L’Accordo tra l’Italia e la Svizzera firmato il 10 agosto
1964 avrebbe dovuto essere ratificato dai rispettivi parlamenti «il più presto
possibile» e, nell'attesa, entrare in vigore «provvisoriamente» il 1° novembre
1964 (art. 23, cpv. 1 dell’Accordo). Nel frattempo, come convenuto tra le
parti, sarebbe entrata in vigore la Convenzione sulle assicurazioni sociali (di
fatto il 1° settembre 1964).
Pressioni del governo italiano
A premere sull'entrata in vigore «il più presto possibile»
dell’Accordo era soprattutto il governo italiano, che non voleva subire gli
attacchi dell’opposizione comunista e dell’influente sindacato filocomunista
CGIL. A sostegno della richiesta del governo di centrosinistra erano
intervenuti anche i sindacati filogovernativi CISL e UIL che avevano
sollecitato l’Unione Sindacale Svizzera (USS) ad adoperarsi per una
conclusione urgente dell’Accordo e per una sua entrata in vigore «il più presto
possibile», in modo da consentire la ratifica e l’entrata in vigore della
Convenzione sulle assicurazioni sociali. Ogni giorno di ritardo, si riteneva,
avrebbe fatto il gioco dei comunisti che accusavano il governo italiano di non
difendere sufficientemente i lavoratori italiani emigrati in Svizzera e di aver
concluso una convenzione che non veniva applicata.
Ferdinando Storchi |
Quando si seppe che il parlamento svizzero avrebbe discusso
l’Accordo solo nella primavera del 1965 il governo italiano incaricò
l’ambasciatore d’Italia in Svizzera di esprimere il proprio rammarico per tale
rinvio. Il Consiglio federale fece sapere che sarebbe stato controproducente
fare pressione sul Parlamento e restò irremovibile al riguardo. Il governo
italiano dovette accettare il rinvio, ma anche le reazioni dell’opposizione
comunista che accusò il governo di arrendevolezza e di «colpevole silenzio».
D’altra parte, non era disposto a mettere a repentaglio il soddisfacente
compromesso raggiunto.
Che si trattasse di un buon accordo lo dimostrò, nel febbraio
1965, anche la breve discussione alla Camera dei deputati e soprattutto
la sua approvazione quasi unanime: 314 sì e solo 9 astensioni. In aula era
stato difeso con energia e passione dal sottosegretario Ferdinando Storchi,
rispondendo punto su punto alle obiezioni dell’opposizione comunista.
Interessi del Consiglio federale
Anche il Consiglio federale aveva interesse a far entrare in
vigore quanto prima l’Accordo, ritenuto tutto sommato soddisfacente, e far
entrare in vigore immediatamente la Convenzione per evitare che il clima
sociale potesse degenerare. Da Roma l’Ambasciata svizzera informava il
Dipartimento politico dei numerosi articoli critici sulla Svizzera, accusata di
facili espulsioni, di maltrattamenti di cittadini italiani, di sfruttare la manodopera
italiana senza prendersi carico degli inconvenienti connessi, di non far nulla
per garantire ai lavoratori sposati una vita familiare e di altro ancora. Del
resto anche in Svizzera da tempo la stampa andava evidenziando una situazione
della manodopera straniera insoddisfacente.
D’altra parte, fin dalla pubblicazione del comunicato stampa
sulla firma dell’Accordo del 10 agosto, che aveva suscitato non poche reazioni
negative, il Consiglio federale si rendeva conto che occorreva agire presto e
bene, per stemperare il clima conflittuale che si stava creando tra
italiani e svizzeri, dare garanzie sufficienti agli ambienti economici
che temevano difficoltà nel reclutamento, tranquillizzare gli ambienti
sindacali e privare la destra nazionalista di argomenti validi
contro la politica immigratoria del governo.
