24 gennaio 2018

Tracce d’italianità nell’agglomerazione di Zurigo



La collettività italiana in Svizzera è sempre più integrata, ossia perde lentamente le caratteristiche originarie e assume sempre più le caratteristiche della popolazione locale, che contribuisce a modificare nel tempo, non senza tuttavia lasciare tracce inconfondibili della propria origine. A ben vedere, si possono scoprire facilmente un po’ ovunque, soprattutto nelle grandi città, nella loro storia urbanistica, architettonica, industriale, commerciale, ma soprattutto nella cultura, nell’arte, nel modo di vivere, di vestire, di nutrirsi, nei comportamenti sociali e persino nel linguaggio comune. Di questa realtà diffusa si cercherà di scoprirne le origini, in una serie di articoli riguardanti le principali città svizzere, a cominciare da Zurigo.

Italiani a Zurigo
La Casa d'Italia di Zurigo
In premessa va ricordato che l’agglomerazione di Zurigo (città centro e comuni periferici) è la più grande della Svizzera con circa 1,4 milioni di abitanti, molti dei quali di origine straniera. Nella sola città di Zurigo, che conta circa 410.000 abitanti, gli stranieri sono circa 136.000, ossia il 33% della popolazione totale. L’alta percentuale di stranieri denota il suo alto grado d’internazionalizzazione, che ha costantemente sviluppato fin dal XIX secolo.
Una delle principali componenti straniere è ancora oggi quella italiana, sviluppatasi dagli ultimi decenni dell’Ottocento e soprattutto dagli anni ’50 e ’60 del secolo scorso. Si tratta dei due periodi di più intensa immigrazione dall’Italia, dovuta alla necessità di manodopera estera di cui l’economia svizzera aveva maggiormente bisogno.
Quando nell’Ottocento giunse a Zurigo la prima ondata immigratoria, gli italiani (poche migliaia fino al 1900) non trovarono una terra senza tracce d’italianità, ma una città che aveva da tempo intensi rapporti con l’Italia (ancor prima dell’Unità), soprattutto di natura militare (mercenari svizzeri), commerciale (commercio di tessuti), industriale (industria della seta), ma anche culturale (intensi scambi fin dal periodo della Riforma nel XVI secolo). Gli immigrati italiani dell’Ottocento trovarono una città che aveva da tempo assorbito dai loro precursori «un contributo umano di qualità sul piano morale, intellettuale, spirituale, sociale ed economico» (M. Körner). Purtroppo ritrovarono anche nella città riformata la stessa xenofobia che voleva gli italiani del XVI secolo (per lo più profughi per motivi religiosi) o sottomessi (in mestieri subalterni) o innovatori (capaci di creare nuovi impieghi come seppero fare alcuni specialmente nell’industria tessile e della seta).
Molti italiani avevano messo a frutto «la loro formazione professionale, le loro avanzate conoscenze tecniche, i loro metodi nuovi e più razionali di produzione, come anche le loro relazioni commerciali e finanziarie già esistenti» ed ebbero enorme successo soprattutto nell’industria tessile, la spina dorsale dell’industria svizzera, nell’importazione di materie prime e di articoli di lusso e nell'esportazione di prodotti finiti zurighesi, ma avevano incontrato anche enormi ostacoli, come per esempio il divieto di diventare proprietari immobiliari. Per superarli dovevano naturalizzarsi, ma anche questa strada era piena di difficoltà dovute alla diffidenza degli zurighesi. Diventerà più facile alla seconda e alle successive generazioni, che s’integrarono perfettamente.

