16 novembre 2022

Immigrazione italiana 1991-2000: 22. L’eredità degli immigrati italiani: senso della famiglia

La famiglia è sempre stata al centro degli interessi, delle speranze e dei problemi degli immigrati italiani in Svizzera. Nel tempo, però, la centralità della famiglia è cambiata nella società e di conseguenza anche negli immigrati. Si può essere d’accordo o meno sui cambiamenti che hanno finito per trasformarla, ma non si può dimenticare che milioni di immigrati italiani hanno orientato la loro esistenza al benessere della famiglia cosiddetta tradizionale: padre e madre e uno o più figli. Si deve anche aggiungere che, in generale, questo tipo di famiglia lasciato in eredità alla seconda generazione non veniva considerato solo il più comune e il più «naturale» tra persone adulte, ma anche il pilastro più solido della società, un autentico patrimonio dell’umanità, un’istituzione alla quale tutti si aggrappano anche per sopravvivere nel ricordo dei posteri.

Tutto cambia, anche il concetto di famiglia

Il Dio dei cristiani, incarnandosi, ha voluto
nascere in una famiglia (Lorenzo Lotto)
L’idea di famiglia che avevano gli immigrati italiani della prima generazione era semplice, non abbisognava di elaborazioni mentali particolari perché era «naturale» che tutti da grandi desiderassero sposarsi e avere una famiglia. Erano considerate eccezioni le persone che non riuscivano a realizzare quell'idea e suscitavano più compassione che comprensione. Generalmente non veniva nemmeno contestato il principio giuridico della famiglia fondata sul «matrimonio», anche perché il giorno della sua celebrazione era solitamente uno dei pochi di cui gli sposi si sarebbero ricordati fin nei particolari per tutta la vita.

Non a tutti evidentemente garbava che la famiglia si fondasse sul matrimonio, come voleva la tradizione e pure il diritto civile fondato sulla Costituzione (art. 29), anche se dagli anni Settanta tutti gli italiani sapevano che in Italia, come in molte altre parti del mondo, c’era la possibilità di divorziare se il matrimonio non era più sostenibile. Lo sapevano evidentemente anche gli immigrati in Svizzera, ma era considerata solitamente una possibilità remota, perché, si diceva, ci si sposa per sempre. E gli italiani si sposavano e facevano figli.

Nel 1970, quando gli italiani residenti erano oltre mezzo milione, fu registrato il numero massimo di matrimoni in cui almeno uno dei coniugi era di nazionalità italiana (4227) e anche il numero più elevato dei figli di madre italiana (18.452). Da allora, però, non solo cominciarono a diminuire i matrimoni e le nascite di italiani, ma cominciarono ad aumentare i divorzi (record nel 1999 con 1655 casi) e, soprattutto, altre forme di convivenza diverse dal matrimonio. Stava cambiando anche tra gli italiani l’idea della famiglia? Ebbene sì. Anche tra gli italiani, accanto alle famiglie regolari cominciarono a diffondersi dapprima le convivenze prematrimoniali e poi le convivenze tout court.

Della famiglia descritta dalla Costituzione italiana all'articolo 29 come «società naturale fondata sul matrimonio» andavano scomparendo nel sentire pubblico entrambi gli elementi di «società naturale» e «fondata sul matrimonio» (primo comma), mentre si rafforzava la parte in cui si dice che «il matrimonio è ordinato sull'uguaglianza morale e giuridica dei coniugi» (secondo comma).

Eredità o compito permanente?

Poiché entrambi gli aspetti dell’articolo 29 vanno modificandosi incessantemente dagli anni Settanta del secolo scorso anche tra gli italiani residenti in Svizzera, essi meritano qualche considerazione per capire se davvero la prima generazione lascia alla seconda e alla terza una buona eredità immediatamente spendibile o un compito permanente.

