La Svizzera di oggi non è il risultato
dell’evoluzione naturale più che bimillenaria di un popolo o di un insieme di
tribù appartenenti allo stesso ceppo, ma il prodotto di un lungo processo
d’integrazione e di sviluppo fortemente voluto da etnie diverse. Sebbene
all’origine della Confederazione (verso la fine del XIII secolo) non ci fosse
un’intesa per realizzare insieme un progetto nazionale, ma un patto,
un’alleanza, una «Lega di Confederati» (questa è l’espressione che figurerà
anche nella Costituzione del 1848) per difendere una molteplicità di interessi
comuni (controllo dei passi alpini, autogoverno, libertà da ingerenze esterne,
diritti personali, conservazione dei loro beni, ecc.), la Svizzera di oggi non
si capirebbe senza una persistente volontà dei suoi cittadini di coesistere
in una «nazione».
In principio c’era la volontà
L’idea della Willensnation non è un’autorappresentazione della Svizzera moderna
alla ricerca di un’origine nobile, addirittura eroica, come quella descritta nel
Guglielmo Tell di Friedrich Schiller, quando i convenuti
sul praticello del Grütli (1291) gridano unanimi: «noi giuriamo qui di
formare un sol popolo di fratelli, che le sventure e i pericoli mai non
divideranno». Non è nemmeno un ricorrente artifizio politico e retorico per
sollecitare il superamento di divergenze e contrasti tra varie parti del Paese.
L’espressione Willensnation indica piuttosto la consapevolezza che
accompagna i confederati, idealmente in maniera ininterrotta, dalla fine del
XIII secolo ad oggi, di appartenere a un gruppo, un’alleanza, una lega, una
nazione.
Patto con giuramento
A prescindere dalla componente leggendaria dei
racconti delle origini, non si può non collocare gli inizi della vecchia
Confederazione in quei tempi lontani, secondo quanto attestato da alcuni
documenti dell’epoca e in particolare il cosiddetto «Patto federale»
dell’inizio di agosto 1291, conservato nel Museo dei Patti federali di Svitto e
considerato ufficialmente il più antico atto costituzionale svizzero. Quel
documento, pur non costituendo l’atto di formazione di «un sol popolo di
fratelli», può essere ritenuto a buona ragione un atto di volontà comune
espresso dalle tre comunità montane di Uri, Svitto e Untervaldo, decise a
sostenersi reciprocamente nella salvaguardia di alcuni interessi comuni quali la
sicurezza interna ed esterna e la pace. Come tale, e alla luce di quanto ha
prodotto nei secoli successivi, quell’atto va ritenuto fondamentale per
l’intera storia della Svizzera fino ad oggi.
L’inizio del «Patto», redatto in latino
medievale, è emblematico. Esso recita, nella traduzione italiana moderna:
«Nel nome del Signore, così sia. E’ opera onorevole ed utile confermare, nelle debite forme, i patti della sicurezza e della pace. Sia noto dunque a tutti, che gli uomini della valle di Uri, la comunità della valle di Svitto e quella degli uomini in Untervaldo, considerando la malizia dei tempi ed allo scopo di meglio difendere e integralmente conservare sé ed i loro beni, hanno fatto leale promessa di prestarsi reciproco aiuto, consiglio e appoggio, a salvaguardia così delle persone come delle cose, dentro le loro valli e fuori, con tutti i mezzi in loro potere, con tutte le loro forze, contro tutti coloro e contro ciascuno di coloro che ad essi o ad uno d'essi facesse violenza, molestia od ingiuria con il proposito di nuocere alle persone od alle cose».