Zurigo città internazionale
Nel frattempo Zurigo era diventata un importante centro industriale, commerciale e culturale, noto anche all’estero. Prim’ancora della costituzione dello Stato federale (1848), Zurigo possedeva un’ampia rete industriale e commerciale, un’università (1833) e la prima ferrovia della Svizzera di 16 km fino a Baden (1847). Proprio questo suo carattere internazionale spinse ben presto la città a dotarsi di infrastrutture consone al ruolo che stava assumendo come «capitale economica» della Svizzera (quello di capitale politica era stato attribuito nel 1848 a Berna).
Monumento ad Alfred Escher
Due personaggi italiani ebbero un’importanza notevole in questa fase di sviluppo di Zurigo: l’ingegnere Luigi Negrelli (italiano sebbene nato in un paesino che allora apparteneva all’impero austroungarico) e il pensatore e uomo politico Carlo Cattaneo (milanese, poi esule in Ticino). Luigi Negrelli (1799-1858) diede un contributo notevole alla sistemazione urbanistica della città, realizzando, fra l’altro, la Münsterbrücke, il ponte del Duomo sulla Limmat. Carlo Cattaneo (1801-1869), dopo una visita a Zurigo con l’amico e futuro consigliere federale Stefano Franscini, divenne un convinto sostenitore dell’asse ferroviario italo-svizzero attraverso il Gottardo.
In pochi decenni Zurigo divenne un centro nodale per i principali collegamenti ferroviari delle direttrici est-ovest e nord-sud. Per far fronte alle crescenti esigenze del traffico la città dovette dotarsi di un’ampia Stazione centrale (1867-1871), progettata ispirandosi ad un bagno dell’antica Roma con una grande area centrale chiusa da vetrate e abbellito da un grandioso arco di trionfo. Davanti all’arco di trionfo venne in seguito eretto un monumento dedicato al pioniere delle ferrovie svizzere Alfred Escher, nonché fondatore del Credito Svizzero e sostenitore del grande sviluppo della Zurigo dell’Ottocento.
Una visita ideale di Zurigo alla ricerca di tracce del contributo dato a questa città dagli immigrati italiani dell’Ottocento e del Novecento non può che prendere l’avvio dalla Stazione centrale. E’ qui, infatti, che arrivavano gli immigrati dall’Italia, quando la città aveva bisogno di manodopera per abbellirsi di nuovi palazzi, realizzare una moderna edilizia residenziale, sviluppare le industrie. Molti italiani erano sicuramente addetti all’edilizia. Nel 1894 dovevano essere già numerosi perché erano impiegati nell’edilizia 3510 stranieri su 13.384 addetti, ossia il 25%. Molti erano sicuramente italiani (nel 1900 c’erano a Zurigo circa 6000 italiani).

Il quartiere Aussersihl
Prima del 1891, la zona attraversata dalla ferrovia e dalla stazione centrale, sulla riva sinistra del fiume Limmat (che nasce dal lago di Zurigo), costituiva il comune di Aussersihl (il Sihl è un piccolo affluente del Limmat), che si era sviluppato quando Zurigo cominciava ad espandersi. A causa di forti debiti, il comune venne assorbito nel 1891 dalla città di Zurigo e ne divenne il Circondario III (suddiviso poi, nel 1913, in tre circondari: III, IV e V, ma lasciando al IV il nome Aussersihl). Essendo un quartiere popolare e operaio (a destra della ferrovia stava sorgendo una zona industriale), gran parte degli italiani che arrivavano in città si sistemavano ad Aussersihl, raggiungendo all’epoca dei tumulti anti-italiani (Italiener-Krawall, 1896) una popolazione di alcune migliaia di persone.
Il quartiere di Aussersihl
Nel quartiere di Aussersihl e via via anche in altre zone della città in grande espansione, con la presenza degli italiani andava diffondendosi anche ogni sorta di attività e negozi italiani, soprattutto ristoranti, frequentati non solo dagli italiani, ma anche dagli svizzeri. Nel quartiere sorsero e si svilupparono le prime associazioni di immigrati italiani, uomini e donne. Agli inizi degli anni ’30, sotto il fascismo, venne costruita anche la «Casa degli Italiani» allo scopo di riunire in un unico edificio le sedi del Fascio, delle Organizzazioni giovanili, del Dopolavoro, della Dante Alighieri e delle varie società.
Fin dal 1894, in questa parte della città esisteva un gruppo organizzato di esponenti socialisti dell'emigrazione italiana, che fondarono nel 1899 il giornale «L'Avvenire dei lavoratori» (ora settimanale on line) e nel 1905 anche la «Società cooperativa italiana di Zurigo» allo scopo di aggregare gli italiani residenti nella regione e di aprire un ristorante per fornire a prezzi modesti pasti nutrienti agli operai.
Ben presto il ristorante «Cooperativo» (conosciuto più comunemente come «Coopi») divenne anche un centro dell’antifascismo e un luogo d’incontro di personaggi famosi della sinistra europea come Mussolini (1913), allora socialista, Lenin (1917), Angelica Balabanoff, Giacomo Matteotti, Pietro Nenni, Giuseppe Saragat, Antonio Gramsci, Sandro Pertini, Ignazio Silone, Bertolt Brecht, Max Frisch e più tardi Ezio Canonica (che fu presidente della Società cooperativa), il pittore italo-svizzero Mario Comensoli, il giornalista e uomo politico Dario Robbiani, l’ex Consigliere federale Moritz Leuenberger e molti altri.

