Quando agli inizi degli anni Settanta il Consiglio federale decise
di riorientare la politica immigratoria verso la stabilizzazione e
l’integrazione della popolazione straniera, i dubbi erano legittimi. Lo era
soprattutto quello sulla stabilizzazione perché il numero degli stranieri dipendeva
tradizionalmente dallo sviluppo dell’economia. Lo era anche quello riguardo all’integrazione,
ma meno, perché si avvertiva già il prolungamento costante del soggiorno degli
immigrati e questo avrebbe favorito l’integrazione. Il processo richiese
tuttavia un tempo probabilmente molto più lungo del previsto, ma si deve
riconoscere che nel periodo in esame sono state poste le basi indispensabili per
raggiungere in seguito i risultati auspicati.
Integrazione possibile e necessaria
degli anni Sessanta. Alla fine del 1980 la durata media era già di 14,3 anni, alla fine del 1990 di ben 19,7 anni ( e sarà di circa 24 anni sul finire degli anni Novanta). Un periodo indubbiamente favorevole all'integrazione.
L’elevato tasso di natalità degli immigrati italiani nella
seconda metà degli anni Sessanta (massimo storico nel 1969 con 19.101 nascite)
e l’incessante arrivo dall'Italia di bambini in età scolastica grazie alle
agevolazioni del ricongiungimento familiare previsto dall'accordo
italo-svizzero del 1964 avevano prospettato una forte presenza di giovani italiani
nei decenni successivi.
Dai primi anni Settanta, tuttavia, il loro futuro cominciò a
preoccupare sia gli ambienti politici svizzeri e italiani che le famiglie
direttamente interessate. Tutti infatti tendevano ad escludere, sia pure con
motivazioni diverse, che questi giovani sarebbero succeduti nell'economia
svizzera ai loro genitori (in gran parte manovali) una volta rientrati in
Italia, al più tardi all'età della pensione. Nessuno, però, era in grado di
proporre soluzioni sicure su larga scala.
La preoccupazione si accentuò nella seconda metà degli anni
Settanta, quando la crisi economica soppresse numerosi posti di lavoro,
occupati soprattutto da stranieri, e indusse molti italiani a rientrare in
patria. Se però molti partivano, coloro che restavano erano ben più numerosi
(nonostante il calo delle nascite a partire dal 1970). Ai giovani bisognava
garantire un futuro diverso da quello dei loro genitori, ma non diverso da
quello dei coetanei svizzeri.
Percorso difficile
Come più volte ricordato in diversi articoli, il Consiglio
federale era deciso a mettere in campo nei loro confronti una politica
d’integrazione completa, che comprendeva (già nel disegno di legge sugli
stranieri del 1978) tutti i diritti fondamentali, compresa l’attività politica.
Di più, il Consiglio federale prospettava, a chi l’avesse chiesta, anche una
procedura agevolata di naturalizzazione (poi naufragata nel voto popolare).
Nonostante l’ottimismo del Consiglio federale, il processo
d’integrazione avanzava tuttavia lentamente perché gli ostacoli da superare
erano tanti, uno in particolare, l’insicurezza (di origine interna ed esterna) sia
del cittadino integrato (quasi svizzero? Straniero di carta? Né l’uno né
l’altro?) che del naturalizzato, combattuto tra due culture, due patrie, due
affetti.
Ripensando all'atmosfera che si respirava al riguardo negli
anni Settanta e Ottanta è facile ricordare con quanta esitazione si consigliava
a un giovane interessato di presentare una domanda di naturalizzazione per
facilitargli l’accesso all'esercizio di alcune professioni. Con quanta
insistenza, invece, si ricordava agli italiani di appartenere ad una grande
cultura, a un grande Paese, a un’Europa che garantiva la libera circolazione,
ecc.
Andamento lento ma sicuro
Alla fine del periodo in esame (1970-1990) si poteva ancora essere
pessimisti perché l’integrazione sembrava garantire alla seconda generazione meno
vantaggi di quanti ne prometteva, nonostante il superamento delle note
difficoltà di comunicazione della prima generazione. Infatti, ad un’attenta
osservazione, non era difficile notare che gli stranieri erano spesso svantaggiati
rispetto ai coetanei svizzeri nella formazione scolastica e professionale,
nella posizione professionale, nella prospettiva di carriera. Solo nei
naturalizzati questi svantaggi tendevano a scomparire.
Probabilmente molti si erano illusi di poter vedere in pochi
anni cambiamenti che generalmente durano generazioni. Se uno avesse avuto la
pazienza o la possibilità di attendere, già negli anni Novanta (come si vedrà
prossimamente) avrebbe costatato evidenti progressi, soprattutto dal 1992, quando
divenne possibile la doppia nazionalità, italiana e svizzera.
Giovanni Longu
Berna, 2.3.2022
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