07 maggio 2014

1914 – 2. La politica immigratoria svizzera a una svolta


La Prima guerra mondiale segna una svolta fondamentale nella politica immigratoria svizzera. Con la chiusura delle frontiere allo scoppio della guerra, la Svizzera ha modo di ripensare la sua politica nei confronti degli stranieri, fino ad allora incentrata su un modello di libera circolazione delle persone, in base ad accordi bilaterali soprattutto con gli Stati confinanti. Dalla fine della guerra, le frontiere non saranno più totalmente aperte, nemmeno per gli immigrati provenienti dai cosiddetti Paesi «amici», Italia compresa.

Prima del 1914
Sono convinto che per capire questo Paese, e soprattutto la sua politica nei confronti degli stranieri, sia indispensabile dedicare qualche momento di attenzione a quel che è avvenuto anche in Svizzera, pur non essendo direttamente coinvolta nel conflitto, immediatamente prima, durante e dopo la prima guerra mondiale.
Anzitutto è opportuno ricordare che se la guerra non scoppiò per caso (l’assassinio a Sarajevo, il 28 giugno 1914, dell’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono d’Austria-Ungheria, fu solo un pretesto) o del tutto inaspettata, gran parte degli Stati coinvolti fin dall'inizio non erano preparati a un conflitto che sarebbe durato anni. Soprattutto la Svizzera si trovò del tutto impreparata, non già alla guerra ma alle sue possibili conseguenze come Paese circondato da Paesi belligeranti.
La Svizzera, pur essendo sempre stata prudente o addirittura diffidente del comportamento degli Stati confinanti, confidava in una sorta di protezione del suo statuto di Paese neutrale senza nemici. Si sentiva come un’isola (più o meno felice e comunque, di diritto, inviolabile) e ne approfittava per consolidare il suo sviluppo nel campo delle infrastrutture del traffico (completamento della rete ferroviaria e ampliamento di quello stradale), nella produzione agricola e industriale, nelle relazioni commerciali con l’estero, nel turismo interno e internazionale, negli sport invernali, nell'edilizia pubblica e privata, nelle arti e nella cultura in generale. Era il periodo fiorente della Belle Epoque.

Progresso e disagio sociale
La Svizzera cominciava ad essere rinomata non solo come piccola potenza industriale e polo d’attrazione turistica, ma in generale per il suo livello di benessere, anche se non concerneva ancora tutti. Da oltre un decennio aveva dimenticato di essere stato un Paese di emigrazione, ma si rendeva ben conto di essere diventato ormai un Paese d’immigrazione. Quasi il 15 per cento dei suoi abitanti erano infatti stranieri (oltre mezzo milione), soprattutto germanici e italiani.
Emigranti italiani alla stazione di Briga
Anche i numerosi italiani (oltre 200 mila) avevano, forse, dimenticato le violenze subite soprattutto a Berna (1893) e a Zurigo (1896) e molti ormai avevano adottato di fatto la Svizzera come seconda patria. Altri, invece, dovranno più tardi lasciarla per andare a combattere per la prima. Per evitare l’arruolamento forzato, molti emigrati chiesero e ottennero la naturalizzazione.
Alla vigilia della guerra, il lavoro in Svizzera abbondava, ma la settimana lavorativa era ancora lunga (sebbene fosse stata da poco ridotta da 65 e 59 ore, 10 al giorno), i salari in molte fabbriche rimanevano bassi e gli operai e i loro sindacati ricorrevano spesso a scioperi di protesta per cercare di aumentarli. Dall'inizio del secolo i rapporti sociali erano tesi e a farne le spese erano soprattutto gli stranieri, ritenuti ormai troppi, invasivi, indisposti all'integrazione, pericolosi sotto molti punti di vista.

Il «problema degli stranieri»
Ovunque si cominciava a discutere del «problema degli stranieri», soprattutto dopo che a Zurigo si era sintetizzata la questione in un unico termine «Überfremdung», poi tradotto in italiano come «inforestierimento», col quale si tendeva dapprima a designare un fenomeno sociologico di non facile interpretazione, poi sempre più a considerare gli stranieri un pericolo e addirittura la causa della precarietà del lavoro, dello sfruttamento salariale, della penuria di alloggi e di molto altro ancora.
Con lo scoppio della guerra il problema degli stranieri passò in second’ordine e divenne prioritario, ovviamente, come far fronte alla guerra, la preparazione dell’esercito, l’allestimento di una forza aerea (ancora inesistente), l’approvvigionamento del Paese, ecc. Per la Svizzera era chiaro, sebbene non avesse da temere (quasi) niente perché nessuno Stato le era nemico, sarebbe intervenuta contro chiunque avesse violato il suo territorio. Per questo doveva essere pronta.
Il problema della Überfremdung non verrà tuttavia abbandonato e sarà ripreso subito dopo la guerra. 
Giovanni Longu
Berna, 7 maggior 2014



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