Dopo l’interruzione del negoziato per un nuovo Accordo di
emigrazione in seguito alle esternazioni del ministro Sullo (in realtà per sostanziali
disaccordi sui vari oggetti in discussione), l’Italia e la Svizzera preferirono
trattare dapprima alcune questioni riguardanti le assicurazioni sociali dei
lavoratori italiani emigrati. Le richieste italiane in questo campo sembravano
più giudiziose e la Svizzera aveva interesse a concludere un nuovo accordo in
materia perché avrebbe dovuto costituire la soluzione da adottare in seguito anche
nei confronti degli altri lavoratori stranieri. La Svizzera aveva tuttavia
avvertito che i problemi riguardanti le assicurazioni sociali non potevano
essere disgiunti dagli interessi svizzeri in materia d’immigrazione di
manodopera italiana in Svizzera.
La sicurezza sociale anzitutto
La trattativa per una nuova Convenzione sulle assicurazioni sociali, cominciata nel marzo
Persino la CGIL, il sindacato della sinistra italiana,
dovette ammettere in un comunicato che la convenzione sulla quale si stava
discutendo, «pur prevedendo per gli emigrati in Svizzera un trattamento
inferiore a quello riservato agli italiani negli altri paesi del MEC,
costituirebbe un'innovazione assai seria in quanto prevede un sistema di
previdenze sociali e assicurerebbe ai lavoratori italiani emigrati in Svizzera
vantaggi ai quali i lavoratori svizzeri stessi ancora aspirano».
In effetti, il 14 dicembre 1962, a Roma, fu firmata la
nuova Convenzione tra la Confederazione Svizzera e la Repubblica italiana
relativa alla sicurezza sociale. Per il governo italiano si trattava
sicuramente di un successo, perché era riuscito ad assicurare agli emigrati
italiani in Svizzera condizioni simili a quelle che si stavano affermano nel
MEC. Anche per il Consiglio federale rappresentava un successo perché era
riuscito a concedere niente di più del dovuto e del possibile, inoltre era
riuscito a condizionare l’entrata in vigore di questa Convenzione alla conclusione
dell’Accordo generale di emigrazione. Per la sua entrata in vigore si dovrà
attendere pertanto il 1° settembre 1964.
Sbloccare la trattativa sull'Accordo di emigrazione
Procedeva invece a rilento la trattativa sull'Accordo di
emigrazione, anzi per tutto il 1962 e 1963 non avanzò affatto, salvo in alcuni
incontri ufficiosi tra il capo della delegazione svizzera Max Holzer
e quello della delegazione italiana Gino Pazzaglia. Le posizioni
governative, da una parte e dall'altra, sembravano rigidamente bloccate. Gli
incontri e i rapporti personali tra i negoziatori rappresentavano comunque la volontà
di cercare un’intesa in qualche punto intermedio tra le pretese italiane e la
rigidità svizzera. La trattativa sulle assicurazioni sociali stava a dimostrare
che con qualche rinuncia in più e qualche rifiuto in meno si potevano
raggiungere obiettivi buoni se non ottimi.
Le difficoltà oggettive sembravano tuttavia persistere.
Riguardavano soprattutto l’assicurazione malattia per i familiari in Italia, i ricongiungimenti
familiari e il miglioramento dello statuto di stagionale, temi su cui la Confederazione
andava ripetendo di non poter accondiscendere alle richieste italiane per
mancanza di competenze e per esigenze di politica interna. Da parte sua, il
governo italiano riteneva le rivendicazioni esposte nel 1961 come irrinunciabili.
In un articolo sul blocco delle trattative italo-svizzere, L’Unità
del 29.12.1961 scriveva: «Il governo di Berna passa alla rappresaglia. Italiani
emigrati in Svizzera vengono sostituiti con spagnoli». Non si trattava di
una rappresaglia, ma di una sostituzione di poche migliaia di emigrati italiani
addetti all'agricoltura e non più interessati a questo settore con braccianti
spagnoli più disponibili. Quell'espressione dell’organo del PCI sta tuttavia a
denotare il clima che si stava diffondendo nei primi anni Sessanta nei rapporti
italo-svizzeri riguardanti i lavoratori emigrati.
Rischio di un deterioramento del clima sociale
In effetti oggi sappiamo che in quel periodo in alcuni
ambienti economici e politici cresceva la paura di non poter più disporre come
prima (ossia facilmente e a buon mercato) della manodopera italiana e di doverla eventualmente sostituire. Anche il governo federale, di fronte alle crescenti
difficoltà di reclutamento della manodopera italiana (e spagnola), sondava
possibili alternative. Si sa che già agli inizi degli anni Sessanta premevano
per entrare in Svizzera greci, turchi, algerini, jugoslavi, oltre evidentemente
agli spagnoli già presenti e in aumento.