«Nel nome del Signore, così sia. E’ opera onorevole ed utile confermare, nelle debite forme, i patti della sicurezza e della pace. Sia noto dunque a tutti, che gli uomini della valle di Uri, la comunità della valle di Svitto e quella degli uomini in Untervaldo, considerando la malizia dei tempi ed allo scopo di meglio difendere e integralmente conservare sé ed i loro beni, hanno fatto leale promessa di prestarsi reciproco aiuto, consiglio e appoggio, a salvaguardia così delle persone come delle cose, dentro le loro valli e fuori, con tutti i mezzi in loro potere, con tutte le loro forze, contro tutti coloro e contro ciascuno di coloro che ad essi o ad uno d'essi facesse violenza, molestia od ingiuria con il proposito di nuocere alle persone od alle cose».
La maniera con cui quell’accordo fu sancito,
ossia il giuramento sacro, aiuta a capirne l’importanza: «A
conferma che tali promesse saranno lealmente osservate, prestano giuramento,
rinnovando con il presente accordo l'antico patto pure conchiuso sotto
giuramento». Questo spiega anche l’introduzione del testo: «Nel nome del Signore,
così sia», come se si chiamasse Dio a testimone della lealtà e serietà con
cui il patto veniva concluso.
Principi di solidarietà e democrazia
Trattandosi
di un Patto, per di più sancito con un giuramento, non si può fare a meno di
ricordarne brevemente i contenuti, che indicano in embrione alcuni ideali della
futura Confederazione. Oltre alla salvaguardia
delle persone e dei loro beni, il Patto considera tra gli obiettivi da
conseguire anzitutto una sorta di solidarietà,
descritta come l’impegno di ciascuna comunità ad «accorrere in aiuto dell'altra, ogni volta che sia necessario» e a
«respingere, a proprie spese, secondo le circostanze, le aggressioni ostili» e
«vendicare le ingiurie sofferte». Un altro obiettivo è il conseguimento di
una forma di democrazia, che per
quanto ancora rudimentale, lascia intravedere elementi avanzati di gestione
della cosa pubblica, ad esempio quando si statuisce di «non accogliere né riconoscere in qualsiasi modo, nelle suddette valli,
alcun giudice il quale abbia acquistato il proprio ufficio mediante denaro od
altra prestazione, ovvero non sia abitante delle nostre valli o membro delle
nostre comunità». Oppure quando si decide di ricorrere a una sorta di
arbitrato super partes per dirimere le controversie («Se sorgesse dissenso fra i confederati, i più
prudenti di loro hanno l'obbligo d'intervenire a sedar la discordia, nel modo
che loro sembrerà migliore; e se una parte respinge il giudizio proferito, gli
altri confederati le si mettano contro»).
Dal Patto federale alla Costituzione federale
Per quanto non esista un legame diretto tra il Patto federale
del 1291 e la Costituzione federale attuale, mi pare innegabile un legame ideale
tra i due documenti, entrambi finalizzati a consolidare almeno in alcuni campi l’unione
dei confederati per raggiungere meglio determinati obiettivi, il primo
documento tenendo conto della «malizia dei tempi», il secondo delle mutate
condizioni sociali e politiche interne e internazionali.
Questo legame, tuttavia, non è tanto dovuto ai contenuti
quanto piuttosto alla tensione ideale presente nei primi confederati e
negli svizzeri di oggi di voler essere sé stessi e di voler raggiungere
gli obiettivi ritenuti allora e oggi utili e possibili.
Anche lo strumento e la forma decisi per realizzare gli
obiettivi mi sembrano indicatori potenti della continuità e dunque
dell’identità nazionale dei confederati del 1291 e di quelli di oggi.
L’espressione «Lega dei Confederati» che figura nel Patto federale del
1291 è la stessa usata nel preambolo della Costituzione del 1848 (mentre
l’attuale Costituzione del 1999
preferisce l’espressione analoga «alleanza confederale», pur confermando
il senso della precedente). Tra il primo è il secondo documento trascorsero
cinque secoli e mezzo, ma pur essendo alquanto diversi è facile trovare una
linea di continuità sostanziale. In entrambi, per esempio, si sottolinea la pluralità
e diversità delle entità che compongono la Lega, ma anche la volontà
che le unisce.
