25 marzo 2015

Nuovo accordo storico tra l’UE e la Svizzera


Le discussioni bilaterali tra la Svizzera e l’Unione europea (UE) in alcuni momenti danno l’impressione di un dialogo fra sordi, nel senso che ciascuna parte sembra voler mantenere ad ogni costo la propria posizione, come se fosse inamovibile. Altre volte, invece, sembra che il dialogo avanzi, magari a singhiozzo, segno che da entrambe le parti c’è la volontà di giungere il più presto possibile, ma senza fretta (anche se per la Svizzera il tempo stringe), se non ai risultati sperati da ciascuna parte almeno a un buon compromesso. E’ molto positivo che il dialogo continui, anche sui temi obiettivamente difficili come quello sulla libera circolazione dei cittadini dell’UE nel mercato del lavoro svizzero.

Il dialogo continua
Quest’anno il dialogo è ripreso ai massimi livelli con l’incontro a Bruxelles tra la presidente della Confederazione Simonetta Sommaruga e il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker (v. L’ECO del 18.3.2015) e sembra proseguire in un clima favorevole su svariati temi. Alcuni segnali lasciano ben sperare.
Il 18 marzo 2015 sono iniziati a Bruxelles tra il segretario di Stato Jacques de Watteville e il direttore generale dell’UE Jonathan Faull i primi colloqui esplorativi sulla fattibilità e l’opportunità di un accordo bilaterale Svizzera-UE sui servizi finanziari. Sono pure in corso colloqui riguardanti un miglioramento dell’accesso della Svizzera ai mercati dell’UE.
Il 19 marzo 2015 la Svizzera e l’UE hanno raggiunto un accordo che prevede l’introduzione dello scambio automatico di informazioni in materia fiscale a partire dal 1° gennaio 2017 (anche se i primi scambi avverranno effettivamente solo l’anno seguente).

Scambio delle informazioni fiscali
Questo accordo, anche se dovrà essere ancora sottoposto alle Camere federali (ed eventualmente a referendum) per l’approvazione definitiva, segna a mio avviso un punto di non ritorno nei rapporti non solo in materia fiscale ma complessivi tra la Svizzera e l’Unione europea. Già, perché questo accordo è stato fortemente voluto dall’UE, al fine di introdurre definitivamente nei rapporti fiscali tra i cittadini dell’UE e la Svizzera la massima trasparenza possibile. Mentre segna davvero la fine definitiva del segreto bancario svizzero, non può non rappresentare il forte avvicinamento generale in tutti i campi tra la Svizzera e l’UE.
Su questo accordo non ho letto in Svizzera molti commenti, forse perché il tema è molto delicato e contrastato, ma non c’è dubbio che per le relazioni con l’Europa esso rappresenta la rimozione di uno dei più grossi ostacoli. Evidentemente gli svizzeri si aspettano ora qualcosa in cambio, soprattutto nella direzione di una totale apertura dei mercati europei per le imprese svizzere come pure per quel che riguarda la libera circolazione delle persone.

«Accordo storico»
A sottolineare l’importanza dell’intesa raggiunta ci hanno pensato i due negoziatori dell’accordo, il segretario di Stato Jacques de Watteville e il direttore generale dell’UE Heinz Zourek. Il primo, dopo aver siglato il documento sembra che abbia esclamato: «questo è un giorno importante» e il secondo, visibilmente soddisfatto: « sono molto grato che abbiamo trovato una risposta ad una questione politicamente e tecnicamente difficile». Ma è stato lo stesso commissario europeo per la fiscalità Pierre Moscovici, compiaciuto a sua volta del risultato raggiunto, a definirlo un «accordo storico».
L’accordo raggiunto sullo scambio automatico di informazioni in materia fiscale sostituisce il precedente accordo sulla fiscalità del risparmio con l’UE in vigore dal 2005 e riguarderà, una volta entrato in vigore, tutti i 28 Stati dell’UE e la Svizzera. L’accordo, si legge in un comunicato stampa dell’Amministrazione federale, «è reciproco, vale a dire che in caso di scambio di informazioni concernenti i conti gli Stati membri dell’UE sottostanno agli stessi obblighi della Svizzera e viceversa».
In questo accordo è stato ripreso integralmente lo standard globale dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) sullo scambio automatico di informazioni, che è già stato alla base dell’intesa raggiunta tra la Svizzera e l’Italia e che è ormai condiviso da un centinaio di Paesi e da tutte le principali piazze finanziarie del mondo. La caduta del segreto bancario svizzero non è pertanto opera di questo o quel ministro delle finanze o primo ministro, ma il risultato di un processo a cui anche la Svizzera si è sottoposta da tempo.

