Si è appena chiuso un anno che ha messo a dura prova la capacità di resistenza di molte economie nazionali europee. La crisi finanziaria, la speculazione internazionale, la debolezza dell’euro, la fragilità di alcuni governi e il commissariamento di altri, la crescita della disoccupazione e dell’indigenza hanno messo in evidenza non solo la fragilità dei vari sistemi nazionali, ma anche la debolezza strutturale dell’Unione Europea (UE).
I Paesi maggiormente colpiti dalla crisi (Irlanda, Portogallo, Spagna, Grecia, Italia, ma anche Francia) hanno messo in luce come l’UE, lungi dall’essere una vera «unione», altro non sia che un’aggregazione di Stati disuguali e disuniti con una vistosa distanza tra gli Stati del Nord e quelli del Sud. Basta leggere i risultati dei principali indicatori socioeconomici dei vari Paesi per il 2012: prodotto interno lordo, debito pubblico, disoccupazione (con particolare attenzione alla disoccupazione giovanile), livello d’imposizione fiscale, reddito disponibile delle famiglie, ecc.
Un quotidiano ticinese, nelle pagine economiche delle scorse
settimane conteneva titoli di questo tenore: Francia:
record di disoccupati, sono oltre tre milioni; nel terzo trimestre calo del
potere d’acquisto delle famiglie. Italia: per
le imprese il futuro è nero; disoccupazione ai massimi storici; ripresa
dell’economia solo nella seconda metà del 2013; molti italiani, spesso
laureati, scelgono la Svizzera come patria di adozione. Grecia: istituti greci in sofferenza; fa capolino
l’ottimismo. Germania: «Il PIL tedesco salirà
anche il prossimo anno» (assicurazione del ministro tedesco delle finanze
Schäuble); acquisti di Natale: giro d’affari record. Unione europea:
alle banche aiuti per 1.616 miliardi di euro di aiuti pubblici (principali
beneficiari: banche di Gran Bretagna, Irlanda e Germania); crescita dei
movimenti populisti in tutta l’Europa, ecc.
Svizzera meglio della zona euro
Quanto basta per tenere alla larga da un’eventuale adesione
la Svizzera, che al confronto, anche nell'anno appena trascorso presentava una
pagella con le principali voci tutte in attivo: PIL in crescita, soprattutto al
confronto col resto d’Europa; «L’economia interna continua a crescere e non
risente della crisi europea»; buona tenuta dei consumi; eccedenza nella
bilancia dei pagamenti; nel 2012 borsa svizzera positiva con un guadagno di
quasi il 20%, ecc. Nei rapporti con l’Unione europea, la maggioranza del
popolo, del parlamento e del governo preferisce di gran lunga la via maestra
degli accordi bilaterali. Un’eventuale proposta di adesione, secondo tutti i
sondaggi, sarebbe in questo momento nettamente respinta.
In occasione del ventennale del rifiuto del popolo svizzero
di aderire allo Spazio Economico Europeo (SEE), nessuno svizzero, credo, ha
mostrato segni di rimpianto. Molti, soprattutto le destre, hanno anzi
festeggiato quel rifiuto, che non ha portato alcuno di quegli svantaggi che i
fautori dell’adesione prevedevano se non si fosse entrati nello SEE, anzi ha
contribuito a risparmiare alla Svizzera gran parte dei disagi che hanno subito
molti Paesi dell’UE.
Quale futuro per l’Europa?
Soprattutto la situazione italiana, estremamente
ingarbugliata e difficile da interpretare sia prima che durante il governo
Monti, ha messo in luce non solo le numerose criticità tipiche italiane, dal
sistema istituzionale al degrado dei partiti, dal dissesto idrogeologico al disservizio
della pubblica amministrazione, dalla diffusione dell’illegalità all’assenza
d’innovazione, ecc., ma anche il complicato rapporto tra lo Stato nazionale e
l’UE. Mai come nell’anno appena trascorso si è sentito parlare di imposizione,
commissariamento, diktat da parte dei «poteri forti» e dei burocrati europei. E
mai come nel 2012 si è parlato dell’euro come di una moneta malata e a rischio
di scomparire come moneta unica dell’UE. I rischi di uscita dalla zona euro
sono stati prospettati sia per i Paesi deboli sia per quelli forti.
Ora che si comincia a intravedere la luce all’uscita del
mitico tunnel, persino in Grecia, molti intellettuali e politici s’interrogano
sul futuro dell’UE, visto che non è stata in grado di superare la crisi
economica e finanziaria se non a costi sociali elevatissimi. E’ unanime
tuttavia la consapevolezza che l’Unione europea deve rafforzarsi dotandosi di
nuovi strumenti più efficaci ma allo stesso tempo più democratici.
Verso gli «Stati uniti d’Europa»
Viviane Reding |
In una recente intervista, Viviane Reding, vicepresidente
della Commissione europea ha detto che «il
progetto “Stati Uniti d’Europa” è l’unico antidoto a questa crisi». E a
proposito di questo progetto ritiene che «per un’Europa federale sono
possibili più modelli: un’“Europa alla svizzera”, una “Bundesrepublik Europa”
oppure gli “Stati Uniti d’Europa”. Dopo matura riflessione ritengo quest’ultimo
modello il più condivisibile, ma anche quello che definisce in modo più
appropriato la struttura definitiva cui l’Unione europea aspira».
Concordo pienamente sul modello degli «Stati uniti
d’Europa», ma non conosco la differenza rispetto a quello di un’«Europa alla
svizzera», che è sempre stato considerato un riferimento fondamentale da tutti
i principali movimenti federalisti europei. Di più, la Svizzera stessa si è
riconosciuta almeno da un secolo a questa parte, possibile modello del futuro
Stato federale europeo.
