09 novembre 2022

Immigrazione italiana 1991-2000: 21. L’eredità degli immigrati italiani: oggetti e documenti


Se ne parla poco, ma la prima generazione di immigrati italiani giunti in Svizzera nei primi decenni del dopoguerra ha lasciato in eredità alla seconda e terza generazione un ricco patrimonio di oggetti e di ricordi tramandati soprattutto oralmente ma anche in forma scritta e video. La memorialistica è immensa, ma dispersa, in gran parte nascosta e ad alto rischio di sparizione. Infatti non c’è nessuno che la consideri un’eredità preziosa e, soprattutto, si preoccupi di conservarla, inventariarla, valorizzarla e renderla disponibile non solo per gli studiosi ma anche per discendenti alla ricerca delle proprie origini, per gli storici della migrazione, per gli studiosi dell’italianità in Svizzera, per chiunque. E’ realizzabile in questo Paese un museo della memoria dell’immigrazione? Chi dovrebbe o potrebbe farsene carico?

Domande in attesa di risposte

Appunti di un emigrato (1974)
Non è facile rispondere a queste domande, ma alcune considerazioni possono facilitare le risposte. I
musei hanno non solo la funzione della conservazione, ma anche quella di stimolare e facilitare la ricerca. In Svizzera, a conoscenza di chi scrive, non ci sono musei dell’immigrazione italiana (anche se di tanto in tanto si organizzano esposizioni particolari), non esiste nessuna raccolta sistematica e accessibile di oggetti, documenti, statuti societari, album fotografici, diari riconducibili a immigrati italiani. Esiste solo un reparto della sezione d’italiano dell’università di Losanna che raccoglie scritti letterari di italiani e italo-svizzeri, ma si tratta, com’è facile capire, di elaborati, non di originali, e hanno un carattere specificamente letterario e non documentale.

Eppure in Svizzera l’immigrazione italiana ha una storia ultracentenaria. Qui hanno vissuto e lasciato tracce indelebili milioni di italiani. Dall'Unità d’Italia ad oggi hanno partecipato allo sviluppo di questo Paese, per qualche stagione o per anni, non meno di 4 milioni di persone. E’ vero che, tradizionalmente, si emigrava per lavorare o per stare vicini a chi era già emigrato o emigrata e non si pensava a conservare appunti, a registrare sensazioni e fatti quotidiani e tantomeno a raccoglierli in volumi, eppure soprattutto molte immigrate hanno tenuto diari, conservato lettere e fotografie, si confidavano con amici e amiche, raccontavano sentimenti ed esperienze nella corrispondenza con i parenti rimasti in Italia. Esiste certamente, racchiusa in molti cassetti, una massa di documenti che, sfoltiti, esaminati e raccolti sistematicamente, potrebbero aiutare gli studiosi ad animare le aride cifre delle statistiche.

In epoca più recente, col progredire della capacità di scrittura di numerosi immigrati e del desiderio di conoscere le proprie origini da parte della seconda e terza generazione, le pubblicazioni si sono moltiplicate: diari, racconti autobiografici, tesine di maturità, tesi di laurea, ricerche, raccolte di articoli e di interviste, studi scientifici, saggi documentati, ecc.

Peccato che questa fonte d’informazioni preziose per la conservazione della memoria storica dell’immigrazione italiana in Svizzera non sia stata raccolta e resa accessibile al pubblico. Non potrebbe l’Ambasciata d’Italia promuovere la costituzione di un gruppo di lavoro con l’incarico di studiare la creazione di almeno un museo dell’immigrazione e della raccolta delle più significative opere cartacee, sonore e video in materia?

Fattibilità del museo degli italiani in Svizzera

In linea di principio sarebbe sbagliato sottovalutare le difficoltà organizzative, logistiche e finanziarie di un museo dell’immigrazione italiana in Svizzera, ma non sarebbe corretto nemmeno rinunciare all'idea di realizzarlo senza aver esaminato dettagliatamente alcun progetto. Pertanto è auspicabile che venga costituito il suddetto gruppo di lavoro ad hoc, non ignorando che di musei della migrazione ne esistono ormai in tutto il mondo.

Sistema di traduzione simultanea ideato dal Cisap 
Perché non realizzarne uno anche in questo Paese, tanto più che la Svizzera non sarebbe quella che è senza l’immigrazione, quella italiana in particolare. Poiché alcuni musei hanno già allestito esposizioni sugli immigrati italiani (per esempio a Zurigo, Losanna, Grenchen) basterebbe ispirarsi a quelle esperienze per idearne uno, magari di dimensioni ridotte.