Non c’è dubbio che le concezioni sulla famiglia com'era intesa in passato in questi ultimi decenni si sono notevolmente modificate nell'opinione pubblica, nei media e persino nel diritto. Basti pensare all'introduzione del divorzio, alle «famiglie monoparentali» (di un solo genitore), alle «famiglie di fatto» (convivenze di due persone adulte non unite dal vincolo matrimoniale e talvolta nemmeno dai loro figli) o alle «famiglie omosessuali» (con possibili genitore A e genitore B) per rendersi conto che la famiglia tradizionale a cui era legata profondamente l’immigrazione italiana in Svizzera del dopoguerra oggi è pressoché scomparsa, almeno in alcune sue espressioni tipiche (matrimonio indissolubile, genitore capofamiglia, obbligo reciproco alla fedeltà e alla coabitazione, figli da «mantenere, istruire ed educare»).

Eppure sarebbe superficiale e sbagliato considerare quell'idea di famiglia tradizionale liquidata per sempre, proprio pensando al significato ch'essa ha rappresentato almeno per la stragrande maggioranza degli emigrati, ossia «il senso della vita», il bene supremo, lo scopo primario dell’emigrazione, forse ignorando, i primi emigranti, che avrebbe potuto comportare difficoltà inimmaginabili, incomprensioni, frustrazione, separazioni, privazioni, sofferenze fisiche e morali, rinunce importanti.

Oggi si può disquisire se la famiglia tradizione vada considerata superata perché le nuove forme di convivenza pure etichettate come «famiglie» si stanno affermando anche legalmente o se alcuni elementi della famiglia fondata sul matrimonio meritano di essere conservati e addirittura rafforzati. Tutte le opinioni sono legittime e rispettabili, ma bisogna chiedersi seriamente se la famiglia degli emigrati del dopoguerra non meriti di essere considerata comunque una preziosa eredità e quindi da preservare e difendere, perché forse può ancora esprimere valori irrinunciabili.

Famiglia tradizionale tra dubbi e certezze

Quando, trattando in generale della famiglia, si cerca di esaltarne le caratteristiche che l’hanno resa la cellula della società umana, patrimonio dell’umanità e nella sostanza insostituibile, inevitabilmente intervengono gli scettici per obiettare che non sempre la famiglia è il luogo della felicità, dell’armonia, dello sviluppo sano dei figli e pensano magari proprio alla famiglia di molti immigrati del dopoguerra. Hanno ragione, perché la famiglia «non sempre» garantisce tutto ciò e talvolta naufraga in un mare di guai. Anche per molti emigrati essa è stata fonte di grandi sofferenze e oggi nessuno può sostenere che sia un’istituzione perfetta. Non lo è mai stata. Eppure, come si vedrà meglio più avanti, anche la famiglia emigrata consente di affermare che, al momento, non ne esiste una migliore. Del resto, qui in Svizzera, la famiglia, nonostante i mutamenti sociali, resta ancora la forma di vita predominante degli adulti, anche stranieri.

Tondo Doni, Michelangelo
L’imperfezione della famiglia era palese anche tra gli immigrati italiani del dopoguerra. Per esempio, l’uguaglianza morale e giuridica tra i coniugi apparteneva più al mondo dei desideri (soprattutto da parte delle donne) che alla realtà. La dipendenza della donna (moglie e madre) dal «capofamiglia» (normalmente il marito e padre) era una condizione non solo diffusa ma ritenuta quasi «normale» in molti ambiti familiari, persino in Italia anche dopo la riforma del diritto di famiglia del 1975. I figli, poi, erano considerati sovente più fonti di preoccupazioni che motivi di gioia. Nei loro confronti i genitori hanno talvolta interpretato persino male il loro ruolo, specialmente nei campi dell’educazione, della formazione e della socialità.

