08 marzo 2019

Immigrazione italiana 1950-1970: 7. Donne i primi «immigrati» del dopoguerra


Se si chiedesse in un semplice sondaggio: chi sono stati i primi immigrati del dopoguerra, la risposta ovvia comincerebbe così: «i primi immigrati sono stati…», pur sapendo (cfr. articolo precedente del 6 marzo) che i primi immigrati sono state 300 donne della Valtellina. Si sa che nell’Ottocento e nel secolo scorso emigravano non solo uomini ma anche donne, eppure nelle narrazioni dell’emigrazione italiana si usano quasi esclusivamente sostantivi maschili, quasi che gli «emigrati», gli «immigrati», gli «italiani all’estero», i «lavoratori» fossero solo uomini. Difetto solo lessicale?

Insensibilità e disinformazione
Omaggio a tutte le donne, immigrate e non!
Oggi si è molto più sensibili che in passato all’uso appropriato del maschile e del femminile soprattutto nel campo delle professioni, per cui è giusto dire «ministra» se a capo di un ministero c’è una donna, così come direttrice, scrittrice, ecc. quando si indicano donne. Non altrettanto si riscontra quando ci si riferisce a gruppi sociali, per cui si continua a parlare, per esempio, di ricchi, poveri, professionisti, disoccupati, e anche emigranti, emigrati. Si tratta per lo più di un difetto lessicale per mancanza di esperienza e forse anche di coraggio nell’adeguamento del linguaggio alle sensibilità moderne.
Quando però si racconta l’emigrazione italiana, l’uso quasi esclusivo del maschile non indica solo una carenza di linguaggio appropriato, ma anche una carenza di conoscenza e di sensibilità e forse anche una forma di sottovalutazione del ruolo delle donne emigrate.
Raramente, soprattutto nelle narrazioni sull’emigrazione italiana del secondo dopoguerra, si ricorda che furono le donne a emigrare per prime e che le donne italiane immigrate in Svizzera sono state maggioritarie fino all’immigrazione di massa della fine degli anni Cinquanta del secolo scorso. Nel 1950 le donne italiane erano 77.423, i maschi italiani 62.835. Nel 1960 gli uomini presero il sopravvento: 217.428 contro 128.795. Da allora le donne sono state considerate meno protagoniste e forse meno importanti degli uomini.
«Si pensava di restare poco», film del 2004
Eppure le donne hanno continuato ad essere molto numerose, importanti e protagoniste in diversi ruoli, come lo erano già state nell’Ottocento. Le donne erano molto richieste per i servizi domestici, i servizi alberghieri e della ristorazione, negli ospedali e negli istituti, ma anche in molte attività industriali del tessile, dell’abbigliamento, dell’alimentazione. Dove le donne, da sempre, sono state protagoniste indiscusse è stata l’educazione dei figli. Se non ci fossero state le donne a garantire l’accompagnamento dei bambini e degli adolescenti nelle attività scolastiche e parascolastiche (per esempio, doposcuola, aiuto a fare i compiti), probabilmente la seconda generazione avrebbe avuto un diverso sviluppo, meno positivo.
Le donne sono state sempre in prima linea nelle lotte contro la discriminazione, l’intolleranza, i soprusi, la violenza nei confronti degli stranieri (per esempio, durante i tumulti di Berna e Zurigo del 1893 e 1896, durante gli scioperi e le manifestazioni pubbliche), hanno valorizzato l’associazionismo non solo quello assistenziale, ma anche quello formativo e culturale, sono state collaboratrici generose delle Missioni cattoliche italiane quando queste erano punti di riferimento importanti per moltissimi immigrati, anche per i rapporti con le autorità. E poi, come non ricordare le numerose suore, sempre presenti a fianco dei missionari, come «angeli custodi» degli immigrati italiani e delle loro famiglie, per sostenerli e aiutarli soprattutto là dove maggiore era il bisogno!(cfr. https://disappuntidigiovannilongu.blogspot.com/2011/10/le-suore-angeli-custodi-degli-emigrati.html). 

Sottovalutazione del ruolo delle donne
Che la narrazione dell’emigrazione italiana, almeno di quella in Svizzera, sia manchevole e forse ingiusta nei confronti delle donne lo dimostra non solo il fatto che se ne parli ancora poco, ma anche il parlarne mettendo in evidenza più aspetti negativi che virtù. Di molte donne italiane immigrate a cavallo tra Ottocento e Novecento si diceva che erano rozze, sporche, incolte e analfabete, ma non che si sacrificavano per la famiglia, che risparmiavano per mandare i soldi a casa e che molte si davano da fare per imparare oltre che a leggere e a scrivere anche un mestiere.
Spesso gli immigrati celibi o sposati ma non accompagnati dalla famiglia venivano considerati dei poveri disgraziati perché erano «uomini senza donne», per cui risultava comprensibile che questa condizione li trasformasse in persone «normali», che non disdegnavano il divertimento, le avventure sentimentali e persino l’infedeltà coniugale e il concubinato. Delle donne nubili si pensava invece facilmente che fossero poco serie, mentre delle mogli rimaste nel paese (povere «vedove bianche»!) si diceva che sollevavano «questioni morali preoccupanti» (Gabaccia).
Oggi per fortuna la considerazione delle donne immigrate è cambiata, anche perché dal dopoguerra in poi la loro evoluzione è stata un continuo avanzamento non tanto nelle organizzazioni degli immigrati (dove il maschilismo è ancora predominante), quanto nella società, nel mondo delle professioni, nella scuola, nella cultura, nella politica.
Giovanni Longu
Berna, 8 marzo 2019

Nessun commento:

Posta un commento