Si è visto nell’articolo precedente che lo stato di
salute dell’italiano in Svizzera è incerto e che per stabilizzarlo e
possibilmente migliorarlo la Confederazione da sola non può fare molto. I Cantoni
possono fare di più? E lo Stato italiano fa abbastanza? I corsi di lingua e
cultura rispondono ancora agli stessi bisogni delle origini? E gli italofoni
sono sufficientemente attivi nella valorizzazione dell’italiano? Provo a
rispondere a questi interrogativi non certo facili.
La responsabilità dei Cantoni
I Cantoni sono i
principali responsabili della politica linguistica sul territorio. La
Costituzione federale su questo punto è chiara: «I Cantoni designano le loro lingue ufficiali» (art. 70, cpv. 2 Cost.).
All’interno del loro territorio, sono dunque i Cantoni che decidono quali
lingue insegnare e promuovere, ma le loro decisioni non possono essere
arbitrarie. Per esempio, sono tenuti a «garantire la pace linguistica», a
«rispettare la composizione linguistica tradizionale delle regioni», a prendere
in considerazione «le minoranze linguistiche autoctone».
Un altro aspetto di cui i Cantoni devono tener
conto nella loro politica linguistica concerne il plurilinguismo,
considerato dalla Confederazione un bene primario per l’insieme della Svizzera
e quindi anche dei Cantoni. Nella prescrizione: «la Confederazione e i Cantoni
promuovono la comprensione e gli scambi tra le comunità linguistiche» (art. 70,
cpv. 3 Cost.) l’obbligo di promuovere non riguarda solo la Confederazione ma
anche i Cantoni. Nel linguaggio giuridico il presente indicativo (promuovono)
equivale a un imperativo, pertanto anche i Cantoni «devono promuovere» lo
sviluppo delle lingue nazionali a livello cantonale.
Quest’obbligo comune è esplicitato nella legge
federale sulle lingue. Dopo aver indicato gli obiettivi («a. rafforzare il
quadrilinguismo quale elemento essenziale della Svizzera; b. consolidare la
coesione interna del Paese; c. promuovere il plurilinguismo individuale e il plurilinguismo
istituzionale nell'uso delle lingue nazionali; d. salvaguardare e promuovere il
romancio e l'italiano in quanto lingue nazionali»), la legge precisa che «nell'adempimento dei suoi
compiti di politica linguistica e della comprensione tra le comunità
linguistiche, la Confederazione collabora con i Cantoni» (art. 2 e 3, cpv. 2 LLing).
Ciò significa, secondo il principio di sussidiarietà, che la Confederazione non
agisce per conto proprio, ma in collaborazione con i Cantoni intesi quali
attori principali.
I Cantoni possono e devono fare di più
Sotto questo profilo, i Cantoni fanno
abbastanza? Ritengo di no, anche se ci sono eccezioni. Pertanto, nei confronti
dei Cantoni meno sensibili e meno attivi, non solo la Confederazione, ma anche
le numerose istituzioni interessate dovrebbero essere più attive ed
esigenti. Mi riferisco in particolare al Gruppo interparlamentare «Italianità»,
agli organi istituzionali del Cantone Ticino, alla Conferenza svizzera dei
direttori cantonali della pubblica educazione, al Forum Helveticum,
all’associazione «Coscienza Svizzera» e naturalmente anche alle rappresentanze
diplomatiche e consolari italiane in Svizzera.
![](https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEifzJa9ZvOoRCRYtsPZh-weILbfHzN1YH8T5oFeHieMS8weyOvuKBl4I6oH1fp-6AWJtutzDk_2q82MzsU5BbrmQpsieSxe6NO8E8Rxjkai5eJqwZT-70HFXLndS2jeT0alrIx121a7Lmo/s320/Svizzera_Cantoni_1.png)
Mi sembra evidente, a questo punto, che solo
se i Cantoni attueranno una politica linguistica aperta e favorevole al
plurilinguismo, l’italiano continuerà ad essere lingua a diffusione nazionale e
contribuirà a rafforzare il marchio svizzero di Paese plurilingue e rispettoso
delle minoranze linguistiche. Per questo è necessario e urgente che tutti i
Cantoni siano stimolati, motivati e spinti a sostenere i desideri degli
italofoni, ma anche di numerosi francofoni e tedescofoni, di frequentare corsi
d’italiano, fin dalle scuole dell’obbligo, di approfondire le conoscenze
d’italiano, di organizzare eventi e quant’altro miranti a valorizzare la lingua
italiana, ecc.
Contributo dell’Italia
Quanto all’apporto che le rappresentanze diplomatiche
e consolari italiane in Svizzera possono fornire per valorizzare a livello
nazionale il patrimonio di lingua e di cultura che milioni di italiani hanno
contribuito ad accumulare in questo Paese, ritengo opportuna una riflessione partendo
dal passato e guardando al futuro. Essa è tanto più necessaria e urgente perché
quel patrimonio è andato in parte già perso e rischia di assottigliarsi sempre
più, anche se resterà la memoria storica affidata ai libri, alle fotografie, ai
filmati e ad alcuni manufatti prestigiosi.
