25 settembre 2019

Immigrazione italiana 1950-1970: 27. Schwarzenbach e gli italiani (4a parte)

Con l’accordo italo-svizzero del 1964 sull’emigrazione/immigrazione, l’Italia aveva raggiunto un buon risultato dopo una difficile trattativa; persino l’opposizione comunista, generalmente molto critica nei confronti dei governi a guida democristiana, l’approvò quasi all’unanimità. Lo stesso accordo generò invece in Svizzera, in alcuni ambienti politici e sindacali e soprattutto tra la popolazione del ceto medio-basso, una diffusa insoddisfazione. Si consideravano le concessioni agli stranieri un cedimento a danno dei lavoratori svizzeri. Ne nacque, fra l’altro, l’iniziativa Schwarzenbach che diffuse in tutta la Svizzera sentimenti xenofobi. Nonostante il rigetto dell’iniziativa (7 giugno 1970) da parte del popolo svizzero, il problema degli stranieri rimase aperto, provocando reazioni differenti dai tre principali interessati: movimenti xenofobi, governi e immigrati (italiani). 

Votazione del 7.6.1970: prime reazioni
Netto NO all'iniziativa Schwarzenbach.
La prima reazione «a caldo» dopo lo spoglio dei risultati dev’essere stata di sollievo per tutti, perché la grande paura era passata. Persino Schwarzenbach, considerato ad una prima lettura dei risultati (654.844 NO e 557.517 SI all’iniziativa) l’unico vero perdente, dev’essersi sentito un po’ sollevato dal rischio, in caso di vittoria, di essere additato non solo dagli stranieri ma anche da moltissimi svizzeri come il nemico numero uno. Del resto, Schwarzenbach, lungi da sentirsi perdente, si considerava soddisfatto che la sua iniziativa avesse ottenuto oltre mezzo milione di consensi (su 1.212.361 voti validi), nonostante fosse stata osteggiata da tutto l’establishment (Parlamento, Governo, chiese, organizzazioni padronali e sindacali, ecc.) e dai media.
Il popolo svizzero, che poteva apparire il vero vincitore, deve aver tirato un sospiro di sollievo perché non avrebbe sopportato a lungo una contrapposizione così combattuta e per molti incomprensibile (inforestierimento? quote? Schwarzenbach?) tra sostenitori e oppositori dell’iniziativa.
Gli immigrati si sentivano tranquillizzati perché la grande paura di essere cacciati era finita e potevano disfare le valige già pronte, ma senza fare salti di gioia sapendo che quasi la metà degli svizzeri dimostrava di non gradirli benché utili.
Provarono un senso di liberazione anche i due governi maggiormente coinvolti, quello federale e quello italiano, perché il primo aveva evitato la «vergogna che sarebbe derivata alla Confederazione da un voto razzista, ingeneroso e disumano» (Libera Stampa, 8.6.1970) e il secondo perché poteva mantenere tranquillamente in Svizzera l’intera colonia di oltre 700.000 persone, tra domiciliati, residenti annuali, stagionali e frontalieri, senza doversi preoccupare di un’eventuale rimpatriata forzata di 300.000 connazionali (cfr. https://disappuntidigiovannilongu.blogspot.com/2019/09/immigrazione-italiana-1950-1970-26.html).

Analisi dei risultati
Ad una analisi più attenta dei risultati fu però facile rendersi conto che il rigetto dell’iniziativa non significava che la maggioranza degli svizzeri avesse cambiato opinione sugli stranieri o che fosse già in atto una nuova politica immigratoria del Consiglio federale.
Quanto al popolo svizzero, appariva sempre più chiaro che la maggioranza dei votanti aveva bocciato l’iniziativa più per calcolo che per considerazioni politiche (inforestierimento) e meno ancora umanitarie. E’ verosimile che andando a votare il 7 giugno 1970 molti svizzeri abbiano pensato più ai rischi che correvano accettando l’iniziativa che all’ideologia dell’inforestierimento, a ciò che pensava Schwarzenbach, alle quote, all’assimilazione/integrazione degli stranieri.

