Dopo il 1945, la paura dell’infiltrazione comunista spinse le autorità federali a limitare e controllare l’attività politica delle sinistre (partiti e sindacati) e specialmente degli stranieri immigrati (allora soprattutto italiani). Tra questi, ignari o incuranti dei rischi che correvano, molti attivisti continuarono a lungo la propaganda comunista (vietata) nelle associazioni e nelle fabbriche, col supporto del Partito comunista italiano (PCI), del Partito del Lavoro (PdL) e di alcune organizzazioni di sinistra. Nemmeno le numerose espulsioni riuscirono a far loro cambiare atteggiamento. Ancor oggi permangono seri interrogativi sulle reali motivazioni degli attivisti e dei loro ispiratori, sulla consapevolezza o meno della portata delle loro azioni, sui rischi e possibili danni alla politica di concordanza praticata in Svizzera anche verso gli stranieri.
La Svizzera,
molto ospitale nei confronti dei profughi e perseguitati, non ha mai gradito
che gli stranieri facessero propaganda politica sul proprio territorio,
soprattutto quando poteva sembrare finalizzata alla penetrazione dell’ideologia
comunista, ritenuta pericolosa per la sicurezza dello Stato e per il
mantenimento delle buone relazioni con i Paesi vicini.
Questo lo
sapevano bene gli emigranti di fine Ottocento, ai quali si raccomandava di
astenersi «dal prender parte alle lotte locali o alle dimostrazioni
politiche» e di ricordarsi sempre «di essere ospiti e non cittadini» (da un
Vademecum dell’Emigrante del 1911). Lo sapevano i fuorusciti italiani durante
il fascismo, che per poter restare in Svizzera dovevano astenersi dalla
propaganda antifascista. Lo sapevano le autorità diplomatiche e consolari
italiane dopo la revisione della legge federale sugli stranieri e relativa
ordinanza d’esecuzione (1.3.1949), in cui si precisava, fra l’altro, che
l’espulsione poteva essere giustificata anche «quando lo straniero contravviene
gravemente o reiteratamente alle disposizioni di legge o alle decisioni
dell'autorità» (ODDS 1949, art. 16, cpv. 2).
Avrebbero dovuto saperlo anche le organizzazioni degli immigrati e gli stessi
immigrati.
Furono numerosi, invece, gli attivisti comunisti che
facevano propaganda incuranti dei divieti e, forse, facendosi scudo della loro
militanza nel PdL, costituitosi nel
1944 dopo la proibizione nel 1940 del Partito comunista svizzero, ereditandone
l’ideologia e almeno in parte l’organizzazione. Alcuni comunisti italiani vi
avevano aderito, probabilmente per sentirsi al sicuro, trattandosi di un
partito legale. Avevano persino preteso, in accordo con la direzione del PCI, di
poter restare membri del PCI e di formare una specie di sezione autonoma del
PdL. Di fatto avevano fondato una sezione italiana del PdL, la «Federazione di
Lingua Italiana del Partito Svizzero del Lavoro» (Federazione). Il PCI, però,
nella sua autonomia, cercava di estendere la propria influenza sugli immigrati
italiani e sulle loro organizzazioni, in particolare le Colonie Libere
Italiane (CLI), molto ben organizzate e con molti aderenti. Allo scopo
venne costituita un’apposita «Commissione del Lavoro di Massa».
Molto
probabilmente nessuno straniero sospettava che da tempo era attiva in alcune
polizie cantonali e nella polizia federale l’individuazione e la sistematica
schedatura dei comunisti più in vista. Infatti, già nel 1948 il Consiglio federale
aveva fatto svolgere un’indagine sull’attività politica dei lavoratori italiani
in Svizzera. Temeva che il comunismo cercasse d’infiltrarsi in tutta la
collettività italiana immigrata, ormai molto consistente e ben organizzata, a
cominciare dalla Federazione delle Colonie Libere Italiane.
Probabilmente per dare un segnale chiaro, proprio nel 1948 ci furono le prime espulsioni
del dopoguerra (dopo quelle dei fascisti) di italiani presunti aderenti al
Partito comunista italiano. Le espulsioni dovevano «servire di lezione agli
altri».
Le espulsioni continuarono ancora a lungo, la propaganda comunista
anche, la polemica sull’anticomunismo svizzero pure; raramente si è posta
invece la questione sull’utilità per la collettività immigrata italiana del
perdurare di una tale situazione. (Segue)
Giovanni Longu
Berna, 29.05.2019
Berna, 29.05.2019
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