Durante il periodo estivo e autunnale di 50 anni fa, alcuni episodi incisero profondamente sulla storia dell’immigrazione italiana in Svizzera, che dagli inizi degli anni ’60 era in forte crescita e stava cambiando radicalmente. La classica goccia che fece traboccare il vaso fu l’espulsione di alcuni attivisti comunisti italiani e l’interdizione d’entrata in Svizzera comminata anche ad alcuni parlamentari dell’allora Partito comunista italiano (PCI) accusati di «attività politica illecita».
Tanto in Italia quanto in Svizzera si aprì un ampio
dibattito sull'emigrazione/immigrazione italiana che coinvolse gli ambienti politici
e sindacali, le rappresentanze diplomatiche e i rispettivi governi, i media e
l’opinione pubblica.
Un richiamo alla situazione generale e ad alcuni antefatti
contribuirà a conoscere meglio quel periodo, difficile e interessante allo
stesso tempo, e a valutare la portata di quegli episodi e di quelle discussioni.
Inizi degli anni Sessanta
Agli inizi degli anni ’60, la Svizzera perseguiva una
politica migratoria assai liberale finalizzata a soddisfare le esigenze
dell’economia in forte espansione. L’immigrazione, fino ad allora proveniente
soprattutto dall’Italia del nord, era molto facilitata.
In Italia, invece, stava per finire il decennio del
«miracolo economico» (1953-1963) e per cominciarne un altro piuttosto
turbolento caratterizzato dalle lotte sindacali del 1962-1963 (una sorta di
anticipo di quelle del 1968-70), dalla fine del «centrismo» della Democrazia
Cristiana (DC) e dall’inizio del centro-sinistra (1963).
L’economia cominciava a rallentare (crisi dell’industria
automobilistica), anche se le migrazioni interne tra sud e nord continueranno
per tutto il decennio. Proseguiva, intensificandosi, anche l’emigrazione verso
i Paesi europei, soprattutto Germania e Svizzera, dove l’economia richiamava
molta manodopera.
Immigrazione in forte crescita
Nel 1960 risiedevano stabilmente in Svizzera oltre 346.000
italiani, senza contare i circa 130.000 stagionali. Se negli ultimi cinque anni
del decennio precedente i nuovi arrivi erano stati 70-80 mila l’anno (contro
rientri in Italia dell’ordine di 50-60 mila), nei primi anni ’60 l’aumento
degli arrivi è stato impressionante: 128.257 nel 1960, 142.114 nel 1961, 143.054
nel 1962 (contro rientri dell’ordine di 90-100 mila). L’incremento medio degli
italiani in Svizzera era in quegli anni di circa 40.000 l’anno. Dal 1961,
tuttavia, gli immigrati italiani provenivano soprattutto dal Mezzogiorno.
Gli immigrati italiani costituivano allora non solo la
componente migratoria straniera più numerosa, ma da soli rappresentavano circa
il 60% degli stranieri. Inviavano ogni anno ai parenti in Italia rimesse
dell’ordine di 500-600 milioni di franchi. Molti svizzeri rimproveravano loro
di guadagnare qui e spendere all’estero.
Rivendicazioni e reazioni
E’ facile immaginare che un numero così importante di
stranieri (italiani) poteva generare qualche problema, tanto più che l’accordo
di emigrazione tra l’Italia e la Svizzera del 1948 non aveva previsto quasi
nulla riguardo alle abitazioni, alla formazione di nuove famiglie, alle
esigenze dei figli (seconda generazione) come asili, scuole, ospedali, tempo
libero, ecc.
Tra gli svizzeri, l'aumento della presenza straniera e i
cambiamenti che stava provocando nella vita quotidiana era oggetto di ampio
dibattito. Se l'industria e l'artigianato, che dipendevano dalla
manodopera estera, difendevano una sorta di politica delle mani libere in
materia d’immigrazione, i sindacati svizzeri temevano che i salari
inferiori degli stranieri potessero spingere al ribasso anche quelli degli
svizzeri e che si perdesse la tradizionale «qualità» svizzera dei prodotti. Una
parte dell’opinione pubblica criticava gli stili di vita di molti stranieri
ed era preoccupata per il proprio stesso futuro.
Alcuni movimenti xenofobi ne avevano approfittato per
rispolverare lo slogan dell'inforestierimento (già utilizzato all’inizio del
secolo) e lanciare iniziative contro gli stranieri. Nel 1961 era stato fondato
a Winterthur anche un partito xenofobo denominato: «Azione nazionale contro
l’inforestieramento del popolo e della patria». Vi avevano aderito soprattutto
insegnanti di scuola, operai, piccoli impiegati e contadini. Il partito aveva
subito preso posizione contro la disponibilità della Confederazione a ridiscutere
l’accordo italo-svizzero in materia di emigrazione.
