17 aprile 2013

Rapporti italo-svizzeri: effetti della crisi italiana in Ticino

I rapporti italo-svizzeri risentono della difficile situazione politica ed economica che sta attraversando l’Italia. Se fino alla vigilia delle elezioni l’attenzione dei media svizzeri era concentrata sul contenzioso fiscale (l’esito delle discussioni sul modello Rubik) e sulle questioni relative ai frontalieri, oggi questi temi non fanno più notizia, come se non esistessero.

Tema Rubik
Il tema Rubik è rimasto attuale fino al momento delle elezioni, quando Berlusconi cercò di sfruttarlo a fini elettorali, lasciando intendere che in caso di vittoria avrebbe abolito l’IMU e restituito ai cittadini quanto già pagato sulla prima casa. A chi gli obiettava che non c’erano i soldi per farlo rispondeva che li avrebbe trovati in Svizzera concludendo a tempo a di record l’accordo Rubik già in fase di trattativa avanzata. A gelare tanto ottimismo era intervenuta la stessa ministra delle finanze Widmer-Schlumpf, affermando che non ci sarebbe stato alcun accordo pronto per la ratifica prima del 2015!
Da settimane ormai non se ne parla più, anche perché Berlusconi non ha vinto e per gli altri antagonisti, che pure non hanno vinto, il tema non figura nell'agenda delle priorità per l’Italia, anche se l’invito a riprendere i negoziati con la Svizzera è stato avanzato dai «Saggi» nella relazione finale consegnata al Presidente Napolitano. In assenza di un governo con cui dialogare e giungere a una conclusione, gli incontri bilaterali sull’argomento sembrano interrotti e il ritardo che si sta accumulando lascia intravedere un finale con un nulla di fatto, nel senso che all’Italia resterà ben poco da rivendicare.
La Svizzera si sta infatti avvicinando a grandi passi, sotto la pressione degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, all’abbandono del segreto bancario e all'accettazione di una forma di scambio automatico dei dati in materia fiscale, per cui ben presto non risulteranno più in Svizzera né depositi illegali né evasori fiscali stranieri.
Chi sa di rischiare multe salate avrà tutto il tempo per trasferire dalla Svizzera in altri paradisi fiscali i capitali depositati in nero. Eppure un accordo e la possibilità di recuperare parecchi miliardi erano a portata di mano dell’Italia già dai tempi in cui dirigeva le finanze il ministro Tremonti.

Tema frontalieri
Il tema dei frontalieri italiani (ossia coloro che per molti ticinesi «portano via il lavoro agli svizzeri») non è più anch’esso di attualità, non solo perché la Svizzera in questo momento non ha più un interlocutore sicuro, ma anche perché nell’ultimo trimestre dell’anno scorso il loro numero è diminuito sia pure di poche centinaia. Alla fine del 2012 il loro numero aveva comunque raggiunto quota 55.554, ossia 3086 in più dell’anno precedente.
La polemica sui frontalieri italiani sta rientrando anche perché gli stessi ticinesi si stanno accorgendo che semmai la contestazione non andrebbe fatta nei loro confronti, ma degli imprenditori svizzeri che li assumono. Inoltre è risaputo che i frontalieri occupano generalmente posti che i ticinesi hanno abbandonato e non intendono riprendere.
Molti osservatori si rendono anche conto che finché i frontalieri aumentano vuol dire che il lavoro (e quindi il benessere) non diminuisce, anche se l’occupazione può subire delle variazioni da un ramo all’altro e da un trimestre all’altro. In Ticino, ad esempio, mentre l’edilizia continua a creare occupazione, il settore manifatturiero ne perde e il terziario è abbastanza stabile.

Altri temi
Ovviamente per i media svizzeri i rapporti italo-svizzeri non sono limitati ai due temi sopracitati. Basti pensare ai trasporti, alla collaborazione transfrontaliera, all’avvicinarsi dell’Expo 2015, agli scambi commerciali, ecc. Ma oggi è soprattutto la situazione generale italiana che interessa, ben sapendo che uno sbocco della crisi in un senso o in un altro non potrà essere considerato indifferente da un Paese confinante che con l’Italia ha un fitto sistema di relazioni fondamentali. Di fatto alla crisi italiana la stampa svizzera dedica pagine intere e ne segue costantemente e con qualche apprensione gli sviluppi.
Al di là della legittima curiosità di vedere come e quando le forze politiche italiane decideranno di dar vita al prossimo governo, gli svizzeri sono interessati a capire soprattutto se sarà un governo transitorio o stabile, in grado di affrontare tutti i temi bilaterali sul tappeto. Purtroppo i vari commentatori sono molto scettici al riguardo e mettono in conto la probabilità che l’Italia torni presto a votare.
Ci sono tuttavia anche osservatori meno pessimisti e sono convinti, alla luce di una lunga tradizione che vede l’Italia «cavarsela» anche in situazioni peggiori, che anche stavolta saprà ritirarsi in tempo dal precipizio e agganciare, magari con un po’ di ritardo, la ripresa europea che si preannuncia prossima.