I pionieri
L’idea degli Stati uniti d’Europa è ultracentenaria,
risalente addirittura al XV e XVI secolo. Allora quell'idea era pura teoria. Fu
solo dopo la Rivoluzione francese che cominciò a calarsi nella realtà di
un’Europa lacerata da contrasti e da guerre e che invece avrebbe potuto vivere
in pace e prosperare se i vari Stati si fossero uniti sotto forma di Stati
uniti d’Europa.
Giuseppe
Mazzini è stato uno dei primi pensatori che maggiormente affrontò la questione
del futuro dell’Europa da un punto di vista politico. Per il bene dell’Europa
riteneva che una volta sbarazzatasi dei regimi autoritari la soluzione migliore
consistesse in una federazione di Stati. Per promuoverla, nel 1834 fondò a Berna
la Giovine Europa insieme a 5 polacchi, 5 tedeschi ed altri 6 italiani.
L’idea piaceva, ma i tempi non erano maturi per trasformarla in realtà.
Un altro grande visionario
degli Stati uniti d’Europa fu Victor Hugo
(che usò l’espressione in un celebre discorso del 1849 a Parigi), che s’ispirava
agli unici due modelli esistenti, gli Stati Uniti d’America e la Svizzera, in
cui Stati originariamente sovrani erano passati a uno Stato dapprima
confederale e poi federale e garantivano ai propri cittadini una salda
democrazia.
Dal discorso di Victor Hugo del
1849, l’idea degli «Stati uniti d’Europa» ha fatto innumerevoli proseliti, tra
cui vanno annoverati sicuramente i preparatori e i realizzatori dell’Unione europea,
quali, per citarne solo alcuni, Altiero Spinelli, Winston Churcill, Konrad Adenauer, Alcide De Gasperi, Jean
Monnet, Robert Schuman.
Il ruolo della Svizzera
In questo movimento di
pensiero, si dimentica spesso non solo che uno dei principali modelli
ispiratori è sempre stato il federalismo solidale della Svizzera, ma anche che
proprio in questo Paese si sono svolte importanti manifestazioni miranti a
diffondere e rafforzare il progetto degli Stati uniti d’Europa.
Emilio Bossi (1870-1920) |
Fin dagli inizi del Novecento cominciò
a diffondersi l’idea di una sorta di Confederazione Europea, sul modello della
Svizzera. Già il libero pensatore Emilio Bossi, nel 1906, riteneva
che i comuni ideali di libertà e le sue istituzioni democratiche fanno della
Svizzera un «primo nucleo di federazione di popoli d’indole e lingua e razza
diversa» e «primo passo verso i futuri Stati uniti d’Europa».
Nel 1919,
in occasione della discussione parlamentare sull'adesione
della Svizzera alla Società delle Nazioni, nata per volontà delle grandi
potenze all'indomani della prima guerra mondiale per evitare in futuro altri
conflitti così distruttivi, il ticinese Achille Borella fu uno dei
principali sostenitori dell’adesione. Riteneva incompatibile «con la dignità di
una nazione, quale la Svizzera, la strana pretesa di volersi creare spettatrice
indifferente d'ogni lotta giusta od ingiusta, che, per avventura, sorgesse fra
le altre nazioni», tanto più che fin da prima della guerra «si era sempre
parlato, specie da noi, degli Stati Uniti d’Europa…».
A Borella diede man forte Otto de Dardel sostenendo a
sua volta il dovere della Svizzera di partecipare, insieme a tutte le nazioni
democratiche, allo sforzo di avvicinamento «che prelude alla costituzione di
questi Stati uniti d’Europa dei quali noi siamo stati l’embrione e la cellula
organica».
In Svizzera si continuerà a parlare di Stati uniti d’Europa.
Nel 1929, a
Ginevra, Aristide Briand a nome del governo francese tenne un discorso
in cui auspicava tra gli Stati europei «una sorta di legame federale… senza
intaccare la sovranità delle nazioni che entrassero a far parte
dell’associazione». Ginevra, Lugano e Zurigo divennero centri importanti del
movimento federalista europeo.
Churcill dopo il celebre discorso di Zurigo nel 1946 |
Cento anni dopo l’auspicio di Victor Hugo, toccò in sorte a
uno dei vincitori della seconda guerra mondiale, Winston Churcill, rilanciare l’appello a costituire quanto prima gli
Stati uniti d’Europa in un celebre discorso tenuto a Zurigo il 19 settembre 1946:
«Tra i vincitori c’è una babele di voci confuse. Tra i vinti il cupo silenzio
della disperazione. A ciò sono approdati gli europei divisi in tanti Stati
nazionali… e tuttavia esiste un rimedio che se fosse adottato spontaneamente da
una grande maggioranza di popoli in numerosi paesi potrebbe, come per miracolo,
trasformare interamente la situazione e rendere tutta l’Europa, o almeno la
maggior parte di essa, libera e felice come la Svizzera dei nostri giorni… Noi
dobbiamo creare una specie di Stati Uniti d’Europa…».
Per un’adesione della Svizzera
Con la Svizzera, il progetto di Stati uniti d'Europa avanzerebbe notevolmente |
Il progetto di Stati uniti d’Europa fatica ad avanzare. Darebbe
sicuramente un forte impulso alla sua realizzazione l’adesione convinta e
solidale della Svizzera, tanto più che la Confederazione potrebbe benissimo
proporsi come modello ampiamente realizzato e assolutamente adottabile a
livello europeo. Certamente ne beneficerebbe essa stessa e sicuramente l’Europa
che non riesce per troppi veti incrociati e compromessi a superare gli ostacoli,
che forse domani saranno ancora maggiori di quelli attuali.
Giovanni Longu
Berna 2.1.2013
Berna 2.1.2013
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