Reazioni talvolta ostili all’Accordo
E’ probabile che il Consiglio federale sottovalutasse i
problemi dell’immigrazione e soprattutto le reazioni all'Accordo da parte non
solo della destra nazionalista xenofoba ma anche di alcuni ambienti della
sinistra e dei sindacati, ma non si aspettava certo che il testo dell’Accordo
divenisse di dominio pubblico prima del previsto e, soprattutto, che sollevasse
tanta ostilità in un’ampia cerchia dell’opinione pubblica.
Il Consiglio federale aveva previsto, prudenzialmente, di
non pubblicare subito il testo dell’Accordo, ma di allegarlo al Messaggio che
avrebbe indirizzato alle Camere federali per la sua ratifica nel mese di
novembre. Invece il testo venne reso pubblico da un periodico dell’emigrazione
italiana, il 25 settembre 1964, scatenando una discussione enorme su tutta la
stampa svizzera e negli ambienti maggiormente interessati della politica, dei
sindacati e dell’economia, con prese di posizione talvolta ostili.
Reazioni molto negative si ebbero soprattutto negli ambienti
operai svizzeri, per la paura di un massiccio afflusso di lavoratori italiani e
delle loro famiglie, con conseguenze gravi soprattutto in materia di
abitazioni. Di riflesso si mostrarono molto preoccupati anche i sindacati e i
loro leader in parlamento, che chiesero ed ottennero dal Consiglio federale che
l’Accordo non entrasse in vigore, nemmeno provvisoriamente, prima di un ampio
dibattito parlamentare.
Il Consiglio federale si venne a trovare completamente
spiazzato sia per la tempistica e sia per l’ampiezza del fronte se non delle
opposizioni quantomeno delle posizioni critiche nei confronti della sua
politica immigratoria. Per far ratificare l’Accordo, raggiunto dopo non poche
difficoltà e ritenuto in definitiva «pienamente giustificato», doveva
agire tempestivamente informando l’opinione pubblica sulla reale portata
dell’Accordo, prima di affrontare le inevitabili contestazioni in Parlamento.
Punti controversi
Tra i punti più controversi facevano discutere specialmente
le presunte agevolazioni ai ricongiungimenti familiari degli stranieri
residenti con un impiego stabile in Svizzera. In base all'Accordo (art. 13),
infatti, «le autorità svizzere autorizzeranno la moglie e i figli minori di un
lavoratore italiano a raggiungere il capo famiglia per risiedere assieme a lui
in Svizzera dal momento in cui il soggiorno e l'impiego di tale lavoratore
potranno essere considerati sufficientemente stabili e durevoli», purché il
lavoratore disponga di un «alloggio adeguato». Nelle «Dichiarazioni comuni»
relative all'Accordo veniva precisato che sarebbero stati considerati
«sufficientemente stabili e durevoli il soggiorno e l'impiego dei lavoratori
italiani dopo un periodo di diciotto mesi di presenza
regolare e ininterrotta in Svizzera».
Il Consiglio federale aveva
autorizzato questa riduzione del periodo di attesa per il ricongiungimento
familiare da tre anni (prassi attuale) a 18 mesi (e persino meno in casi
particolari) non solo per venire incontro alle richieste italiane (entrata
immediata), ma anche per considerazioni di ordine morale, umano e non da ultimo
economico.
La reazione del consigliere federale Schaffner
Non tutta l’opinione pubblica era
tuttavia favorevole a questo compromesso, suscitando qualche irritazione nel
capo del Dipartimento politico Hans
Schaffner. Le infuocate reazioni seguite
alla pubblicazione del comunicato stampa che menzionava i temi principali dell’Accordo
erano dovute, secondo il consigliere federale Schaffner, soprattutto alla
mancanza d’informazioni corrette. Occorreva pertanto reagire immediatamente con
una conferenza stampa sulla reale portata dell’Accordo in particolare sul
ricongiungimento familiare. Rivolgendosi in una lettera al direttore
dell’UFIAML Max Holzer, scriveva fra l’altro:
«Credo che sia necessario organizzare una conferenza
stampa […] preparata con cura e accompagnata da materiale informativo. Gli svizzeri si fanno delle illusioni enormi se
credono che alla lunga possiamo richiamare dallo Stato nostro vicino solo la
popolazione attiva, inserita nella vita professionale, lasciando invece
famiglie, donne, bambini e anziani nel paese di origine della manodopera, che
in sé è benvenuta. Abbiamo in ogni caso un’immagine completamente sbagliata
della cosiddetta piramide della popolazione svizzera. La quota delle persone
attive professionalmente, che pagano contributi e tasse è in ogni caso troppo
favorevole in rapporto alla popolazione passiva o non più attiva, bambini,
anziani, casalinghe. Anche in questo senso ci facciamo grandi illusioni.
