Si sa che la lingua italiana non gode di buona salute nella Svizzera tedesca e francese. E’ inutile negarlo perché le cifre dei parlanti e di chi la usa abitualmente cala a vista d’occhio. Eppure sarebbe un errore abbandonarla per così dire al proprio destino. Bene fanno pertanto la Confederazione in primis, ma anche alcune istituzioni italofone della Svizzera italiana e d’oltre Gottardo a preoccuparsene e promuovere iniziative per far sapere che la lingua di Dante è ancora una lingua viva, scritta e usata, sia pure non comunemente.
Italiano nell’amministrazione federale
Anzitutto va riconosciuto al Consiglio federale che da
qualche tempo sembra aver preso a cuore la situazione delle lingue minoritarie
in Svizzera assumendo l’impegno non solo di seguirne attentamente l’evoluzione,
ma anche di promuoverle attraverso misure appropriate e in particolare
attraverso un proprio «delegato al plurilinguismo».
Nicoletta Mariolini |
Le conseguenze immediate di questo impegno si vedono già
nella maggiore attenzione che si pone nell'amministrazione federale al momento
delle nuove assunzioni. Le discriminazioni linguistiche sono sempre più rare e
la volontà di raggiungere gli obiettivi (quote linguistiche) indicati dal
Consiglio federale è sempre più Nicoletta Mariolini, a delegata federale al
plurilinguismo. Se oltre alle idee per la valorizzazione del plurilinguismo
all’interno dell’amministrazione federale avrà anche reali poteri d’intervento
per risolvere le situazioni più problematiche, si tratterà di un’ottima scelta.
La prova provata si potrà avere solo fra qualche anno, se davvero le
rappresentanze linguistiche saranno rispettate a tutti i livelli gerarchici.
evidente. E’ significativa la recente nomina di
una ticinese,
E’ importante che l’amministrazione federale diventi sempre
più espressione del plurilinguismo svizzero, ma è altresì importante che la
lingua italiana sia salvaguardata e valorizzata anche nella società civile,
senza cedere al pessimismo. L’italiano è infatti ancora diffuso e alcune volte
anche là dove meno te l’aspetti.
Tra ex minatori
Alcune settimane fa ho visitato insieme ad un gruppo di una
quindicina di persone una centrale elettrica situata in una caverna scavata
nella roccia, nella regione del Simmental. Tra i visitatori c’erano anche tre ex
minatori (Amerigo Giacinti, Ugo Pasinetti e Alfred Bieri) che avevano partecipato
all'enorme scavo negli anni ’60 ed è facile immaginare la gioia dei tre di
ritrovarsi nuovamente insieme dopo più di cinquant'anni nel luogo delle loro
fatiche. Di questa impresa Amerigo mi aveva parlato da tempo ed ero curioso
anch'io di vederla. Il men che si possa dire è che il risultato è
impressionante.
Da sinistra: U. Pasinetti, A. Giacinti e A. Bieri nella centrale di Simmenfluh |
Alla visita è seguito un pranzo in comune ed è stata per me
una sorpresa osservare che pur essendo gli italofoni in netta minoranza, la
maggioranza dei presenti sapeva districarsi anche in italiano. In molte
persone, evidentemente, reminiscenze di vecchie frequentazioni (quando
l’italiano, soprattutto nei cantieri, era lingua franca), elementi linguistici
praticati nelle vacanze in Italia o in contatti sporadici con italofoni, al
momento opportuno riemergono e danno la sensazione che l’italiano nonostante
tutto è ancora una lingua viva.
Ad una tavolata di sconosciuti
Anche recentemente, in un ristorante di Basilea, ad una
tavolata casuale di dieci persone (cinque coppie, tra loro sconosciute), ho
rivissuto una situazione simile. Inizialmente la conversazione era ristretta
all'interno delle coppie. Ad un certo momento, tra una portata e l’altra, questo
limite è stato infranto e la conversazione si è allargata alle coppie vicine. Ho
subito notato che alcune persone si esprimevano sia in tedesco che in francese.
Ho pensato che fosse normale, a Basilea, confinante con la
Francia, che oltre al tedesco molti conoscessero anche il francese. Ma qual è
stato il mio stupore quando, conversando in tedesco con un convitato, un
signore distinto di 94 anni, mi sono reso conto che conosceva anche l’italiano
ed era in grado di parlarlo. Alla domanda dove l’avesse imparato, mi rispose che
l’aveva imparato da bambino perché aveva antiche origini italiane tant'è che il
suo cognome è Bruni ("ma non sono parente di Carla" [Sarkozy], tenne a precisare). Mi
raccontò alcuni particolari della sua vita, fra l’altro che suo padre aveva
contribuito a installare a Messina gli chalet donati dagli svizzeri in seguito
al tremendo terremoto del 1908. Essendo nato a Berna, mi raccontò delle corse
automobilistiche nel famoso circuito di Bremgarten, del laghetto di Weyermannshaus,
ecc.
Di un altro vicino, pensionato delle ferrovie federali, sono
venuto a sapere che è un italiano di terza generazione, originario del Veneto. Mentre
parlavo con lui, anche un suo ex collega pure presente nella tavolata riusciva
a comunicare in italiano, un po’ più a fatica, perché aveva lavorato solo un
anno in Ticino.
Italiano vivo e vitale
Quando ormai il ghiaccio era rotto, ci ritrovammo quasi
tutti, incredibile ma vero, a parlare in italiano. Nel frattempo anche un altro
dei presenti si era rivelato italiano di Venezia e naturalmente anche sua
moglie parlava italiano. Per farla breve, su dieci persone (un campione si
direbbe assolutamente casuale), che probabilmente avrebbero continuato a parlare
tra loro solo tedesco (o francese), risultò che quasi tutte avevano una certa conoscenza
dell’italiano, tanto da seguire una conversazione, e almeno la metà era in
grado di farsi capire in questa lingua.
Entrambe queste esperienze sono state per me illuminanti:
evidentemente l’italiano è ancora una lingua viva e vitale, sempreché non la si
abbandoni al suo destino.
Giovanni Longu
Berna, 24.04.2013
Berna, 24.04.2013
Gli ex minatori (da sin.) Pasinetti, Giacinti e Bieri nella
centrale di Simmenfluh.
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