L’immigrazione italiana oggi
La popolazione italiana immigrata e non (prima e seconda generazione), in continua crescita fino allo scoppio della prima guerra mondiale, è divenuta a Zurigo il gruppo nazionale straniero più importante dalla ripresa dell’immigrazione nel secondo dopoguerra, fino a raggiungere la punta massima agli inizi degli anni ’70 (1970: 37.776 italiani). Da allora è iniziata una progressiva diminuzione fino al 2015 (14.276 persone). Nel 2016 si è registrato un leggero aumento degli italiani (14.543).
Soprattutto negli ultimi decenni la partecipazione degli italiani è attestata in tutti i settori della vita economica, sociale, culturale e persino politica. Nessun quartiere è più caratterizzato da una forte presenza di italiani, ma l’italianità è diffusa nel tessuto sociale e culturale della città, soprattutto grazie ad alcune istituzioni tutt’ora presenti e attive quali il Consolato generale d’Italia, la Casa d’Italia (oggi in fase di ristrutturazione), la Camera di Commercio Italiana per la Svizzera, l’Istituto Italiano di Cultura di Zurigo, scuole (Casa d’Italia, Liceo artistico Freudeberg, Liceo linguistico e scientifico Pier Martire Vermigli), Società Dante Alighieri, organizzazioni italiane (Comites, Federazione Colonie Libere Italiane, ecc.), giornali italiani, librerie,  negozi di prodotti italiani, bar e ristoranti.
Le tracce dell’italianità prodotta dagli italiani e in parte anche dai ticinesi a Zurigo sono praticamente ovunque.
Giovanni Longu
Berna, 24


.01.2018

17 gennaio 2018

Cittadinanza e integrazione «misurabile»



Il 2017 si è chiuso, in Italia, con l’affossamento di un disegno di legge di modifica delle norme sull’acquisizione della cittadinanza, che avrebbe consentito alla seconda generazione di stranieri di ottenere agevolmente la cittadinanza italiana in base al criterio dello jus soli, sia pure «temperato», come si è cercato di spiegare. In Svizzera, dal 1° gennaio 2018 è invece in vigore la nuova legge sulla cittadinanza, che indica chiaramente i criteri e la procedura per ottenere il passaporto rossocrociato. La mancata legge italiana e la nuova legge svizzera meritano, a mio parere, qualche considerazione di ordine generale.

Ragioni di una disfatta e di un’approvazione
Quando si affronta in un parlamento bicamerale paritetico, come sono quello italiano e quello svizzero, una problematica così complessa e a forte impatto sociale come la cittadinanza, è facile che le due camere decidano diversamente. Se manca il tempo per risolvere le divergenze si rischia di rendere inutile gran parte del lavoro parlamentare effettuato. Il primo errore della mancata approvazione della legge italiana è stato forse la frenesia di far approvare una legge che fin dall’inizio l’opinione pubblica riteneva divisiva e inopportuna. Il testo approvato il 13 ottobre 2015 dalla Camera dei deputati finì per arenarsi al Senato per finire, ingloriosamente, grazie al ricorso (indecoroso) alla mancanza del numero legale dei senatori in aula.
Giusto per un confronto, il disegno di legge di revisione totale della cittadinanza svizzera (risalente al 1952 e più volte modificata) era stato presentato il 4 marzo 2011. Inizialmente le posizioni dei gruppi parlamentari e delle due Camere erano molto divergenti, per cui occorsero numerose sedute e votazioni prima di trovare la piena concordanza sul testo finale, approvato il 20 giugno 2014 dal Consiglio nazionale con 135 sì, 60 no e 2 astensioni, e dal Consiglio degli Stati con 29 sì, 12 no e 4 astensioni. Su questa legge non è stato chiesto il referendum da nessuna forza politica, perché evidentemente tutte le hanno riconosciuto quel minimo di ragionevolezza ed efficacia necessario ad una legge con forte impatto sociale.
La ragione principale dell’affossamento della legge italiana non può essere ricercata tuttavia nei complessi meccanismi dell’iter legislativo e nemmeno nella durezza delle posizioni ideologiche dei parlamentari. Essa è dovuta, a mio parere, alla percezione della maggioranza dei senatori di una contrarietà dell’opinione pubblica, contro cui non si è sentita di imporre ragionevolmente una legge incomprensibile, non sentita, anzi chiaramente osteggiata. 

