L’immigrazione
italiana in Svizzera, fino al 1960, non aveva posto particolari problemi né
alle autorità italiane, né a quelle svizzere e nemmeno alla società civile. La
convivenza era tranquilla. Gli immigrati erano sempre fremd, stranieri,
ma benaccetti perché bravi lavoratori e in quel momento l’economia ne aveva
assoluto bisogno. La situazione mutò decisamente con l’immigrazione di massa
soprattutto dal Sud Italia agli inizi degli anni Sessanta.
Problemi e reazioni
Il ritmo di
accrescimento della popolazione straniera cominciò a preoccupare la destra
nazionalista svizzera, che vedeva il fenomeno, riprendendo
una vecchia espressione d’inizio secolo, come un’«invasione». Per spingere la
politica a intervenire non esitò a prospettare scenari terrificanti, dalla
crisi degli alloggi alla pressione sui salari, dall’imbarbarimento dei costumi
(spesso gli immigrati erano descritti come primitivi e immorali) al sopravvento
degli stranieri (paura di non sentirsi più padroni a casa propria), dal rischio
di perdere il posto di lavoro al rischio di agitazioni sociali, ecc.
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Allievi di uno dei primi corsi del Cisap (1966) |
D’altra parte non appariva molto promettente
la via delle contestazioni e delle rivendicazioni, né quelle avanzate da
qualche politico italiano sprovveduti (per es. il ministro del lavoro Sullo
nel 1961), né quelle portate avanti dagli attivisti di alcune associazioni (per
es. le Colonie libere italiane). Nei confronti dell’Italia, la Svizzera faceva
valere ad ogni occasione gli accordi bilaterali sottoscritti e la via
diplomatica, nei confronti di singoli politici non esitava a ricorrere
all’interdizione dell’entrata in Svizzera (come nel 1963), mentre nei confronti
di attivisti «comunisti» (anche delle CLI) l’espulsione era ritenuta la giusta
pena e un deterrente contro la propaganda ritenuta «pericolosa per la sicurezza
dello Stato».
CISAP soluzione esemplare
In questo ambiente è sorto il CISAP come
iniziativa di alcuni immigrati già inseriti nell’ambiente svizzero in favore
degli immigrati degli anni Sessanta che di questo ambiente avevano scarsa
conoscenza e che sentivano come estraneo o addirittura ostile. Per questi nuovi
immigrati il CISAP rappresentò una specie di ancora di salvezza perché li
portava, attraverso l’apprendimento della lingua locale e l’apprendimento di un
mestiere qualificato, a rompere il muro dell’isolamento ed entrare a testa alta
nell’ambiente «svizzero» del lavoro e dei rapporti sociali.
All’origine del CISAP c’è un’intuizione: quel
che rappresentava già allora la scuola per l’integrazione dei bambini in età
scolastica, per i lavoratori immigrati doveva essere la formazione
professionale adattata agli adulti. L’obiettivo era chiaro, ma la strada per
raggiungerlo difficile, perché significava riportare sui banchi di scuola e nei
laboratori di apprendimento persone giunte in Svizzera con altri obiettivi e prospettive di breve durata. Per di più,
nemmeno il recente Accordo italo-svizzero sull’immigrazione del 1964, che
riguardava molti aspetti della vita degli immigrati italiani, aveva affrontato
il problema della formazione professionale. Effettivamente, portare a scuola e
nelle officine migliaia di lavoratori, inizialmente poco motivati, dev’essere
stata un’impresa difficile e faticosa.
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1972: visita al CISAP del pres. della Confederazione
Nello Celio (da sin. J. Allenspach, amb. Figarolo di Gropello, N.Celio, G. Cenni). |
rispetto delle istituzioni (e forse per questo ha dovuto lasciare nel 1966 l’ambiente in cui si stava formando, quello delle Colonie libere!) e alla collaborazione sinergetica con le autorità italiane e svizzere, con le organizzazioni sindacali e padronali, con le istituzioni locali della formazione professionale.
L’anima dell’organizzazione era italiana,
impersonata dal dinamico, motivante e lungimirante Giorgio Cenni, ma il
console carismatico di allora Antonio Mancini volle alla presidenza
dell’ente, fin dall’atto costitutivo, uno svizzero, un professore di liceo
cosciente dei problemi degli immigrati e desideroso anch’egli di aiutarli a
risolverli, il prof. Josef Allenspach. Anche nella denominazione il
CISAP doveva rendere l’idea di questa collaborazione e da «Centro italiano in
Svizzera» divenne presto «Centro italo-svizzero».
Oggi è bello ricordare quel mondo di
cinquant’anni fa perché per noi è ampiamente superato (la nuova immigrazione
dall’Italia non è comparabile con quella del dopoguerra), ma può essere anche
utile per affrontare seriamente e ottimisticamente il problema delle nuove
immigrazioni, ad esempio proprio in Italia.
Giovanni
LonguBerna, 6.12.2016
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