La famiglia è sempre stata al centro degli interessi, delle speranze e dei problemi degli immigrati italiani in Svizzera. Nel tempo, però, la centralità della famiglia è cambiata nella società e di conseguenza anche negli immigrati. Si può essere d’accordo o meno sui cambiamenti che hanno finito per trasformarla, ma non si può dimenticare che milioni di immigrati italiani hanno orientato la loro esistenza al benessere della famiglia cosiddetta tradizionale: padre e madre e uno o più figli. Si deve anche aggiungere che, in generale, questo tipo di famiglia lasciato in eredità alla seconda generazione non veniva considerato solo il più comune e il più «naturale» tra persone adulte, ma anche il pilastro più solido della società, un autentico patrimonio dell’umanità, un’istituzione alla quale tutti si aggrappano anche per sopravvivere nel ricordo dei posteri.
Tutto cambia, anche il concetto di famiglia
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Il Dio dei cristiani, incarnandosi, ha voluto nascere in una famiglia (Lorenzo Lotto) |
Non a tutti evidentemente garbava che la famiglia si
fondasse sul matrimonio, come voleva la tradizione e pure il diritto civile
fondato sulla Costituzione (art. 29), anche se dagli anni Settanta tutti gli
italiani sapevano che in Italia, come in molte altre parti del mondo, c’era la
possibilità di divorziare se il matrimonio non era più sostenibile. Lo sapevano
evidentemente anche gli immigrati in Svizzera, ma era considerata solitamente
una possibilità remota, perché, si diceva, ci si sposa per sempre. E gli
italiani si sposavano e facevano figli.
Nel 1970, quando gli italiani residenti erano oltre mezzo
milione, fu registrato il numero massimo di matrimoni in cui almeno uno dei
coniugi era di nazionalità italiana (4227) e anche il numero più elevato dei
figli di madre italiana (18.452). Da allora, però, non solo cominciarono a
diminuire i matrimoni e le nascite di italiani, ma cominciarono ad aumentare i divorzi
(record nel 1999 con 1655 casi) e, soprattutto, altre forme di convivenza
diverse dal matrimonio. Stava cambiando anche tra gli italiani l’idea della
famiglia? Ebbene sì. Anche tra gli italiani, accanto alle famiglie regolari cominciarono
a diffondersi dapprima le convivenze prematrimoniali e poi le convivenze tout
court.
Della famiglia descritta dalla Costituzione italiana
all'articolo 29 come «società naturale fondata sul matrimonio» andavano
scomparendo nel sentire pubblico entrambi gli elementi di «società naturale» e
«fondata sul matrimonio» (primo comma), mentre si rafforzava la parte in cui si
dice che «il matrimonio è ordinato sull'uguaglianza morale e giuridica dei
coniugi» (secondo comma).
Eredità o compito permanente?
Poiché entrambi gli aspetti dell’articolo 29 vanno
modificandosi incessantemente dagli anni Settanta del secolo scorso anche tra
gli italiani residenti in Svizzera, essi meritano qualche considerazione per
capire se davvero la prima generazione lascia alla seconda e alla terza una
buona eredità immediatamente spendibile o un compito permanente.
Non c’è dubbio che le concezioni sulla famiglia com'era
intesa in passato in questi ultimi decenni si sono notevolmente modificate
nell'opinione pubblica, nei media e persino nel diritto. Basti pensare all'introduzione
del divorzio, alle «famiglie monoparentali» (di un solo genitore), alle
«famiglie di fatto» (convivenze di due persone adulte non unite dal vincolo
matrimoniale e talvolta nemmeno dai loro figli) o alle «famiglie omosessuali» (con
possibili genitore A e genitore B) per rendersi conto che la famiglia
tradizionale a cui era legata profondamente l’immigrazione italiana in Svizzera
del dopoguerra oggi è pressoché scomparsa, almeno in alcune sue espressioni
tipiche (matrimonio indissolubile, genitore capofamiglia, obbligo reciproco
alla fedeltà e alla coabitazione, figli da «mantenere, istruire ed educare»).
Eppure sarebbe superficiale e sbagliato considerare
quell'idea di famiglia tradizionale liquidata per sempre, proprio pensando al
significato ch'essa ha rappresentato almeno per la stragrande maggioranza degli
emigrati, ossia «il senso della vita», il bene supremo, lo scopo primario
dell’emigrazione, forse ignorando, i primi emigranti, che avrebbe potuto
comportare difficoltà inimmaginabili, incomprensioni, frustrazione,
separazioni, privazioni, sofferenze fisiche e morali, rinunce importanti.
Oggi si può disquisire se la famiglia tradizione vada
considerata superata perché le nuove forme di convivenza pure etichettate come
«famiglie» si stanno affermando anche legalmente o se alcuni elementi della
famiglia fondata sul matrimonio meritano di essere conservati e addirittura
rafforzati. Tutte le opinioni sono legittime e rispettabili, ma bisogna
chiedersi seriamente se la famiglia degli emigrati del dopoguerra non meriti di
essere considerata comunque una preziosa eredità e quindi da preservare e
difendere, perché forse può ancora esprimere valori irrinunciabili.
