente di cancellare i
nazionalismi, le nazioni e le patrie, ma di dare a tutte le persone il senso di
appartenenza a una patria comune con culture diverse e valori condivisi con riferimenti
sicuri come la cultura umanistica, la fede giudaico-cristiana, la prospettiva
di pace e di prosperità comune.
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La prima Comunità europea, su iniziativa del trio Schuman, Adenauer, De Gasperi, era costituita da: Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi. |
Nonostante l’apparente contraddizione della scelta di stare
nel blocco occidentale (antisovietico), dell’adesione alla NATO e della
proposta (poi bocciata dalla.
Francia) di una Comunità Europea di Difesa, era
comune nel trio la convinzione che l’Europa per salvarsi e godere una pace
duratura dovesse essere unita e indipendente, dall'Atlantico agli Urali, e che
prima o poi i blocchi sarebbero crollati. Pertanto, l’Occidente non doveva chiudersi.
Anzi, sosteneva Schuman, «noi dobbiamo fare l’Europa non
solo nell'interesse dei popoli liberi, ma anche per potervi accogliere i popoli
dell’Europa Orientale […] quando ci chiederanno la loro adesione e il loro
appoggio morale».
Del resto, nessuno del trio pensava che i blocchi fossero destinati a durare per sempre. In un discorso pronunciato alla radio italiana il 5 gennaio 1952, De Gasperi, riferendosi al progetto di Comunità Europea di Difesa, in cui si discuteva di armi, di riarmo, di necessaria difesa, di mettersi insieme per la difesa delle proprie libertà, avvertì di non confondere quella che è l’occasione, il mezzo, la via per la costruzione, cioè il punto di partenza, con la costruzione stessa, con l'ideale verso cui tendiamo. «Non è che vogliamo creare un’organizzazione di armati, un campo trincerato in cui sia sempre necessario stare in armi per difenderci. Niente affatto. Cerchiamo di metterci insieme a difendere la nostra vitalità, le nostre possibilità di sviluppo per scoraggiare i tentativi che possono venire da qualsiasi parte per renderci impossibile questo sviluppo. Non è detto che questo sforzo debba durare eternamente, ma solo per il periodo critico, superato il quale, questa impresa si svilupperà permanentemente nella nostra vita collettiva»
Effettivamente, soprattutto dopo la morte di Stalin
(1953), i rapporti commerciali e culturali con i Paesi dell’Est europeo
cominciarono a migliorare, benché fossero ancora molto limitati. Anche il Vaticano cercò di utilizzare tutte le possibilità di dialogo che si presentavano (specialmente attraverso l'Ambasciata sovietica a Roma, contatti personali di alti prelati, viaggi esplorativi, tentativi di riallacciare rapporti diplomatici, ecc.) e non poteva non tener conto dell'atteggiamento di apertura del trio.
Grazie al trio!
Dai tempi di Schuman, De Gasperi e Adenauer il processo d’integrazione europea non si è più fermato, da sei Paesi membri si è passati agli attuali 27 e per altri Stati sono in corso trattative per l’adesione all'Unione. Certamente il trio ne andrebbe fiero, perché l’ampliamento era auspicato, ma forse chiederebbe ai nuovi dirigenti che fine hanno fatto le «radici cristiane» delle Comunità europee, perché i nazionalismi non sono ancora morti e l’orizzonte orientale si è persino ridotto, essendo bloccato molto prima della vista degli Urali. Potrebbe anche chiedere agli europei dell’UE se sono contenti dello stato della «Comunità», quali sono i loro sogni e le loro visioni, quali traguardi vorrebbero ancora raggiungere nei campi dei diritti umani, della lotta alla povertà, dell’integrazione dei popoli e delle culture, della libertà religiosa, della coesione e dell’unione, ecc. ecc.
Le risposte sarebbero molto interessanti e utili, ma dubito che gli attuali dirigenti dell’UE avrebbero voglia di rispondere a simili domande e a questa in particolare: che fine hanno fatto le «radici cristiane»?
Berna 31.07.2024
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