La Svizzera, un «Sonderfall»
Pertanto, sostenere che alla base della Confederazione ci sia
la volontà non mi sembra né insignificante né una forzatura. Tanto è vero che
si richiamano a questo legame anche molti politici di oggi. Ciò non toglie
comunque che la Svizzera abbia rappresentato per molto tempo e in parte
rappresenti ancora adesso un «Sonderfall»,
anche proprio riguardo all’identità nazionale. Se infatti può essere abbastanza
semplice riconoscere una comune identità agli italiani, ai francesi o ai
tedeschi (per limitarsi ai popoli degli Stati confinanti) in quanto cittadini
di lingua e di nazionalità italiana, di lingua e nazionalità francese o di
lingua e nazionalità tedesca, non è altrettanto semplice quando si tenta di
identificare gli svizzeri. Gli svizzeri infatti non sono i cittadini di lingua
svizzera che hanno la nazionalità svizzera.
La Svizzera, tanto per cominciare, non è uno Stato nazionale
(nel senso di «Stato costituito da una comune entità culturale e/o etnica
omogenea», in cui i cittadini condividono linguaggio, cultura, valori, ecc.
cfr. Wikipedia), ma è una Confederazione di Stati (Cantoni). Già questa
costatazione lascia intuire facilmente la sua complessità ed eterogeneità
(popolazioni, storie, culture, lingue, religioni… diverse), ma anche la sua
straordinaria forza di coesione (che si manifesta attraverso il plurilinguismo,
il federalismo, la democrazia diretta, ecc.). Altrimenti la Svizzera non
esisterebbe e non sarebbe possibile attribuire anche agli svizzeri una «cultura
nazionale» che sta alla base della loro identità.
Tanti nomi per un solo Paese
Il «Sonderfall» sta proprio in questo, che nonostante
l’eterogeneità, l’entità nazionale svizzera continua ad esistere, sebbene le
popolazioni da cui discendono i confederati di oggi non avessero in comune né
la provenienza, né la lingua e nemmeno una denominazione comune. Del resto non
ce l’hanno nemmeno ora, tant’è che a seconda della lingua usata bisogna
chiamarli Schweizer, Suisses, Svizzeri, Svizzers, come si deve chiamare
con nomi diversi il loro territorio Schweiz, Suisse, Svizzera, Svizra e
magari Switzerland (anche se non è un nome ufficiale).
Per rendersi conto della portata di questa pluralità di nomi,
bisogna ricordare a quanti già non lo sapessero, che non si tratta di
traduzioni (come nel caso di Italie, Italien, Italy per l’Italia), ma di
denominazioni ufficiali. Si potrebbe aggiungere che in un Paese democratico
come la Svizzera, che riconosce la parità linguistica delle sue principali
componenti demografiche, non si è voluta privilegiare alcuna denominazione, pur
essendo quella svizzero-tedesca di gran lunga la più rappresentativa. Semmai si
sarebbe potuto optare per una denominazione per così dire neutra, super partes.
In effetti il tentativo c’è stato e Confoederatio Helvetica è la denominazione ufficiale latina,
ma viene raramente utilizzata dalla stessa Confederazione. Non è però
scomparsa: essa figura infatti incisa sul frontone del Palazzo federale a Berna
(dal 1902), in alcune monete (per es. quella da 5 franchi), sul sigillo della
Confederazione (solo dal 1948) ed è all’origine della sigla internazionale
della Svizzera: CH.
Tanta varietà di nomi può sorprendere, ma non quanto dovrebbe
sorprendere il costatare che sotto questa molteplicità si raccoglie un intero
popolo, «il Popolo svizzero», che «in nome di Dio Onnipotente» e insieme
ai Cantoni si è data nel 1848 e rinnovata nel 1999 la Costituzione federale. (Segue)
Giovanni Longu
Berna, 25.11.2015
Berna, 25.11.2015
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