L’accordo con l’Italia può essere ben difeso. Bisogna dire per una volta in modo chiaro che alla lunga non si può imporre il celibato ai lavoratori stranieri, che alla lunga la separazione dalla famiglia non è una soluzione, che per questo abbiamo sicuramente fatto venire troppi e non troppo pochi lavoratori stranieri e che anche in relazione alla forza lavoro straniera prima o poi arriva «l’heure de la vérité»
Oltretutto le concessioni fatte dalla Svizzera sono a mio avviso relativamente modeste. Rimangono in ogni caso al di sotto di tutti i postulati e i desideri italiani. Non stanno neppure in alcun rapporto con le opportunità che la concorrenza nella CEE, anch’essa alla ricerca di manodopera straniera, è in grado di offrire…».
L’accordo con l’Italia può essere ben difeso. Bisogna dire per una volta in modo chiaro che alla lunga non si può imporre il celibato ai lavoratori stranieri, che alla lunga la separazione dalla famiglia non è una soluzione, che per questo abbiamo sicuramente fatto venire troppi e non troppo pochi lavoratori stranieri e che anche in relazione alla forza lavoro straniera prima o poi arriva «l’heure de la vérité»
Oltretutto le concessioni fatte dalla Svizzera sono a mio avviso relativamente modeste. Rimangono in ogni caso al di sotto di tutti i postulati e i desideri italiani. Non stanno neppure in alcun rapporto con le opportunità che la concorrenza nella CEE, anch’essa alla ricerca di manodopera straniera, è in grado di offrire…».
L’intervento dell’on. Schaffner non bastò a tranquillizzare
l’opinione pubblica, alcuni ambienti politici (soprattutto di destra), ma anche
dei sindacati. Occorsero interminabili discussioni parlamentari, soprattutto al
Consiglio nazionale, con sedute anche notturne, prima che si giungesse
all'approvazione dell’Accordo (17 marzo 1965).
Lungo dibattito parlamentare
Ben 64 deputati presero la parola, in un clima piuttosto
teso, che risentiva fortemente dell’aria antistranieri e antitaliana che si
respirava fuori dell’aula. Basti pensare che una delle parole maggiormente
usate (per ben 160 volte) nel dibattito al Consiglio nazionale è stata Überfremdung,
inforestierimento e per ben 22 volte si è evocato il pericolo
dell’inforestierimento, Überfremdungsgefahr.
Kurt Furgler |
Fra i tanti interventi che meriterebbero attenzione, accenno
soltanto a due, positivi, che mi sembrano significativi. Il primo è quello del
consigliere federale Hans Schaffner che invitava ad aver cura della tradizionale
amicizia con l’Italia, tenendo conto che «anche nella nuova Europa avremo
bisogno di amici!». Il secondo quello del relatore Kurt Furgler,
favorevole all’Accordo, che prima di commentare i vari articoli rivolse un
pensiero riconoscente «a quegli stranieri che hanno contribuito al benessere
della Svizzera», invitando i colleghi a non drammatizzare la situazione e
soprattutto a non cedere alla pericolosa xenofobia.
L’Accordo italo-svizzero fu approvato dal Consiglio
nazionale con 117 voti a favore e 26 contrari. Il 22 aprile 1965 entrò
finalmente in vigore. Per una sua valutazione complessiva si rimanda al
prossimo articolo. (Continua)
Giovanni Longu
Berna 22.10.2014
Berna 22.10.2014
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