L’ostacolo dell’incomprensione
Da un punto di vista non tecnico-legislativo, ma semplicemente di buon senso, ho sempre ritenuto l’impianto del disegno di legge sulla cittadinanza italiana poco trasparente, incoerente e divisivo, a cominciare dall’uso spregiudicato (soprattutto da una parte dei media) di alcune espressioni come jus soli. Al confronto, la legge svizzera è molto più trasparente, coerente e poco divisiva (anche se alcuni commentatori hanno parlato di «durezza» di alcuni punti), a prescindere dal merito.
Sono convinto che se non si fosse insistito pervicacemente nell’espressione jus soli e si fosse parlato, per esempio, di facilitazioni per l’acquisto della cittadinanza italiana da parte dei giovani stranieri di seconda generazione, con l’introduzione di qualche meccanismo di controllo, quella legge sarebbe passata. Va infatti riconosciuto ch’essa non aveva niente di rivoluzionario e non sovvertiva affatto l’ordinamento italiano sulla cittadinanza. Aveva però un gravissimo difetto: non rispettava il sentire degli italiani, «le ragioni del cuore», avrebbe forse detto Blaise Pascal, con cui «conosciamo i principi primi».
Gli italiani non si sentivano preparati a una normativa più favorevole sulla cittadinanza, non ne percepivano la necessità e nemmeno l’opportunità, visto che in generale i giovani stranieri integrati di seconda generazione non sono discriminati (o almeno non dovrebbero) a causa della loro origine. Molti, pur sbagliando, vedevano in questo passo favorevole agli stranieri addirittura una discriminazione nei confronti degli italiani in condizioni ancor più disagiate.

Legge jus soli inutile e fuorviante
A creare allarmismo tra la popolazione e in alcune forze politiche è stata soprattutto la possibilità che attraverso quella legge entrasse nell’ordinamento italiano lo jus soli, cioè l’acquisizione automatica della cittadinanza per il solo fatto di nascere in territorio italiano. So che il testo della legge in discussione non andava in questa direzione e proprio per questo tale espressione avrebbe potuto essere eliminata senza alcun inconveniente, in quanto inutile e addirittura fuorviante. Inutile perché, come detto, si sarebbe potuto raggiungere l’obiettivo mirato in altro modo; fuorviante perché ha fatto ritenere a molti che la condizione necessaria e sufficiente per l’acquisto della cittadinanza fosse la nascita sul territorio italiano, dimenticando o minimizzando altre caratteristiche, pure indicate nella legge. Del tutto incomprensibile, per me, non essere intervenuti per tempo, alla Camera, per modificare un testo francamente incomprensibile.
E’ probabile che ad affossare la legge in discussione abbia contribuito anche la scarsa considerazione dell’origine dello jus soli per l’acquisto della cittadinanza. Esso fu adottato, in passato solo da alcuni Stati che si caratterizzavano come Paesi d’immigrazione classici (USA, Canada, Sudamerica, Australia), mentre l’Italia è solo parzialmente Paese d’immigrazione in quanto è ancora rilevante l’emigrazione di cittadini italiani. Una forma particolare di acquisizione della cittadinanza è quella che prende in considerazione alcune caratteristiche dello «jus soli» con altre e per questo chiamata «jus soli temperato». Anch’essa, tuttavia, in Italia sarebbe in buona parte incomprensibile, perché i Paesi che l’hanno adottata hanno caratteristiche diverse dall’Italia.
Un altro ostacolo ad accettare la legge dev’essere stata anche la considerazione che con lo jus soli collegato all’acquisto della cittadinanza direttamente alla nascita non fosse richiesta alcuna procedura di naturalizzazione (né domanda, né verifica dei requisiti, né possibilità di ricorso, ecc.), come non c’è quando la cittadinanza è acquistata in virtù dello jus sanguinis (per discendenza). E’ vero che nel disegno di legge affossato dal Senato si escludeva qualsiasi automatismo, ma non eliminava ogni dubbio. Tanto è vero che agganciato allo jus soli ce n’era subito un altro simile, ossia l’acquisizione della cittadinanza in seguito ad un percorso scolastico (jus culturae).