I risultati a livello cantonale e comunale mostravano infatti che l’iniziativa era stata respinta soprattutto dai Cantoni dove più alta era la percentuale degli stranieri e dove era concentrata l’attività produttiva, che garantiva lavoro e benessere anche agli svizzeri. Se da quei Cantoni fossero partiti 300.000 stranieri anche l’occupazione indigena ne avrebbe sofferto.
Quanto fosse fondata la preoccupazione di molti svizzeri, lo dimostrano alcune cifre. Gli stranieri residenti attivi (657.054) erano addetti per il 67% nell’industria (donne: 51%, uomini: 75%), mentre la proporzione degli svizzeri scendeva al 48% (donne: 34%, uomini: 56%). Ancora, a differenza degli svizzeri, distribuiti in tutte le attività produttive, gli italiani erano concentrati soprattutto nelle grandi imprese situate nelle agglomerazioni urbane.
Alcuni Cantoni avrebbero dovuto privarsi di migliaia di lavoratori stranieri perché superavano la quota massima del 10% prevista dall’iniziativa, per esempio il Ticino (dove gli stranieri erano il 27,5%), Vaud (22,6%), Neuchâtel (21,7%), Sciaffusa (19,1%), Zurigo (19,0%), Basilea Campagna (18,9%), Basilea Città (17,6%), ecc.
Molte aziende industriali, ma anche di servizi (alberghi, ristoranti, pulizie, ecc.) non avrebbero avuto la possibilità di continuare a fornire gli stessi beni e servizi. Molte avrebbero chiuso, lasciando a casa i dipendenti rimasti, compresi quelli svizzeri. Anche grandi fabbriche come la Sulzer di Winterthur avrebbero incontrato serie difficoltà a mantenere la produzione se fosse andato via il 75% dei tornitori o il 93% degli addetti alle fonderie.

Considerazioni «a freddo»
Col tempo le prime reazioni lasciarono il posto a considerazioni più articolate sul futuro. Infatti, se si poteva gioire dello scampato pericolo, i numerosi problemi che quella votazione sollevava aspettavano soluzioni efficaci e condivisibili. Che fine avrebbero fatto i movimenti xenofobi? Come sarebbe cambiata la politica immigratoria del Consiglio federale? Il governo italiano avrebbe finalmente cominciato a creare in patria le condizioni per evitare gli espatri?
I movimenti xenofobi erano stati vinti ma non annientati e molto probabilmente avrebbero proseguito la lotta contro l’inforestierimento.
La stampa italiana diede ampio rilievo alla votazione del 7.6.1970
Anche il popolo svizzero, lungi dall’essere considerato vincitore, usciva dalla competizione frantumato. I risultati cantonali e comunali della votazione avevano evidenziato le profonde divisioni esistenti nella società svizzera tra città e campagna, svizzeri tedeschi e svizzeri latini, Cantoni industriali e Cantoni rurali. Occorreva evitare che il tema degli stranieri contribuisse ad aggravare le spaccature.
I due principali governi interessati, quello svizzero e quello italiano, si trovavano di fronte a sfide difficili e impegnative da affrontare perché occorreva ripensare l’intera politica migratoria, dare risposte soddisfacenti alle pressanti richieste degli immigrati, approntare adeguati strumenti d’integrazione per le seconde generazioni.
Per gli immigrati italiani (che costituivano allora il 54,1% degli stranieri), avendo costatato di non essere graditi, ma al massimo sopportati, si trattava soprattutto di verificare la propria disponibilità a continuare l’esperienza migratoria integrandosi nella società ospite o decidere d’interromperla e rientrare in patria. Dilemma di non facile soluzione quando la scelta coinvolgeva figli in età scolastica o di formazione professionale, non si conosceva sufficientemente la lingua locale, mancavano i contatti e il clima generale non sembrava favorevole.

Reazione del governo svizzero
Dall’analisi dei risultati della votazione al Consiglio federale apparve chiaro che la maggioranza del popolo svizzero confermava la politica restrittiva del governo in materia di immigrazione, ma chiedeva anche un maggiore impegno teso a favorire la partecipazione e l’integrazione degli stranieri residenti stabilmente.


Già il giorno successivo alla votazione, il Consiglio federale incaricò il Dipartimento di giustizia e polizia, d’intesa col Dipartimento dell’economia pubblica, di esaminare i problemi sociali riguardanti gli stranieri. Nel luglio 1970 istituì una Commissione federale consultiva per il problema degli stranieri (CFS) per consigliare il governo su questioni legate alla presenza degli stranieri in Svizzera nell’ambito sociale, economico, culturale, politico, giuridico, ecc. Per la legislatura 1971-1975 indicava chiaramente alcune linee direttive per promuovere l’integrazione (anche se allora si parlava ancora di «assimilazione»): «Tale assimilazione esige da parte della popolazione svizzera uno sforzo di comprensione per la particolare mentalità degli immigrati e, dalla parte di quest'ultimi, volontà d'adeguamento alle nostre condizioni di vita e alle nostre istituzioni sociali. Occorre segnatamente che si stabiliscano rapporti reciproci, che gli immigrati abbiano a beneficiare di pari possibilità in quanto concerne la formazione scolastica, il perfezionamento professionale e l'abitazione e che siano umanizzati i rapporti con le autorità».
Il Consiglio federale si rendeva conto che nella sua azione sarebbe stato incalzato in Parlamento e nella piazza da Schwarzenbach e dai movimenti xenofobi, ,ma la linea da seguire appariva ormai chiara. (Segue)
Giovanni Longu
Berna, 25.09.2019

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