Con questo interrogativo si chiudeva l’articolo precedente sulle «radici cristiane» dell’Unione Europea (UE) e non era fuori luogo perché l’Europa, che si era formata fino alla prima guerra mondiale attingendo energie vitali dalla tradizione cristiana, dalla morte dei tre fondatori (De Gasperi, Adenauer e Schuman) della prima Comunità europea sembra aver dimenticato cosa è stata l’Europa da Carlo Magno in poi e soprattutto la spinta ideale che il trio ha impresso alla nuova Europa dopo lo sfacelo della seconda guerra mondiale. Sarebbe interessante esaminare le cause di questo oblio, ma richiederebbe troppo tempo e spazio. Lo si farà, comunque, almeno in parte, nei prossimi articoli, ricordando i numerosi richiami dei Papi a non dimenticare le «radici cristiane» dell’Europa.
Il
discrimine della seconda guerra mondiale
La seconda guerra mondiale ha segnato una netta separazione tra passato e futuro dell’Europa. Il passato è stato visto come nefasto e da evitare in ogni modo alle nuove generazioni. Il futuro avrebbe dovuto essere non solo diverso dal passato, ma anche strutturato in modo da scongiurare il rischio di tragedie come quelle vissute e consentire uno sviluppo comune per soddisfare le aspettative dei vari popoli europei. Per secoli il Cristianesimo aveva tenuto unita l’Europa e grazie ad esso aveva raggiunto la massima estensione dall'Atlantico agli Urali.
Il trio Schuman, De Gasperi
e Adenauer aveva trovato per così dire la «formula
magica» per correggere gli errori del passato ed evitare gli stessi nel futuro.
La nuova Europa doveva rassomigliare il più possibile a una Comunità in cui le
risorse fondamentali sono gestite in comune e le regole sono condivise da tutti
e rispettose dei diritti fondamentali di tutti.
Inoltre, aldilà delle regole,
doveva valere il principio della solidarietà tra i popoli, per cui i
rappresentanti delle istituzioni dovevano essere espressione almeno indiretta
della volontà popolare (democrazia), i popoli che si erano in passato
combattuti dovevano riconciliarsi e riconoscersi reciprocamente, la «Comunità Europea di Difesa» (CED) doveva servire per avere maggiori possibilità di
consolidarsi e svilupparsi, mai perdendo di vista l’obiettivo della cooperazione
solidale e della prosperità comune.
Che
fine hanno fatto le radici cristiane?
Difficilmente
le radici profonde e robuste soccombono alle intemperie e alla furia degli
incendi, per cui è da escludere che le radici cristiane siano morte. Del resto
la pianta, l’UE, è ancora viva, anche se non tutti i frutti corrispondono
probabilmente a quelli auspicati dal famoso trio. Non si spiegherebbero,
inoltre, tutti i tentativi dei Papi, da Giovanni
XXIII (1881-1963) in poi, a
tener viva in Europa la fede cristiana, il rispetto dei sacri valori della vita
e della morte, della libertà, dei diritti dei popoli e delle persone, la
solidarietà, la cooperazione internazionale, la prosperità comune.
Ciascun papa,
come si vedrà nei prossimi articoli, ha richiamato secondo la propria sensibilità
qualche valore cristiano trascurato o minimizzato, ma tutti in una maniera o
nell'altra hanno evidenziato mali presenti e pericoli futuri dovuti al
nazionalismo, al capitalismo, al materialismo, a una eccessiva secolarizzazione, ecc. I tre fondatori intuirono
la fragilità della loro «invenzione» fin dal 1952, quando videro fallire sul
nascere la CED perché i francesi le negarono il sostegno. A loro fu risparmiata
invece la delusione del rigetto (2003), soprattutto da parte francese, di un
progetto di «Costituzione europea» che conteneva vaghi riferimenti alle
«eredità culturali, religiose e umanistiche dell'Europa», senza alcun accenno
alle «radici cristiane» su cui aveva più volte insistito Giovanni Paolo II
(1920-2005).
Non fermarsi alla prima tappa!
Del resto, numerose proposte di riforma sono state bloccate
da veti incrociati, i nazionalismi hanno rialzato la testa, al bene comune si sono spesso anteposti il primato della propria «nazione» e
questioni economiche. D’altro canto gli stimoli per guardare avanti non mancano.
La visione all'epoca considerata utopistica dell’europeista spagnolo Díaz de Morales Bernuy (1792-1850), secondo cui l’Europa rappresentava già nell'Ottocento
una grande e unica nazione, che spaziava dalla Gran Bretagna alla Russia, dai
Paesi scandinavi all'Africa settentrionale e al Medio oriente, non è del tutto
estranea agli interessi dell’UE (anche se, per esempio, il «Piano Mattei» ha altri obiettivi). E anche se si parla quasi solo in termini
molto vaghi di Stati Uniti d’Europa perché nessuno Stato sembra disposto a
rinunciare a una parte della propria sovranità, l’obiettivo resta.
Infine, l’osservazione
di Jean Monnet (1888-1979), grande ispiratore della dichiarazione di Robert Schuman sulla creazione della CECA, secondo cui questa Comunità
doveva essere considerata «la prima tappa verso una federazione europea» andrebbe
presa sul serio e proseguire decisamente il processo integrativo. Gli
interventi dei Papi, come si vedrà, vanno tutti in questa direzione. E’
fondamentale non perdere di vista gli obiettivi.
Giovanni Longu
Berna, 7 agosto 2024.
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