Le caratteristiche della manodopera italiana, nonostante le
difficoltà, apparivano tuttavia insuperabili e pertanto tutti gli ambienti
interessati auspicavano una rapida conclusione del negoziato in corso con l’Italia.
Oltretutto, man mano che il tempo passava senza prospettiva di un buon
risultato, il clima sociale riguardante la numerosa collettività italiana
rischiava di deteriorarsi. In alcuni ambienti della Svizzera tedesca cominciava
a sorgere e a diffondersi anche un vero e proprio sentimento anti italiano e in
particolare contro i meridionali.
Alcuni segnali preoccupanti di questo deterioramento furono
le numerose espulsioni dalla Svizzera di attivisti comunisti italiani, accusati
di mettere in pericolo la pace sociale e del lavoro. Qualche preoccupazione
venne espressa pubblicamente anche dalla sinistra politica e sindacale.
Il 21 giugno 1962 il consigliere nazionale socialista Willi
Ritschard inoltrò un postulato per la riduzione del numero dei lavoratori
stranieri. Nella motivazione della sua richiesta evocava anche la situazione
paradossale dei lavoratori italiani, che qui non si trovavano per nulla a loro
agio, ma non tornavano in patria nonostante ditte italiane con inserzioni nei
giornali svizzeri cercassero lavoratori italiani. Al postulante, che invocava
fra l’altro un plafond del numero di stranieri in continuo aumento e a rischio
di creare una forte dipendenza soprattutto economica dall’estero, il
consigliere federale Hans Schaffner rispose di condividere le sue
richieste anche a nome del Consiglio federale.
Ernst Wüthrich |
L’8 gennaio 1963 si tenne a Berna nella sede della Polizia
federale una riunione di rappresentanti della Polizia federale, della Polizia
federale degli stranieri, dell’Ufficio federale dell’industria, delle arti e
mestieri e del lavoro e dell’Ufficio federale delle assicurazioni sociali
riguardante «attività dei sindacati italiani in Svizzera» e in
particolare del patronato INCA facente capo «all'importante sindacato comunista
e nenniano CGIL». Alcuni interventi dei partecipanti lasciarono chiaramente
intendere che l’Unione sindacale svizzera non vedeva di buon occhio l’attività
dei sindacati italiani in Svizzera. Quanto poi all'attività dell’INCA, la
polizia federale fu invitata a continuare «la sorveglianza degli uffici dei
sindacati italiani».
Il 1° marzo 1963 il Consiglio federale intervenne con un
decreto, valido un anno, per limitare l’ammissione di lavoratori stranieri
entro il livello della manodopera estera raggiunto nel dicembre 1962. In effetti il numero
dei nuovi permessi accordati scese a 445.000 (ossia quasi 11.000 in meno del 1962).
Sblocco della trattativa e firma dell’Accordo
La situazione venne finalmente sbloccata a Berna in un
incontro tra alti funzionari italiani e svizzeri (29 novembre 1963) in un clima
disteso e deciso a giungere il più presto possibile a una soluzione
soddisfacente per entrambe le parti. Il 13 gennaio 1964 il capodelegazione
italiano presentò all'omologo svizzero le «richieste» (non più rivendicazioni) italiane
riguardanti agevolazioni dei ricongiungimenti familiari, miglioramenti dello
statuto degli stagionali, ammissione dei lavoratori annuali all'assicurazione
contro la disoccupazione.
Le richieste italiane apparvero alla controparte finalmente ragionevoli
e discutibili. Anche il tema caldo dei ricongiungimenti familiari poteva essere
preso in seria considerazione, nonostante fosse intimamente legato al problema
della penuria di alloggi e all'esigenza di una politica restrittiva dei
permessi per limitare l’inforestierimento. Nell'opinione pubblica svizzera,
infatti, si era fatta strada l’idea che non fosse più sostenibile, anche
nell'interesse dell’economia e dell’intera società civile, mantenere separate
le famiglie, soprattutto quando concerneva lavoratori annuali ormai residenti
stabilmente in questo Paese.
Di fatto, nel giro di pochi incontri si giunse a dirimere
tutte le questioni essenziali e a preparare un testo di accordo pronto per la
firma. Finalmente, il 10 agosto 1964 il nuovo Accordo fra la Svizzera e
l'Italia relativo all'emigrazione dei lavoratori italiani in Svizzera
fu firmato a Roma, con grande sollevo e soddisfazione delle parti contraenti.
La delegazione svizzera, probabilmente a richiesta di quella
italiana e sperando in una rapida ratifica parlamentare, era disponibile ad una
entrata in vigore «provvisoria» dell’Accordo fin dal 1° novembre 1964. Entrerà
invece in vigore solo il 22 aprile 1965. I principali contenuti dell’Accordo e il
perché del rinvio della sua entrata in vigore saranno l’oggetto del prossimo
articolo. (Continua).
Giovanni Longu
Berna 8.10.2014
Berna 8.10.2014
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