Euroscetticismo italiano
La Svizzera è anche interessata a sapere quanto davvero l’Italia stia diventando euroscettica, visto che la principale forza politica europeista guidata da Mario Monti non è stata premiata dagli elettori. E non è affatto chiaro quanto o quale europeismo sia (rimasto) nelle altre forze rappresentate in parlamento, a cominciare dal Movimento 5 Stelle, visto che la politica di austerità imposta dall’Europa non sembra andar bene a nessuno.
Non c’è dubbio che alla Svizzera interessi la stabilità dell’euro e che l’Eurozona non segua la voglia di svalutazione presente negli Stati Uniti e nel Giappone. E’ risaputo che uno dei motori principali dell’economia svizzera è l’esportazione e un euro debole non la favorirebbe. Ma alla Svizzera interessa anche poter contare su Paesi amici nei rapporti non sempre facili con l’Unione Europea.
Oltre alle conseguenze della crisi italiana già accennate, meritano attenzione alcune ripercussioni dirette sul Ticino.

Emigrazione di imprese…
E’ noto (perché i media italiani lo ricordano in continuazione) che le piccole e medie imprese rischiano di morire da un giorno all’altro per mancanza di liquidità e soprattutto per il drastico calo della domanda interna. Riescono a sopravvivere, talvolta bene, quelle imprese orientate all’esportazione dei loro prodotti (il made in Italy è ancora forte) e quelle che dislocano nei Paesi vicini, tra i quali la Svizzera.
Poco più di un mese fa, un quotidiano ticinese descriveva la situazione in questi termini: «un’economia [quella ticinese] presa d’assalto (…). Il Ticino continua ad essere terra di conquista per le ditte che provengono da oltre confine. Seguita infatti ad espandersi il numero dei lavoratori distaccati e degli indipendenti: da 11.295 nel 2011 si è passati a 15.653 lavoratori distaccati nel 2012, pari ad un aumento del 38,6%. Crescono ancora di più i cosiddetti padroncini, con un incremento del 52,9% (da 4.888 nel 2011 a 7.472 nel 2012). Il trend è al rialzo anche quest’anno» (Corriere del Ticino).
E’ di qualche giorno fa la notizia riportata dal portale informatico del Ticino che «a seguito della situazione politica poco chiara dell’Italia e a una politica fiscale piuttosto dura attuata dal presidente del consiglio uscente Mario Monti, molto aziende italiane si sono trasferite in Ticino (…). Nel primo trimestre 2013, il nostro Cantone é stato caratterizzato da un moderato aumento (+2.4%) di iscrizioni al registro di commercio, attestandosi a quota 773 nuove imprese».
La Lombardia in particolare è preoccupata di questa emorragia di aziende e della conseguente perdita di posti di lavoro e di risorse. Anche per contrastare questo fenomeno, recentemente la Regione ha istituito una commissione speciale per i rapporti con le «aree di confine».
… e di attività illecite
Purtroppo ad «emigrare» non sono soltanto persone e imprese, ma anche attività illecite legate alla prostituzione, al traffico di droga, armi, sigarette e denaro sporco. Da mesi è in atto un forte contrasto da parte delle forze dell’ordine italiane nell’Alto Varesotto e lungo il confine. Anche le guardie svizzere sono allertate. Resta il fatto che, a detta di molti osservatori, la frontiera tra Italia e Ticino è diventata «bollente».
Un settore che registra un’attività in aumento è anche la prostituzione. Con l’attuale crisi e la scarsità di «lavoro» in Italia, molte prostitute rimediano in Ticino, dove la pratica del «mestiere» è più libera che in Italia e dove si moltiplicano le case a luci rosse, soprattutto lungo la fascia di confine. Sono in molti a denunciare il fenomeno, sia in Italia che in Ticino, perché rischia di dilagare. Sembra trattarsi spesso di giovani donne reclutate nell’Europa orientale (specialmente in Romania), fatte arrivare in Italia con false promesse e poi fatte «emigrare» in Ticino. All’origine di questa tratta di esseri umani ci sarebbero organizzazioni criminali albanesi.
Basterebbero questi cenni per comprendere quanto sia urgente, anche nel segno dell’amicizia italo-svizzera, che l’Italia riprenda nelle sue mani il proprio destino. Per questo occorre nei suoi dirigenti ma soprattutto nei cittadini un senso della realtà che li induca ad abbandonare definitivamente le contrapposizioni partitico-ideologiche che finora hanno solo generato discordie, odi, mancato sviluppo, e ad imboccare la strada della collaborazione, delle riforme condivise e dell’unità nazionale nel più ampio orizzonte europeo.
Giovanni Longu
Berna, 17.04.2013

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