All’indomani di ogni
votazione è inevitabile la domanda: «chi ha vinto e chi ha perso?», soprattutto
se il tema da decidere è di quelli sensibili come l’espulsione automatica dei
criminali stranieri condannati. Questo era infatti uno dei temi in votazione
in Svizzera il 28 febbraio scorso.
Mi sembra tuttavia troppo semplicistico
rispondere che, in democrazia, vince sempre la maggioranza, ossia chi prende
più voti, e perde la minoranza che ne prende di meno. Una legittima curiosità
vorrebbe un’identificazione dei vincitori e degli sconfitti con i partiti
politici, ma questo non è sempre possibile, perché per ogni oggetto in
votazione si possono creare maggioranze e minoranze diverse e uno stesso
partito può far parte della maggioranza in un caso e della minoranza in un
altro.
Personalmente
preferisco un altro approccio, chiedendomi pure chi ha vinto e chi ha perso, ma
soprattutto le motivazioni che hanno determinato nel caso specifico la maggioranza
che ha respinto con il 58,9% di voti l’iniziativa dell’Unione democratica di
centro (UDC) e la minoranza che la sosteneva.
Ha vinto la
democrazia
Anzitutto mi piace far
notare che in questo Paese vince sempre e comunque la democrazia perché il popolo
svizzero, chiamato periodicamente a esprimere il suo assenso o dissenso anche
su temi scottanti, si reca alle urne generalmente bene informato e decide
liberamente senza sentirsi obbligato a seguire le parole d’ordine dei
partiti, delle chiese, dei sindacati e dello stesso Parlamento rappresentativo.
Non oso immaginare
quali sarebbero i risultati se analoghi quesiti venissero proposti al voto
popolare in altri Paesi, per esempio in quelli che attorniano la Svizzera. Qui
il popolo svizzero, con una sorprendentemente alta partecipazione (63,4%), ha
respinto con il 58,9% di voti l’iniziativa popolare dell’Unione democratica di
centro (UDC) che voleva un certo automatismo delle espulsioni degli stranieri
criminali. Le percentuali sarebbero state molto più alte nei Paesi vicini?
Per cercare di
cogliere le motivazioni che hanno spinto l’elettorato a respingere l’iniziativa
UDC mi sembra opportuno ricordare che nella votazione del 28 novembre 2010,
vertente anch’essa sull’espulsione dei criminali stranieri (ma senza esigere l’automatismo),
il popolo svizzero aveva accettato con la maggioranza del 52,9% l’oggetto in
votazione.
Poiché a proporre
entrambe le iniziative sono state le stesse forze politiche, con in testa l’UDC,
il diverso risultato del 2010 e del 2016 mi fa dire anzitutto che il popolo
svizzero non è condizionato dai partiti e non è sempre disposto a premiare il
partito di maggioranza (alle ultime elezioni dello scorso anno l’UDC è
risultato il primo partito svizzero), ma giudica e decide con la testa non con
la pancia, alla luce di molteplici considerazioni.
Motivi del rigetto
E’ probabile, per
esempio, che la maggioranza dei votanti abbia ritenuto sufficiente la decisione
del 2010 (che prevedeva leggi, ordinanze d’applicazione e decisioni dei
tribunali per attuare un’espulsione) ed esagerata la proposta del 2016
di inserire nella Costituzione una sorta di espulsione automatica (per certe
tipologie di reati, anche di lieve gravità se ripetuti). Se ciò fosse vero (e personalmente
ne sono convinto) sbaglierebbe chi pensasse a una sorta di addolcimento del
popolo svizzero nei confronti dei criminali stranieri, come se avesse cambiato
idea in questi ultimi anni nei loro confronti. L’elettorato che si è recato a
votare sapeva infatti benissimo, anche perché la ministra della giustizia Simonetta
Sommaruga l’ha ripetuto più volte, che sta per entrare in vigore una legge
federale sulle espulsioni tra le più severe in Europa. Proprio per questo ha
ritenuto inutile e forse dannosa la nuova iniziativa dell’UDC.
Credo inoltre che il
popolo svizzero, notoriamente moderato e sostanzialmente conservatore, non ami
affatto tutte quelle proposte innovative che potrebbero sconvolgere la vita
sociale o le istituzioni consolidate da tempo. Certamente molti dei votanti
hanno ritenuto che l’accettazione dell’iniziativa dell’UDC avrebbe significato esautorare
in qualche modo la magistratura, attentare ai principi dello Stato di diritto
(fondato sulla separazione dei poteri), sfiduciare lo stesso Parlamento
incaricato di approvare una giusta legge di applicazione dell’iniziativa
approvata nel 2010, esporre la Svizzera a molte critiche da parte di importanti
istituzioni internazionali, ecc.
Sono anche convinto
che almeno una parte di coloro che hanno respinto l’iniziativa hanno valutato
anche il rischio di compromettere, se fosse stata accettata, la politica
d’integrazione che le istituzioni svizzere (Confederazione, Cantoni e
Comuni) stanno portando avanti da almeno una ventina d’anni con indubbi
successi. Molti gruppi di popolazione straniera (e metterei ai primi posti gli
italiani) non solo sono ben integrati, ma si sentono corresponsabili del futuro
della Svizzera.
Il futuro esige
maggiore integrazione e collaborazione
Se dopo la bocciatura
dell’iniziativa UDC si può tirare un sospiro di sollievo da parte
dell’elettorato moderato e maggiormente aperto agli stranieri, non credo che si
possa da nessuna parte (politica) gridare alla vittoria, perché se si è evitato
il peggio, non è detto che il futuro sia ormai definitivamente privo di
ostacoli.
Intanto non va
sottovalutata la forza dell’UDC che conserva un solido radicamento
nell’elettorato svizzero e incontra ancora molti consensi (a favore
dell’iniziativa si è espresso oltre il 40% dei votanti, ossia una percentuale
che va ben oltre la consistenza degli elettori del 2015 che hanno portato l’UDC
ad essere il primo partito della Svizzera). Inoltre si può stare certi che
questa forza verrà utilizzata per vigilare sull’applicazione della legge sulle espulsioni,
non certo per evitarle.
Resta pertanto ancora
molto da fare per una convivenza serena e collaborativa e tutti, svizzeri e
stranieri, dovrebbero contribuire a sviluppare ulteriormente la politica
d’integrazione, stimolare il senso di appartenenza e di collaborazione, restare
uniti perché la Svizzera prossimamente sarà chiamata a una grande prova di
compattezza e di solidarietà nelle trattative con l’Unione europea.
Giovanni Longu
Berna, 1° marzo 2016
Berna, 1° marzo 2016
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