Per l’insieme degli Stati dell’Unione europea (UE) il 2012 si è concluso con una leggera ventata di ottimismo, ma molti Paesi dovranno ancora attendere prima di uscire definitivamente dal tunnel della crisi. Per questi, Italia compresa, il periodo dell’austerità non è affatto finito.
La Svizzera è certamente uno dei Paesi europei che ha meno
sofferto della crisi e i principali indicatori lo dimostrano. Eppure anche per
essa, secondo molti osservatori, il 2012 è stato un anno difficile. Ma non per
ragioni interne, bensì per le conseguenze della crisi internazionale.
L’inquietante panorama europeo
Il maggiore quotidiano svizzero in lingua italiana, il Corriere
del Ticino, a fine anno ha sintetizzato la retrospettiva 2012 in un articolo
intitolato: «Quella piccola isola elvetica fra i marosi della crisi europea».
E’ interessante riportare alcuni passaggi, che esprimono bene un sentimento
assai diffuso nell'opinione pubblica: «La Svizzera si è trovata alle prese con
un’Europa che appare vieppiù insofferente e ostile nei suoi confronti, sotto il
peso di un indebitamento mostruoso e alla disperata ricerca di ogni possibile
fonte di introito fiscale. Nonché di capri espiatori verso cui dirottare
l’attenzione e allentare almeno un po’ la pressione sui governi, costretti ad
una politica di risanamento, non solo impopolare, ma semplicemente devastante
per larghe fasce dei loro cittadini. Un vero dramma, all'origine del quale non
si trova sicuramente il segreto bancario elvetico».
«Eppure – proseguiva l’articolo – nel mezzo di questo
inquietante panorama europeo, proprio quel piccolo Paese tanto preso di mira (e
troppo poco a esempio) si presenta ancora una volta come un’isola di stabilità.
Con un indebitamento contenuto, un’industria performante, un sistema politico
ben lungi dall'essere perfetto ma comunque in grado di assicurare continuità ad
un modello meno ambizioso di altri, ma sicuramente più democratico e che ha
dato nel tempo prove tangibili della sua solidità. Una realtà cui non pochi (sicuramente
più di quanti sembrano a prima vista) guardano anche dai Paesi vicini con
rispetto e interesse. Chiedendosi se forse non sia il caso di trarre
ispirazione dalla sue modeste ma collaudate istituzioni per riconfigurare un
progetto europeo ben più ambizioso nelle intenzioni ma anche assai più incerto
nel suo divenire…».
Rapporti tesi con i Paesi vicini
Quanto sia diffusa l’opinione di una Svizzera benestante sotto
attacco di un’Europa in grave difficoltà lo dimostrano da una parte i rapporti non
certo ottimi con i Paesi vicini e dall'altra le numerose prese di posizione di
autorevoli commentatori e personalità politiche sulla necessità di non
indebolire «la posizione della Svizzera nella guerra economica in atto».
Sono noti in proposito i dissapori con la Francia,
dopo che il presidente François Hollande ha dichiarato di non voler trattare su
qualunque progetto di accordo fiscale che rassomigli a un’amnistia fiscale e ha
deciso di adottare misure severe nei confronti dei cosiddetti «esiliati»
fiscali in Svizzera.
Nei confronti della Germania, dopo la bocciatura
dell’accordo fiscale già sottoscritto da entrambi i governi, la Svizzera ha
fatto sapere che non vi potrà essere un altro negoziato sulla stessa materia. La
ministra delle finanze svizzera Widmer-Schlumpf, pur essendo disposta a qualche
concessione, difende il sistema fiscale elvetico e il segreto bancario che vi
sta alla base, mentre sembra escludere lo scambio automatico di informazioni
bancarie richiesto dall’UE.
Nei confronti dell’Italia i rapporti in questo
momento appaiono meno tesi, visto che il negoziato fiscale prosegue, ma non
credo che il presidente della Confederazione possa ripetere le parole del suo
predecessore Forrer, quando cento anni fa, alla fine del 1912, dichiarò che le
relazioni con l’Italia erano ottime e cordiali. Potrà dire solo che i rapporti
sono in progressione e che spera di giungere quanto prima a una conclusione
soddisfacente per entrambe le parti di tutti i negoziati aperti.
Una Svizzera «sicura di sé»
Ueli Maurer, Presidente della Confederazione 2013 |
In una serie d’interventi del neopresidente della Confederazione
per il 2013 Ueli Maurer mi sembra ben riassunto un atteggiamento che se
non fa l’unanimità degli svizzeri raccoglie sicuramente moltissimi consensi.
In un’intervista al Corriere del Ticino del mese
scorso, ad esempio, dopo aver ricordato la necessità della coesione nazionale
secondo il motto «uno per tutti, tutti per uno», ha detto chiaro e tondo che nei
rapporti con l’UE non c’è altro che la via bilaterale («tutto il resto è
escluso»), richiamando anche la condizione fondamentale: «da questa via
bilaterale la Svizzera deve ricevere come minimo quanto dà. E’ la condizione
principale, e tutti gli accordi dovrebbero tenerne conto, tuttavia purtroppo
non è sempre il caso».