Non si vuole riaprire qui il capitolo delle famiglie separate, ma si sa con quanta sofferenza è stata vissuta, soprattutto dalle madri, la separazione dai figli quando non potevano essere accuditi adeguatamente. Se ne parla poco, tranne che in alcune pubblicazioni volutamente polemiche e poco oggettive, ma è facile capire la sofferenza e l’umiliazione di genitori, e soprattutto di madri, costretti (e non certo inconsapevoli dei rischi) ad affidare i loro figli a parenti lontani, sapere che si affezionavano ai nonni che facevano loro da padre e da madre e che chiamavano papà e mamma, visto che quelli veri non li vedevano mai, rinunciare a vederli crescere, a iniziarli alla lettura e alla scrittura, ad avviarli nella vita.

Si può anche immagine con quanta gioia e quanta voglia di rimuovere evidenti sensi di colpa provavano questi genitori quando rientravano per le ferie, soprattutto a Natale, con valige stracolme di regali. Si può, invece, essere certi che anche questi immigrati con la loro vita testimoniavano che per il bene della famiglia, magari non nell'immediato, si potevano affrontare persino cammini di vita oltremodo difficili da percorrere senza badare a sofferenze, pericoli, privazioni, rinunce e persino sensi di colpa.

Valori da preservare

D’altra parte, se l’istituzione familiare è diffusa nel mondo intero, se è sopravvissuta attraverso le interminabili trasformazioni della società, se persino le «non-famiglie» vogliono essere considerate «famiglie» alla pari di quelle tradizionali, vuol dire che in queste ci sono delle qualità introvabili altrove, almeno tutte insieme. Il fatto che non siano perfette non significa che non siano perfettibili. Gli emigrati lo sapevano e per questo erano saldamente attaccati alla famiglia, che consideravano allo stesso tempo un fine e una tutela.

Alle nuove generazioni spetta il compito anzitutto di epurare i difetti della concezione del matrimonio e della famiglia che avevano genitori e nonni, ma soprattutto di conservare e sviluppare i valori che pure contenevano: la loro centralità nella vita individuale e sociale, il luogo privilegiato degli affetti più puri e sinceri, il sostegno reciproco anche nelle prove più difficili, il piacere dei migliori rapporti interpersonali.

Giovanni Longu
Berna, 16.11.2022

2 commenti:

  1. Franco Castrovillari
    Caro Giovanni premetto, che hai fatto un bel articolo sulla famiglia, ma nello stesso tempo affronti uno dei temi più discussi nella società contemporanea. Lattuale presidente della Camera dei deputati Lorenzo Fontana ha cercato di mettere in discussione il il diritto all'aborto e forse anche il divorzio. Conquiste raggiunte dopo iniziative e referendum che riscontrano molto consenso nella popolazione ancora oggi, creandosi molta avversità. Voler idealizzare la famiglia come unica forma di convivenza civile, credo oggi sarebbe sbagliato. Ma come tu scrivi, esiste nei migranti una forma più tradizionale di famiglia, forse dovuta al bisogno di sentirsi realizzati nella società. Ciò che oggi alle nuove e seconde generazioni non basta più. La partecipazione al lavoro, nel mondo politico o sociale ha trasformato anche la famiglia tradizionale e le aspettative dei coniugi che vogliono essere partecipi e in parte liberi da dipendenze finanziarie del coniuge, al punto che, o scelgono di non sposarsi o convivono per essere più liberi da scelte sbagliate. Un caro saluto Franco Castrovillari

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  2. Grazie, Franco Castrovillari, per questo tuo intervento. L’articolo, tuttavia, non tratta propriamente della famiglia in generale, ma del tipo di famiglia vissuto dagli immigrati della prima generazione, che ha avuto un ruolo centrale nella storia dell’immigrazione italiana del dopoguerra. Quella era «la famiglia» tipica degli immigrati italiani, fra l'altro tradizionalmente cattolici, (anche se già allora esistevano altri tipi di famiglia) e quella forma, credo, hanno voluto lasciare in eredità alle successive generazioni perché ritenuta la più «naturale» e la più «adatta» a tramandare i valori della famiglia. Non ho voluto espressamente dare giudizi su altre forme praticate oggi.

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