Gli oggetti da esporre non farebbero certo difetto e sarebbe un peccato non raccogliere almeno quelli più significativi. Esiste, disperso in tutta la Svizzera, un ricco patrimonio di oggetti capaci di evocare le molteplici attività svolte dagli italiani. Si pensi ad alcuni strumenti di lavoro usati in alcuni comparti (edilizia, meccanica, automeccanica, elettronica, riparazioni, taglio e cucito, cura della persona, ecc.), ma anche a realizzazioni di pregio (per es. alcuni prototipi geniali di elettronica realizzati al CISAP fin dagli anni Settanta: orologio digitale, diversi alimentatori di corrente, mini-laboratori digitali, amplificatori per sale di conferenze, sistemi di traduzione simultanea, ecc.), opere d’arte (quadri, sculture, ceramiche), ecc.

Problemi logistici, finanziari e organizzativi costituirebbero senz’altro l’ostacolo maggiore, ma non insuperabile se ci fosse la ferma convinzione dell’utilità e dell’opportunità del museo. E’ anche su questi aspetti che il suddetto gruppo di lavoro dovrebbe concentrare l’attenzione.

Raccolta di documenti sull'immigrazione

Interessante testimonianza degli anni '50-70.
Meno problematica dovrebbe apparire la raccolta della documentazione sull'immigrazione italiana in Svizzera, perché i risvolti logistici, finanziari e organizzati sarebbero certamente minori rispetto alla realizzazione di un museo. Anche al riguardo, tuttavia, non si può fare a meno di sottolineare che gli inevitabili problemi potrebbero essere superati più facilmente se ci fosse alla base la convinzione dell’utilità e dell’opportunità della raccolta. Inoltre non va dimenticato che pure in proposito esistono già buone esperienze a cui ci si potrebbe ispirare.

La banca dati sopraccennata dell’Università di Losanna potrebbe costituire un buon punto di partenza. Utili fonti d’informazione sono anche i riferimenti bibliografici contenuti in alcune opere, per esempio tesi di laurea (già numerose soprattutto in Italia), cataloghi, opere collettive («Scrittori allo specchio» a cura di Giovanna Meyer Sabino del 1996, ecc.), recensioni sulla stampa d’emigrazione che riferisce spesso di opere d’immigrati.

Poiché le opere a carattere autobiografico sono ormai numerose, si tratterà anche di stabilire alcuni criteri essenziali per essere inserite nella raccolta. Modelli a cui ispirarsi potrebbero essere, giusto per fare qualche esempio in ordine cronologico di pubblicazione: F. Venturini, Nudi col passaporto (1969), L. Moraschinelli, L’albero che piange (1994), R. Ferrarese e M. Schiavone (a cura di), Storie di italiani nella Svizzera Orientale (2001), M. Schirone (a cura di), Storie di donne lucane (2001), F. Zosso e G.E. Marsico, Les bâtisseurs d’espoir, (2002), O. Grava, Diario di un emigrante friulano (2003), R. Ambrosi, Tra due culture, Otto ritratti di donne italiane in Svizzera (2004), B. Cappai, Autobiografia di un emigrato sardo in Svizzera (2018), S. Pinto, Un albero… un amore per un uomo qualunque (2022).

Anche per la raccolta fotografica, sonora e video dovranno essere elaborati analoghi criteri selettivi, in maniera che il materiale raccolto risponda alla finalità essenziale di documentare e stimolare la ricerca.

Una questione morale e di opportunità

Nell'affrontare questa tematica non dovrebbe sfuggire a nessuno che a ben vedere si tratta innanzitutto di una questione morale. Con la raccolta e la conservazione di un tesoro lasciato in eredità dalle prime generazioni di immigrati italiani alle successive si tratta anzitutto dell’opportunità di soddisfare un debito di riconoscenza e di rispetto nei loro confronti. Dietro ogni manufatto, ogni racconto, ogni libro di ricordi si celano vite di uomini e donne che hanno voluto dare un senso profondo alla loro esistenza, ma anche una speranza ai loro figli, affrontando con coraggio e ottimismo ogni sorta di difficoltà, pericoli, sofferenze, umiliazioni.

Sostenere questi progetti dovrebbe essere anche un segno di riconoscenza da parte dell’Italia, perché gli emigrati hanno contribuito direttamente o indirettamente a far crescere l’economia italiana e a diffondere in Svizzera il «made in Italy», le sue bellezze naturali e artistiche, la sua potente attrazione turistica. Dedicare loro un museo e una raccolta di documenti non dovrebbe essere un atto dovuto e un minimo segno di riconoscenza? Saprà farsene interprete autorevole l’Ambasciatore d’Italia in Svizzera Silvio Mignano?

Anche la Svizzera, tuttavia, non dovrebbe sottrarsi a questo debito di riconoscenza, perché, come ebbe a dire nel 1972 l’allora presidente della Confederazione Nello Celio, il saldo tra quello che gli immigrati italiani hanno dato e quello che hanno ricevuto è sempre a loro favore.

Infine, poiché i primi eredi delle prime generazioni sono sempre la seconda e la terza, sarebbe imperdonabile che queste non si facessero carico per prime della memoria di quanti le hanno precedute con tanto coraggio, infaticabile lavoro e grandi sacrifici.

Giovanni Longu
Berna 9.11.2022

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