Per maggiore chiarezza, il neopresidente faceva questo esempio
nell'ambito del traffico: «se davvero vogliamo costruire per gli italiani gli
accessi ad AlpTransit che ci hanno promesso da anni, allora dobbiamo anche
richiedere qualcosa in cambio. La Svizzera deve essere cosciente di quanto vale».
E poi, restando nel tema delle comunicazioni, ha insistito ricordando che se la
Svizzera ha bisogno dell’UE, anche l’UE ha bisogno della Svizzera, ad esempio,
se vuole raggiungere l’Italia attraverso il Ticino, o raggiungere la Germania
partendo dall'Italia.
Ueli Maurer ha poi dato un carattere per così dire di
ufficialità nazionale alle sue idee nel corso del discorso di Capodanno: «La
Svizzera deve presentarsi "sicura di sé, cosciente di essere uno stato
forte": essa è un fattore essenziale per la stabilità in Europa, grazie
alla sua moneta solida, ai suoi investimenti sul continente, agli impieghi che
offre ai cittadini europei e alla sua posizione centrale per i trasporti. La
Svizzera - ha aggiunto il neopresidente - ha fatto molto per l'Europa, costruendo
per esempio la galleria ferroviaria di base del San Gottardo; l'UE, invece, non
ha fatto niente per quanto riguarda le vie d'accesso alle nuove trasversali
alpine. Nei negoziati internazionali si tratta sempre di dare e di ricevere,
non è il caso di cedere ogni volta di fronte a una forte pressione, "se si
cede sempre, ci si dichiara vinti"».
La via bilaterale: «dare e avere»
Non c’è dubbio che in questo momento di grazia per la
Svizzera («il miglior posto al mondo per nascere», secondo una classifica
internazionale stilata dalla rivista Economist per il 2013) e di grande
debolezza strutturale e finanziaria per l’UE alzare i toni non giova né all'una
né all'altra parte, per cui la via del dialogo è obbligata. Del resto, recentemente
anche l’UE ha mostrato una maggiore disponibilità al dialogo.
Widmer-Schlumpf e José Manuel Barroso |
In un incontro
tra il presidente della Commissione dell’Unione europea José Manuel Barroso e
la ministra elvetica Widmer-Schlumpf sembra si siamo poste le premesse per i
prossimi negoziati partendo dagli accordi bilaterali esistenti. Si dovrebbe
giungere (quando non si sa) ad un accordo quadro di tutti gli accordi esistenti
e futuri e all'istituzione di un'istanza internazionale di controllo.
Molti svizzeri sono convinti che la Svizzera deve «tener
duro» nel difendere i suoi ideali e le sue istituzioni (compreso il segreto
bancario, insieme al federalismo, alla neutralità, all'indipendenza e
quant'altro). Altri, invece, non si nascondono le difficoltà che un piccolo
Paese come la Svizzera, per quanto solido e florido, dovrà affrontare nei
confronti di un colosso come l’UE, soprattutto se la moneta unica europea si
rafforzerà e gli Stati meno virtuosi riusciranno a mettere in campo misure
efficaci per risanare il micidiale debito pubblico.
Purtroppo il futuro dell’UE e degli Stati uniti d’Europa
dipenderà da quel «se». Nel corso dell’anno dovremmo saperne di più, osservando
la tenuta dell’euro (confrontando le voci più pessimistiche con quelle più
ottimistiche), l’andamento dello spread, il controllo delle finanze pubbliche, l’evoluzione
dell’occupazione e della disoccupazione e anche le prime mosse del prossimo
governo italiano.
A questo punto mi viene spontanea, come si usa dire, una
domanda: sarebbe tutto più facile se di questa UE, nel bene e nel male, facesse
parte anche la Svizzera, magari con uno statuto speciale per salvaguardare le
sue prerogative storiche, culturali e istituzionali essenziali? Ebbene, la mia
risposta è senz’altro sì.
Compromessi «utili»
E’ vero che, come scriveva il giornalista Marc-Andre Miserez
su Swissinfo.ch qualche mese fa («Svizzera-UE: una vecchia coppia che
non vuole sposarsi», in questo momento «l’Europa non è più attraente. Con la
crisi del debito, il crollo della moneta unica, i Paesi del sud sull'orlo del
fallimento, i piani d’austerità e una disoccupazione alle stelle, l’UE versione
2012 non ha più molti argomenti per sedurre la Svizzera, rimasta un’isola di
prosperità relativa in mezzo alla tormenta…».
Eppure Svizzera e UE hanno moltissime cose in comune. Tanto
varrebbe metterle davvero in comune per la buona e cattiva sorte, ben sapendo
che la sorte, come la felicità, è mutevole. Ma se anche di comunione dei beni e
di matrimonio proprio non vogliono nemmeno sentir parlare, è urgente che entrambe
le parti trovino nel dialogo quei compromessi che sono spesso più utili di
quella rigidezza di principi astratti che non porta alcun beneficio concreto.
Giovanni Longu
Berna 16.1.2013
Berna 16.1.2013
Ueli Maurer, Presidente della Confederazione 2013
Rapporti bilaterali Svizzera-UE
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