I problemi della «migrazione» stanno diventando acuti non solo
per l’Europa ma per il mondo intero. Sono milioni le persone in movimento,
spesso in condizioni disumane, «alla ricerca - per citare Papa Francesco – della
felicità» o comunque «di una vita migliore». Se finora questi spostamenti di
masse avvenivano nella quasi totale indifferenza delle popolazioni non
direttamente coinvolte, oggi, di fronte a episodi drammatici sempre più
frequenti come i numerosi naufragi nel Mediterraneo, l’opinione pubblica
mondiale è più consapevole dell’entità e della gravità del fenomeno. Le
istituzioni sono prese di mira perché ritenute responsabili non tanto delle
cause delle migrazioni, quanto piuttosto della cattiva o comunque insufficiente
gestione del fenomeno.
UE in confusione
Per non parlare dell’inerzia delle Nazioni Unite, mi
soffermo solo sulla pochezza degli interventi decisi la settimana scorsa dall’Unione
europea (UE). Di fronte all'ennesimo dramma che si è appena consumato nel Mediterraneo
tra la Libia e l’Italia, il governo italiano ha fatto bene a chiedere la
convocazione urgente del Consiglio UE, ma non ha fatto nulla per provocare una
seria discussione su una politica migratoria europea comune.
Considero questa mancanza grave perché l’Italia, più di
qualsiasi altro Paese europeo, dovrebbe sapere che se la migrazione non è ben
gestita può creare seri problemi politici e sociali non solo nei Paesi di
partenza ma anche in quelli di transito e soprattutto di arrivo. Il fatto è che
non avendo l’Italia alcuna linea guida in materia d’immigrazione non può
nemmeno chiederla all’UE. E’ emblematica al riguardo la confusione
terminologica tra migranti, clandestini, richiedenti l’asilo, profughi,
rifugiati e altro ancora. Essa denota che non ci si rende conto che l’approccio
nei confronti dei «migranti» non può essere lo stesso che si deve avere con i «profughi»
e i «richiedenti l’asilo», per non parlare dei clandestini o infiltrati
terroristi. Di fatto non esiste né in Italia né nell’UE una politica
immigratoria comune.
«Triton» rinforzato, ma problemi di fondo irrisolti
L’ennesima conferma giunge dalla riunione straordinaria del
Consiglio UE. Poco meno di due anni fa l’Italia e l’UE avevano varato la missione
«Mare Nostrum» per fronteggiare l’emergenza umanitaria nel Mediterraneo (fino
alle coste del Nord Africa) dove i naufragi di profughi erano frequenti. Nel novembre
2014 la missione Mare Nostrum è stata sostituita con l’operazione Triton,
meno costosa e limitata al controllo delle acque territoriali italiane fino a
30 miglia nautiche dalla costa. Nella riunione del 23 aprile scorso, invece di
affrontare l’esigenza di nuovo approccio globale al fenomeno, il Consiglio UE si
è impegnato soltanto a rinforzare Triton (triplicandone il finanziamento) senza
cambiarne sostanzialmente la missione, ossia pattugliare le coste italiane per
impedire l’ingresso illegale nelle acque territoriali dell’UE.
In questo modo non si risolvono certo i problemi che stanno
all'origine del fenomeno, anzi non si fa che aumentare la confusione e
alimentare la disputa politica tra chi vorrebbe usare le maniere forti
(respingimenti, affondamento dei barconi con l’impiego di droni, blocco navale
sulle coste africane o addirittura con l’invasione della Libia) e chi non vuole
sottrarsi agli obblighi del soccorso in mare (anche oltre le 30 miglia dalla
costa), dell’accoglienza e della solidarietà (pur dichiarando guerra ai
trafficanti e ai nuovi schiavisti). All'interno dell’UE non c’è nemmeno la
condivisione di un metodo per l’accoglienza e la ripartizione dei «rifugiati»
tra tutti i Paesi membri.
La problematica della «migrazione» in senso proprio è
rimasta totalmente assente perché il quadro generale di riferimento resta una UE
che intende difendere i suoi confini (e i suoi interessi) da chiunque cerchi di
penetrarvi illegalmente, ovviamente fatte salve le convenzioni internazionali sui
doveri di soccorso a naufraghi e richiedenti l’asilo. Resta aperto, a mio
avviso, il problema degli sbarchi di tutti gli altri: se non hanno diritto
all'asilo (e in proposito l’UE ha chiesto all'Italia che la registrazione dei
rifugiati avvenga in modo adeguato secondo le regole UE!) vanno accolti o
espulsi? Altrimenti detto, dopo l’eventuale soccorso in mare, l’identificazione
e l’accoglienza negli appositi centri, dovranno essere trattenuti in vista
dell’espulsione o «convertiti» in immigrati regolari (anche se non hanno un
lavoro e mezzi di sostentamento) con la libertà di muoversi dove vogliono?
Mancanza di una visione comune europea
Per dare risposte concrete a queste o a simili domande è
forse indispensabile attuare politiche diverse ma complementari: almeno una fondata
sulla solidarietà nei confronti dei «profughi» costretti a fuggire (a causa di
guerre, persecuzioni, pericoli gravi imminenti) e una fondata su considerazioni
di tipo essenzialmente economico nei confronti dei «migranti». Per essere
efficaci, andrebbero condivise da tutti i 28 Paesi dell’UE e armonizzate in una
visione strategica comune che coinvolga anche i Paesi da cui provengono i
profughi/migranti.
Purtroppo questa visione comune manca, per cui risultano
insufficienti non solo la solidarietà praticata, ma anche l’atteggiamento dimostrato
nei confronti dei profughi e soprattutto la presa a carico, almeno in parte, dei
problemi dei Paesi da cui si continua a fuggire. Eppure appare evidente che per
impedire che si fugga non occorre creare sbarramenti, ma attuare una politica
d’investimenti massicci sul posto. Almeno a medio e a lungo termine ne
beneficerebbe sicuramente anche l’Unione europea. O si preferisce continuare a
rincorrere l’emergenza profughi, l’emergenza migranti, l’emergenza…?
Giovanni Longu
Berna, 29.04.2015
Berna, 29.04.2015
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