Ripercussioni per gli immigrati
Poiché il recente accordo siglato a Bruxelles riguarderà tutte le relazioni finanziarie dei cittadini dell’UE e della Svizzera residenti rispettivamente in Svizzera o in uno Stato dell’UE, è importante segnalare sin d’ora ch’esso avrà ripercussioni anche sugli immigrati italiani in Svizzera. Dal 1° gennaio 2017 (concretamente dal 1° gennaio 2018), infatti, tutti i dati fiscali riguardanti i beni immobili e mobili (conti correnti, partecipazioni, titoli azionari, ecc.) detenuti da essi in Italia saranno comunicati automaticamente dall'
autorità fiscale italiana a quella svizzera. Viceversa, l’autorità fiscale svizzera comunicherà a quella italiana tutti i dati fiscali riguardanti i beni immobili e mobili detenuti in Svizzera appartenenti a residenti in Italia.
Lo scambio automatico dei dati fiscali consentirà a ciascun Paese quanto meno di ridurre l’evasione fiscale, ma non sarà certo questo accordo a farla scomparire. Incentivare forme di autodenuncia, come stanno facendo ora l’Italia e da tempo la Svizzera, dovrebbe favorire l’emersione dei capitali nascosti al fisco e una maggiore equità fiscale fra i cittadini. E’ però auspicabile che gli Stati distribuiscano agli stessi cittadini le maggiori entrate attraverso un riduzione mirata delle imposte.
Giovanni Longu
Berna, 25.03.2015


Svizzera: ripresa con moderato ottimismo


A pochi mesi dalla decisione della Banca nazionale svizzera (BNS) di non più difendere a oltranza il tasso di cambio di 1,20 franchi per 1 euro, politici, economisti e soprattutto industriali s’interrogano sul futuro dell’economia svizzera se il franco dovesse ulteriormente rafforzarsi sull'euro. Già la quasi parità attuale (1 euro vale 1,05 franchi) preoccupa non poche aziende. E cosa accadrebbe, si chiedono in tanti, se il franco dovesse superare la parità? Eppure numerosi segnali inducono a un moderato ottimismo.

Cresce la fiducia
Per molti imprenditori il cambio più facilmente sopportabile sarebbe di 1,10 franchi per 1 euro, ma nessuno si fa illusioni, soprattutto dopo la decisione della BNS, ribadita ancora nei giorni scorsi, di non più sostenere artificialmente la moneta svizzera.
Quando fu dato l’annuncio, il 15 gennaio scorso, che la BNS avrebbe posto fine alla difesa del franco con massicci acquisti di euro, molte imprese furono prese dal panico. Si evocò persino lo tsunami prospettando una catastrofe economica, l’aumento della disoccupazione, la recessione, la diminuzione del PIL, ecc.
Oggi, nonostante si abbiano ancora pochi dati a disposizione, si comincia a ragionare con più serenità e sono molti gli analisti fiduciosi sulla capacità dell’economia svizzera di superare le difficoltà che indubbiamente il superfranco pone, ma anche sul miglioramento della situazione internazionale e specialmente dei grandi partner commerciali della Svizzera come la Germania e gli Stati Uniti.
Secondo la BNS e la Segreteria di Stato dell’economia (SECO) nel 2015 non dovrebbe esserci recessione e il prodotto interno lordo (PIL) continuerà a crescere, anche se a un ritmo nettamente inferiore rispetto alle stime precedenti. La BNS prevede una crescita dell’1%, la SECO dello 0,9%. Essa dovrebbe essere garantita sia dalla ripresa del consumo interno (ancora sottotono nel quarto trimestre 2014) e sia dalle esportazioni.