La legge svizzera sulla cittadinanza
In Svizzera, sebbene il linguaggio giuridico anche qui non sia sempre di facile comprensione per il cittadino medio, gli elementi essenziali della nuova legge sulla cittadinanza ha perlomeno il pregio della chiarezza. Essa indica i requisiti e le procedure, precisandole ulteriormente in un’ordinanza di applicazione, che impone una sorta di unità di dottrina a livello nazionale e armonizza le procedure di naturalizzazione a livello cantonale e comunale.
I requisiti fondamentali e generali sono soprattutto tre: disporre di un permesso di domicilio, vivere in Svizzera da almeno dieci anni ed essere ben integrato. A livello di dettaglio (e di chiarezza) trovo particolarmente interessanti i «Criteri d’integrazione». L’articolo 12 della legge li indica così: «Un’integrazione riuscita si desume segnatamente: a. dal rispetto della sicurezza e dell’ordine pubblici; b. dal rispetto dei valori della Costituzione federale; c. dalla facoltà di esprimersi nella vita quotidiana, oralmente e per scritto, in una lingua nazionale; d. dalla partecipazione alla vita economica o dall’acquisizione di una formazione; e e. dall’incoraggiamento e dal sostegno all’integrazione del coniuge, del partner registrato o dei figli minorenni sui quali è esercitata l’autorità parentale».
Quando alla «facoltà di esprimersi» è richiesta la conoscenza scritta (livello A2) e orale (B1) di una lingua nazionale, con riferimento ai valori stabiliti dal quadro comune di riferimento europeo (già adottato, per esempio, dalla Germania). Circa la procedura viene precisato che ogni Cantone designa l’autorità presso cui va presentata la domanda di naturalizzazione. Al termine dell’esame e delle verifiche (soprattutto in relazione all‘«integrazione riuscita», se il risultato è positivo la domanda di naturalizzazione sarà inviata dal Cantone alla Confederazione (Ufficio federale della migrazione) per l’autorizzazione federale di naturalizzazione.
Per una valutazione complessiva della nuova legge sulla cittadinanza svizzera si dovrà attendere qualche anno, ma il fatto stesso che sia stata approvata a grande maggioranza e che contro di essa non sia stato lanciato un referendum sta ad indicare che il legislatore, molto probabilmente, ha interpretato bene i desideri del popolo insistendo sull’integrazione quale condizione principale della naturalizzazione, nell’interesse della società e degli stessi naturalizzandi.
Giovanni Longu
Berna, 17.1.2018

06 gennaio 2018

Alain Berset presidente della Confederazione 2018


Il consigliere federale Alain Berset, capo del Dipartimento federale dell'interno (DFI) è il Presidente della Confederazione nel 2018
In Consiglio federale dal 2012, considera la «democrazia diretta» una caratteristica essenziale della Svizzera, ma avverte, «la democrazia diretta non è una democrazia di sondaggio, ma una democrazia decisionale. Non si può semplicemente inviare un segnale o pensare di rispondere a un sondaggio quando si mette una scheda nell'urna. Votare è un atto serio» (Swissinfo). Berset è anche un convinto sostenitore del plurilinguismo e della cultura in tutte le sue forme, anche se la sua funzione principale è concentrata nel sociale.
Nel suo discorso di Capodanno ha assicurato: «Il nostro Paese sta bene. E noi stiamo bene in questo Paese». Dunque: «possiamo guardare con fiducia al nuovo anno». 
Speriamo! Auguri signor Presidente della Confederazione.

04 gennaio 2018

2018 ricco di impegni e anniversari importanti



Per l’Italia, per la Svizzera e per l’Unione Europea il 2018 appena iniziato sarà un anno molto importante. Per l’Italia sarà determinante l’esito delle elezioni politiche di marzo: da esso dipenderanno la governabilità e la speranza di avviare a soluzione numerosi problemi strutturali che attendono da anni una soluzione. La Svizzera dovrà cercare un accordo quadro con l’Unione Europea (UE) e non sarà facile trovare il giusto equilibrio tra i legittimi interessi dell’una e dell’altra. Anche per l’UE il 2018 sarà un anno cruciale: dovrà decidere cosa vuole diventare, perché nei Paesi europei l’incertezza sul suo destino aumenta (cfr. Brexit, questione immigrati, ecc.) e i consensi sul suo assetto istituzionale attuale diminuiscono. Nel 2018 cadranno inoltre alcuni anniversari di grande rilevanza per la storia dell’immigrazione italiana in Svizzera e in questa rubrica verranno puntualmente ricordati. In breve, il 2018 sarà un anno intenso di eventi da seguire con attenzione e un po’ di sana passione. 

