23 dicembre 2020

Natale e il senso della famiglia

In Svizzera è sempre stata una tradizione molto sentita dagli emigrati italiani festeggiare il Natale in famiglia, anche da coloro che per riunirsi dovevano affrontare un lungo viaggio, come i tanti lavoratori soli dei primi decenni del dopoguerra. Anche per loro il detto «Natale coi tuoi» era un’esigenza irrinunciabile, sebbene non fosse sempre facile soddisfarla.

Natale e i regali

Chi poteva tornare a casa in Italia preparava generalmente bene il viaggio perché era scontato che dalla ricca Svizzera si tornasse con tanti bei regali oltre che con i sudati risparmi. Soprattutto le donne erano molto attente a non deludere le aspettative dei famigliari e delle amiche. Preferivano regalare soprattutto oggetti pratici come i dadi per il brodo, le tavolette di cioccolata, pacchi di zucchero, ma anche profumi. Chi lavorava nel ramo dell’abbigliamento non aveva difficoltà a rifornirsi di piccoli capi e chi lavorava nel comparto del ricamo faceva incetta di pizzi e merletti scartati per difetti quasi impercettibili. C’erano anche donne, come racconta Luisa Moraschinelli, che nel tempo libero preparavano loro stesse oggetti a maglia da portare come regalini per Natale.

Molti regali si compravano nei negozi e la scelta era facile perché comunque tutto ciò che arrivava dalla Svizzera sarebbe apparso corrispondente al mito che di questo Paese avevano contribuito a creare soprattutto nel Meridione proprio gli emigrati. Perciò i regali dovevano essere tanti e appariscenti, magari anche costosi. Le scelte degli uomini erano meno varie di quelle delle donne, ma oltre ai soliti sigari, sigarette e accendini, c’erano anche matite colorate, penne stilografiche o a sfera, orologi e altri oggetti-regalo.

Tornare a casa per Natale era sempre anche un’occasione per dimostrare ai concittadini una sorta di rivincita sulla miseria o la paura che li aveva costretti ad abbandonare la terra (avara) in cui erano nati e cresciuti, ma non era stata in grado di far ben sperare nel futuro. Bisognava dimostrare che nel Paese d’immigrazione si stava bene, si guadagnava, si risparmiava, stando attenti a nascondere la fatica, la nostalgia, la malinconia e le rinunce che comportava quasi sempre la vita da emigrati.

Con i soldi risparmiati si erano magari comprata la macchina e potevano finire di costruire la casa in Italia, perché un giorno sarebbero rientrati definitivamente dalla Svizzera. Il Natale in famiglia e i regali che portavano dovevano indicare che la scelta fatta dagli emigrati era quella giusta. Anche per questo quelle valige che erano state riempite di tante speranze alla partenza, per Natale dovevano tornare piene di regali.

Finite le feste natalizie, per molti emigrati il rientro in Svizzera significava ripiombare nella normalità, che talvolta risultava persino peggiore di quella che avevano lasciato una o due settimane prima. Per esempio nel 1974 quando vennero a sapere che si stavano raccogliendo firme per altre due iniziative antistranieri, quelle di Valentin Oehen e di James Schwarzenbach, lo stesso che era stato bocciato nella precedente votazione del 1970. I movimenti xenofobi non avevano accettato la sconfitta.

Natale da emigrati 

Per Natale, però, non a tutti gli immigrati era sempre possibile rientrare in famiglia in Italia. Alcuni datori di lavoro riuscivano a trattenerne un certo numero per evitare la chiusura del cantiere, dell’officina, del laboratorio o del negozio. Secondo uno studio commissionato dalla Confederazione nel 1961, l’assenza degli specialisti italiani (gruisti, minatori, addetti agli  altiforni, preparatori di macchine utensili, addetti ai bagni galvanici, ecc.) tra Natale e Capodanno paralizzava per una settimana circa la metà dell’organico delle aziende e faceva diminuire la produzione del 65%.

Per coloro che non potevano rientrare in Italia e magari erano costretti a lavorare, molte associazioni di emigranti e soprattutto la Missione cattolica italiana riuscivano comunque a organizzare anche in Svizzera una festa di Natale sentita e piacevole, anche se l’amarezza per la lontananza dai propri cari era spesso evidente.

Era la prima generazione, che aveva un fortissimo senso della famiglia. Questo sentimento pesò favorevolmente nelle trattative per l’Accordo italo-svizzero del 1964. Oggi, purtroppo, sembra pesare molto meno. 

Comunque a tutti l’augurio di un Sereno Natale.

Giovanni Longu
Berna 23.12.2020

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