Motivi di ottimismo
Questo ottimismo, per quanto prudente, lascia ben sperare in un miglioramento del mercato del lavoro , che dovrebbe essere in grado nel corso dell’anno di riassorbire una parte dei disoccupati degli anni passati. Si spera che la tendenza alla crescita dell’occupazione, già osservata nel quarto trimestre del 2014 prosegua o quantomeno non rallenti nel corso di quest’anno.
Quanto alla disoccupazione, che non ha mai raggiunto punti critici nemmeno nel periodo più acuto della crisi tra il 2008 e il 2010, alcuni segnali la danno in diminuzione. Nel febbraio di quest’anno è leggermente diminuita sia la disoccupazione generale (attestandosi attorno al 3,5%, con 136.764 disoccupati) che quella giovanile con poco più di 19.000 disoccupati (7,7%, ben al di sotto della media europea e persino al di sotto di quella della Germania).
Si spera evidentemente che anche le esportazioni, fondamentali per l’economia svizzera, tengano, pur senza illudersi che possano raggiungere il record del 2014, quando il loro valore superò 208,3 miliardi di franchi e che la bilancia commerciale (differenza tra esportazioni e importazioni) possa registrare nuovamente un surplus di oltre 30 miliardi di franchi. Al riguardo non va nemmeno dimenticato che da tempo l’industria svizzera punta sempre più sull’esportazione di prodotti ad alto valore aggiunto e questi, si sa, risentono generalmente meno delle fluttuazioni dei cambi valutari.
Tra le principali ragioni del moderato ottimismo c’è anche una fiducia diffusa sulla solidità dell’economia svizzera e delle sue imprese. Negli anni scorsi, infatti, approfittando delle agevolazioni del cambio euro-franco bloccato, sapendo che il sostegno della BNS sarebbe stato limitato al massimo a tre anni, ossia fino all’inizio di quest’anno, molte imprese hanno approfittato dei tassi d’interesse straordinariamente bassi per ristrutturarsi e consolidarsi, in attesa di tempi migliori.
Alcuni osservatori fanno notare che l’ottimismo è più evidente nelle imprese che nel frattempo si sono ristrutturate e preparate al dopo crisi rispetto a quelle che non ne hanno approfittato per migliorare la propria struttura interna (riorganizzazione e riduzione dei costi aziendali, aggiornamento professionale del personale), adeguare l’offerta, rinnovare i prodotti. Queste ultime, evidentemente, saranno le imprese maggiormente a rischio.

Il ruolo dello Stato
L’ottimismo, che si nota con sempre maggiore frequenza nei media e nei comunicati ufficiali, dipende anche da un alto grado di fiducia degli imprenditori svizzeri nell'efficienza di uno Stato liberale che si preoccupa dei bisogni sia dei cittadini che dell’economia, che sa tenere i conti in ordine, che si adopera per valorizzare le potenzialità del paese attraverso un sistema di formazione (culturale e professionale) moderno, stimoli alla ricerca e all'innovazione, il rispetto della democrazia e dei diritti individuali. La fiducia nello Stato secondo molti imprenditori sarebbe ancora maggiore se gli adempimenti burocratici fossero meno gravosi.
Viene spontaneo chiedersi a questo punto se anche altri Paesi, magari confinanti con la Svizzera, con questi ingredienti potrebbero guardare già al futuro prossimo, non a quello lontano, con altrettanto ottimismo.
Giovanni Longu
Berna, 25.03.2015