So che il contributo dello Stato italiano per
la valorizzazione di tale patrimonio è stato ingente, ma finora era soprattutto
legato all’immigrazione. Ora che questo fenomeno da alcuni decenni non esiste
più, almeno nelle proporzioni conosciute fino ai primi anni Settanta del secolo
scorso, secondo me l’ottica degli interventi andrebbe modificata.
![](https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjOgxj9AIS5JqDG8CNf7kR9Ue3FyJ319HMd4e_3zNq-EtABNt1bWDK23yh92ug08V2qouIYHxmh32v6gMQJSl-hUmmw6HUKKPuEg8OAaH9mFth4Bj3-_fV2gwexe5SE6RFvaSYJFGg1_hc/s1600/imageIstituto_Italiano_Cultura_1.jpg)
Fino al 1971 gli interventi dello Stato in materia di assistenza scolastica
ai figli degli immigrati italiani all’estero si basavano su un decreto regio
del 1940. Negli anni Sessanta, il crescere della popolazione italiana immigrata
e il moltiplicarsi delle iniziative scolastiche per i bambini italiani,
soprattutto nella prospettiva di un prossimo rientro in patria, resero
necessaria una nuova base legale (legge 153 del 1971) per definire
meglio, nella struttura e nei fini, gli interventi dello Stato nelle materie
indicate.
Inserimento dei corsi di lingua e cultura
nella scuola svizzera
Nel 1967, quando fu
presentato al Senato il relativo disegno di legge
(«Iniziative scolastiche, di assistenza scolastica e di formazione e
perfezionamento professionali da attuare all’estero a favore dei lavoratori
italiani e loro familiari emigrati»), un punto qualificante della discussione
riguardò le modalità dell’attuazione dei corsi. Soprattutto i senatori del gruppo
comunista sottolinearono che ciò dovesse avvenire «in linea principale»
attraverso accordi con gli Stati interessati, «perché l'insegnamento stesso
avvenga con l'inserimento della nostra lingua nelle scuole dei Paesi di
residenza degli emigrati [grassetto mio]. Ove per determinate ragioni ciò
non si rendesse possibile, occorre istituire corsi di lingua, diretti e gestiti
dagli organi periferici del Ministero degli esteri, in accordo col Ministero
dell'istruzione».
L’«inserimento della nostra lingua nelle
scuole dei Paesi degli emigrati», dunque anche in Svizzera, non era solo una
richiesta del Partito comunista di allora, ma anche un auspicio del governo,
come dichiarò nel 1968 il Sottosegretario agli Esteri senatore Oliva in una riunione a Basilea con
tutti i dirigenti e insegnanti addetti all’istruzione ed
alle varie forme di assistenza scolastica per i figli dei lavoratori italiani
in Svizzera.
![](https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgFsJt9B3hkXf979jS4pPjQEInf-TNE4yxF1UcG7G8PJnYZFt3wP8j8-NTC3N1DiYBjr_lLf6vtvOb99oVAr0cugVgExuw1S6yolXM7qjDIMZBmG9GPtCyWW7ve_sn9na94U3cV5G2gOh0/s1600/Lingua_italiana_1.jpg)
Se in riferimento alla Svizzera l’impegno
dell’Italia è, come si legge nel sito dell’Ambasciata, «quello di destare
continuamente l’attenzione affinché la lingua italiana abbia lo spazio che le
compete», non vedo intervento più efficace di quello di cercare con ogni mezzo,
non escluso quello finanziario, l’inserimento di corsi d’italiano nei programmi
scolastici svizzeri (e non solo nell’orario scolastico). Credo che la via del
compromesso, eventualmente sotto forma di cogestione, cofinanziamento o altro,
sia possibile e pertanto da tentare.
Il contributo degli italofoni
Mi sembra evidente, tuttavia, che una delle
condizioni indispensabili per il raggiungimento di qualsiasi traguardo
auspicato e auspicabile, sia il supporto convinto degli italofoni. Per smuovere
la politica, motivare i Cantoni, spingere ad agire le rappresentanze
diplomatiche e consolari italiane, è indispensabile che a monte ci sia una
sostenuta mobilitazione e conseguente pressione degli italofoni, degli amanti
della lingua e della cultura italiana, degli insegnanti d’italiano ad ogni
livello, dei media in lingua italiana, delle associazioni, di tutti gli
interessati al rispetto, alla pratica, alla diffusione e alla valorizzazione
della lingua e della cultura italiane. Insieme, tutti questi protagonisti
potrebbero creare una massa critica tale da rendere possibile almeno in parte
quel che al momento è solo auspicabile.(Fine)
Giovanni Longu
Berna, 8.11.2016
Berna, 8.11.2016
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