L’Italia e le riforme
Il 2017 si è chiuso in Italia a Camere sciolte in vista delle elezioni politiche del 4 marzo 2018, con un bilancio della legislatura controverso (a causa della forte contrapposizione tra maggioranza e minoranze) e un rammarico particolare di alcune forze politiche per non aver portato a termine l’iter legislativo sulla contestata modifica della legge sulla cittadinanza «jus soli».
Non ho titolo per dare un voto complessivo alla legislatura, ma ho l’impressione che il Parlamento non abbia svolto pienamente il suo ruolo di autorevole esecutore della Costituzione e di rappresentante del popolo sovrano. Spesso è stato al traino della volontà del Governo e molti suoi membri hanno violato lo spirito del mandato popolare (voltagabbana!). Auspico che il nuovo Parlamento interpreti più seriamente lo spirito della Costituzione e trovi tra maggioranza e minoranza il consenso necessario per le riforme che maggiormente attendono un’efficace soluzione.
Tra queste non mi sento di includere nuove norme sulla cittadinanza jus soli. Considerare una «pagina incivile per il nostro paese» non essere riusciti ad approvarle mi sembra esagerato; personalmente trovo più disdicevole non essere riusciti finora a creare una solida base legislativa per una politica seria ed efficace d’integrazione degli immigrati. Le discriminazioni avvengono o possono avvenire non a livello di diritti politici (cittadinanza) ma di diritti civili. Il razzismo non concerne i primi ma i secondi.
Potrebbe essere utile a tutti, cittadini e aspiranti cittadini, ma soprattutto politici e candidati, una riflessione sulla Costituzione italiana, che benché settantenne, esprime sempre valori universali e fondamentali, cominciando dall’articolo 1° che recita: «L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. / La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». Le celebrazioni per il 70° anniversario della sua entrata in vigore (1° gennaio 1948) potrebbero essere un’occasione da non perdere per riflettere sulla democrazia, sul bene comune, sul lavoro, ecc.

La Svizzera e l’UE
Con la fine del 2017 col segno positivo per gran parte degli indicatori della prosperità svizzera sembrava finir bene anche il sodalizio tra la Svizzera e l’Unione Europea. Dopo che la prima aveva deciso di offrire all’UE ben oltre un miliardo di franchi come contributo di «coesione» per ridurre le ineguaglianze tra i suoi Paesi membri, le relazioni tra Berna e Bruxelles sembrano decisamente volte al sereno. Invece niente da fare. Il gesto di solidarietà e di sostegno della Svizzera verso i partner europei è stato gradito ma non ritenuto sufficiente per concludere la vertenza su un accordo quadro dei rapporti bilaterali.
L’UE ha fatto sapere che attende questo accordo quadro o, secondo alcuni, la sottomissione della Svizzera al diritto europeo e nel frattempo questa dovrà figurare almeno per un anno in una lista «grigia» e in un regime di provvisorietà per quel che concerne l’equivalenza della borsa svizzera.
Da più parti si è gridato al doppio scandalo: quello di un’UE ingrata e prepotente (secondo alcuni al limite dell’illegalità internazionale) e quello dei ministri svizzeri che forse ingenuamente avevano creduto, dopo l’incontro di novembre a Berna tra la presidente della Confederazione Doris Leuthard e il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, che gli ostacoli stessero per essere superati nelle trattative sull’accordo quadro. Del resto proprio Juncker aveva parlato non più di un accordo istituzionale, ma di un «accordo di amicizia». Qualcuno ha subito auspicato misure di ritorsione contro l’UE.
Che ruolo abbia avuto in questa vicenda il neoconsigliere federale Ignazio Cassis non è dato sapere, ma tutti sperano che sappia trovare la soluzione all’intricata vicenda. Spero vivamente che ci riesca, ma deve tener presente che il braccio di ferro è da evitare perché in tal caso l’UE vincerebbe senz’altro. Piuttosto dovrà saper offrire alla controparte un contributo non solo finanziario ma soprattutto di valori, di idee e di esempi che la Svizzera può dare e che gioverebbero enormemente all’UE in questo momento.
Buon Anno Italia, Svizzera, Europa!
Giovanni Longu
Berna, 4 gennaio 2018