Famiglia tradizionale tra dubbi e certezze
Quando, trattando in generale della famiglia, si cerca di
esaltarne le caratteristiche che l’hanno resa la cellula della società umana,
patrimonio dell’umanità e nella sostanza insostituibile, inevitabilmente
intervengono gli scettici per obiettare che non sempre la famiglia è il luogo
della felicità, dell’armonia, dello sviluppo sano dei figli e pensano magari proprio
alla famiglia di molti immigrati del dopoguerra. Hanno ragione, perché la
famiglia «non sempre» garantisce tutto ciò e talvolta naufraga in un mare di
guai. Anche per molti emigrati essa è stata fonte di grandi sofferenze e oggi
nessuno può sostenere che sia un’istituzione perfetta. Non lo è mai stata. Eppure,
come si vedrà meglio più avanti, anche la famiglia emigrata consente di
affermare che, al momento, non ne esiste una migliore. Del resto, qui in
Svizzera, la famiglia, nonostante i mutamenti sociali, resta ancora la forma di vita predominante degli adulti,
anche stranieri.
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Tondo Doni, Michelangelo |
Non si vuole riaprire qui il capitolo delle famiglie
separate, ma si sa con quanta sofferenza è stata vissuta, soprattutto dalle
madri, la separazione dai figli quando non potevano essere accuditi
adeguatamente. Se ne parla poco, tranne che in alcune pubblicazioni volutamente
polemiche e poco oggettive, ma è facile capire la sofferenza e l’umiliazione di
genitori, e soprattutto di madri, costretti (e non certo inconsapevoli dei
rischi) ad affidare i loro figli a parenti lontani, sapere che si affezionavano
ai nonni che facevano loro da padre e da madre e che chiamavano papà e mamma, visto
che quelli veri non li vedevano mai, rinunciare a vederli crescere, a iniziarli
alla lettura e alla scrittura, ad avviarli nella vita.
Si può anche immagine con quanta gioia e quanta voglia di rimuovere
evidenti sensi di colpa provavano questi genitori quando rientravano per le
ferie, soprattutto a Natale, con valige stracolme di regali. Si può, invece,
essere certi che anche questi immigrati con la loro vita testimoniavano che per
il bene della famiglia, magari non nell'immediato, si potevano affrontare persino
cammini di vita oltremodo difficili da percorrere senza badare a sofferenze,
pericoli, privazioni, rinunce e persino sensi di colpa.
Valori da preservare
D’altra parte, se l’istituzione familiare è diffusa nel
mondo intero, se è sopravvissuta attraverso le interminabili trasformazioni
della società, se persino le «non-famiglie» vogliono essere considerate «famiglie»
alla pari di quelle tradizionali, vuol dire che in queste ci sono delle qualità
introvabili altrove, almeno tutte insieme. Il fatto che non siano perfette non
significa che non siano perfettibili. Gli emigrati lo sapevano e per questo erano
saldamente attaccati alla famiglia, che consideravano allo stesso tempo un fine
e una tutela.
Alle nuove generazioni spetta il compito anzitutto di
epurare i difetti della concezione del matrimonio e della famiglia che avevano
genitori e nonni, ma soprattutto di conservare e sviluppare i valori che pure
contenevano: la loro centralità nella vita individuale e sociale, il luogo privilegiato
degli affetti più puri e sinceri, il sostegno reciproco anche nelle prove più
difficili, il piacere dei migliori rapporti interpersonali.
Giovanni Longu
Berna, 16.11.2022
Franco Castrovillari
RispondiEliminaCaro Giovanni premetto, che hai fatto un bel articolo sulla famiglia, ma nello stesso tempo affronti uno dei temi più discussi nella società contemporanea. Lattuale presidente della Camera dei deputati Lorenzo Fontana ha cercato di mettere in discussione il il diritto all'aborto e forse anche il divorzio. Conquiste raggiunte dopo iniziative e referendum che riscontrano molto consenso nella popolazione ancora oggi, creandosi molta avversità. Voler idealizzare la famiglia come unica forma di convivenza civile, credo oggi sarebbe sbagliato. Ma come tu scrivi, esiste nei migranti una forma più tradizionale di famiglia, forse dovuta al bisogno di sentirsi realizzati nella società. Ciò che oggi alle nuove e seconde generazioni non basta più. La partecipazione al lavoro, nel mondo politico o sociale ha trasformato anche la famiglia tradizionale e le aspettative dei coniugi che vogliono essere partecipi e in parte liberi da dipendenze finanziarie del coniuge, al punto che, o scelgono di non sposarsi o convivono per essere più liberi da scelte sbagliate. Un caro saluto Franco Castrovillari
Grazie, Franco Castrovillari, per questo tuo intervento. L’articolo, tuttavia, non tratta propriamente della famiglia in generale, ma del tipo di famiglia vissuto dagli immigrati della prima generazione, che ha avuto un ruolo centrale nella storia dell’immigrazione italiana del dopoguerra. Quella era «la famiglia» tipica degli immigrati italiani, fra l'altro tradizionalmente cattolici, (anche se già allora esistevano altri tipi di famiglia) e quella forma, credo, hanno voluto lasciare in eredità alle successive generazioni perché ritenuta la più «naturale» e la più «adatta» a tramandare i valori della famiglia. Non ho voluto espressamente dare giudizi su altre forme praticate oggi.
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