Lo stesso anno, non sottovalutando le critiche provenienti
da diverse parti sulla situazione reale della popolazione straniera, le autorità
federali avevano incaricato una commissione di esperti, in prevalenza
economisti universitari, di esaminare il problema dei lavoratori immigrati in
Svizzera dal punto di vista non solo economico ma anche demografico, sociale e
politico.
Negoziato difficile
Da parte loro, gli immigrati italiani, sempre più coscienti
della loro condizione e ben organizzati in associazioni assai combattive, non
perdevano occasione per denunciare le difficili condizioni di lavoro,
salariali, assicurative, abitative, ecc. Alcuni problemi sociali si stavano
accentuando soprattutto in seguito ai ricongiungimenti familiari, all'aumento
dei giovani di seconda generazione, a presunte discriminazioni sul posto di
lavoro.
Gli italiani chiedevano in particolare maggiori garanzie per
il posto di lavoro, l’assicurazione malattia anche per i familiari in Italia,
migliori condizioni abitative, l’abolizione dello statuto di stagionale,
l’eliminazione delle discriminazioni, ecc. Cercavano di esercitare una certa
pressione almeno sulle autorità italiane sollecitando un deciso intervento su
quelle svizzere.
In effetti, ai problemi sociali derivanti dalla presenza di
una «massa» di immigrati, sempre più spesso con famiglia, si prestava ancora
poca attenzione, a livello federale, sia perché non erano ritenuti
particolarmente gravi e sia perché in una logica federalistica erano di
competenza prevalentemente cantonale e comunale e, per certi aspetti, delle
imprese.
Sotto il profilo politico generale, la Confederazione era interessata
soprattutto a impedire che il numero degli stranieri residenti stabilmente sul
suo territorio aumentasse eccessivamente. Era infatti grande e diffusa la paura
dell’«inforestierimento», ossia della presenza di «troppi stranieri» e della
dipendenza economica dall'estero. Anche per questo l’immigrazione era
considerata essenzialmente «temporanea», in funzione dell’andamento
congiunturale e non era (ancora) pensabile che diventasse «strutturale».
Esternazioni del ministro Sullo
Le autorità consolari e diplomatiche italiane, al corrente
delle problematiche sollevate dai connazionali, avevano chiesto all'inizio del
1961 di rinegoziare l’accordo d’emigrazione del 1948 tra la Svizzera e
l’Italia.
Il negoziato per un nuovo accordo d’emigrazione era apparso
difficile fin dalle prime battute soprattutto a causa delle aspettative
italiane che i negoziatori svizzeri consideravano «eccessive».
Fiorentino Sullo (1921-2000) |
A rendere ancor più difficile il negoziato erano intervenute
anche alcune intemperanze italiane. Forse convinto che, alzando la voce, gli svizzeri
avrebbero concesso più facilmente quanto l’Italia chiedeva, nel novembre del 1961
era giunto in Svizzera l’allora ministro del lavoro F. Sullo, ufficialmente
«a scopo d’indagine». Voleva raccogliere testimonianze di prima mano sulle
reali condizioni dei connazionali immigrati, in vista della ripresa delle
trattative italo-svizzere, avviate a luglio a Roma e momentaneamente
interrotte.
Oltre ad indagare, il ministro rilasciò numerose interviste
nelle quali elencava diverse rivendicazioni provenienti dagli ambienti
migratori italiani (ricongiungimento familiare, scuola, assicurazione malattia,
assistenza sociale, alloggio ecc.) da presentare alla Svizzera. Creò tuttavia
non poco imbarazzo a Palazzo federale non solo la via poco diplomatica
di presentare tali rivendicazioni, doppiando in questo modo i lavori negoziali
in corso, ma anche la velata minaccia secondo cui «il governo di Roma, ove non
si addivenisse ad un accordo soddisfacente potrebbe anche decidere speciali
provvedimenti, volti a limitare l'emigrazione in Svizzera della mano d'opera
italiana nuova, o ad avviarla soltanto verso quei cantoni che già riconoscono
all'operaio italiano vantaggi evidenti».
Non solo gli ambienti politici, ma anche l’opinione pubblica
e i media di tutti gli orientamenti, furono molto irritati dalle esternazioni
di Sullo, contribuendo ad alimentare i movimenti xenofobi che si stavano sviluppando
soprattutto nel Cantone di Zurigo.
(Continua)
Giovanni Longu
Berna 4.9.2013
Berna 4.9.2013
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