La prova del fuoco per la «neutralità svizzera»
arrivò durante la seconda guerra mondiale, quando la Svizzera, dopo il 1940
interamente circondata dalle forze dell’Asse (Germania-Italia), si sentì
minacciata nella sua stessa esistenza.
La politica di buon vicinato
Gen. Guisan, convinto sostenitore della resistenza armata della Svizzera durante la seconda guerra mondiale. |
I rapporti della Svizzera con il Terzo Reich erano
invece meno distesi, anche se corretti, come esigevano gli ingenti scambi tra i
due Paesi e i grandi investimenti svizzeri in Germania. Le opinioni di Hitler
sulla Svizzera erano note: poiché riteneva il popolo svizzero «un ramo deforme»
del popolo tedesco, ne auspicava lo smembramento secondo le regioni
linguistiche. Motta dovette faticare non poco per ottenere dalla Germania il
riconoscimento della neutralità svizzera.
Neutralità, ma non ad oltranza
Allo scoppio della guerra, prudenzialmente, la
Svizzera mobilitò subito l’esercito perché fosse pronto a difendere non solo la
sua sovranità nazionale, ma anche la sua specificità di nazione costituita da popolazioni
differenti per lingua e cultura. Il Consiglio federale non sottovalutava
infatti il pericolo che all’interno della Svizzera (dove il clima sociale era
ancora molto teso dopo la grave crisi economica del 1929-32) si potessero
costituire fazioni favorevoli all’uno o all’altro belligerante, che sarebbero
state pregiudizievoli per la coesione nazionale.
Nel corso della guerra, la neutralità della
Svizzera fu messa a dura prova, soprattutto dopo il 1940, quando fu
completamente accerchiata dalle forze dell’Asse, non particolarmente benevole
nei suoi confronti. Hitler aveva minacciato pesanti ritorsioni per
l'abbattimento da parte della contraerea svizzera di 11 aviogetti tedeschi
penetrati nello spazio aereo elvetico (1940), Mussolini non nascondeva le sue
rivendicazioni (sebbene con poca convinzione) sul Ticino.
Dopo la capitolazione della Francia (25 giugno
1940) e la cessazione delle operazioni militari attorno alla Svizzera, considerazioni
di ordine politico e militare (sembrava che Hitler fosse davvero intenzionato a
invadere la Svizzera) indussero il Consiglio federale ad essere meno rigido nella
difesa della propria neutralità e più accondiscendente nei confronti della
Germania.
Compromessi per la sopravvivenza
Fu lo stesso consigliere federale Marcel Pilet-Golaz (1889-1958), successore di Motta a capo del DPF, a sostenere tale scelta
(sebbene non condivisa dalla maggioranza del governo federale), ritenendo che in
nome della Realpolitik in quel
momento fosse prioritaria l’amicizia con la Germania e con l'Italia». Come dire, anche la neutralità è un mezzo da
usare con proporzionalità.
In quel momento, la cosa più importante sembrava la
sopravvivenza della Svizzera. Inoltre, si riteneva di gran lunga preferibile
non urtare la suscettibilità di Hitler e Mussolini piuttosto che provocare le
loro reazioni ricattatorie, con prevedibili ripercussioni in campo economico e
sociale e persino militare.
Mussolini e Hitler |
In effetti la Svizzera accettò non pochi
compromessi soprattutto con la Germania, prova ne sia, per esempio, il brusco
cambio di direzione nell’esportazione di armi (nonostante il divieto per un
Paese neutrale di fornirle a un paese belligerante). Se nel 1940 le esportazioni d’armi e munizioni
dalla Svizzera erano abbastanza bilanciate tra Germania e Italia da una parte
(meno di 70 milioni di franchi) e Francia e Gran Bretagna dall’altra (oltre 60
milioni), nel triennio 1941-1943 le esportazioni di armamenti verso la Germania
e l’Italia salirono a oltre mezzo miliardo di franchi, mentre quelle verso la
Francia e la Gran Bretagna si ridussero drasticamente ad appena 5 milioni.
Sensi di colpa e prammatismo
Una parte dell’opinione pubblica e
dell’esercito era contraria ai continui cedimenti del Consiglio federale di
fronte alle pretese specialmente della Germania, ed è perciò comprensibile il
sollievo che provocò in Svizzera la notizia della morte dapprima di Mussolini e
successivamente di Hitler. Ha tuttavia continuato a pesare come un senso di
colpa, soprattutto tra gli intellettuali, l’atteggiamento eccessivamente
arrendevole della Svizzera, soprattutto nei confronti del dittatore tedesco.
La spiegazione, meno
ideale e molto prammatica, è semplice: la Svizzera per garantirsi la sopravvivenza
aveva bisogno di certe materie prime (specialmente carbone, ferro, metalli
nobili e generi alimentari) che poteva ottenere solo in cambio di esportazioni
soprattutto di armamenti. Ciononostante, quel cedimento le verrà spesso
rinfacciato come un’onta. Ancora oggi mi sembra difficile esprimere un giudizio
storico definitivo. Preferisco fare mia l’osservazione che nel 2002 espresse
l’autorevole rivista «La Civiltà Cattolica»: «In quel periodo, la Svizzera
accerchiata salvò un briciolo di autonomia soltanto al prezzo di compromessi,
che, da allora, le vengono regolarmente rimproverati da coloro che dimenticano
la storia».
Neutralità: bilancio decisamente positivo
Pur rinunciando a giudizi storici che non mi
competono, ma volendo ugualmente tirare un po’ di somme, non mi pare
contestabile che la neutralità abbia procurato alla Svizzera numerosi vantaggi,
pur con qualche innegabile svantaggio. Anzitutto ha consentito alla Svizzera fin
dal 1848 di veder salvaguardati i propri confini (a parte episodici sconfinamenti
e sorvoli del suo spazio aereo da parte di tutti i belligeranti) e la propria
indipendenza. Essa è inoltre servita per garantirsi le vie di comunicazione per
provvedere al proprio approvvigionamento di viveri e materie prime durante la
prima e la seconda guerra mondiale. Il fatto che questa neutralità fosse anche
«armata» ha contribuito quantomeno a dissuadere eserciti stranieri a violare impunemente
i suoi confini, soprattutto durante la prima e seconda guerra mondiale.
Un altro indubbio vantaggio, che non va affatto
minimizzato, è stato l’aver salvaguardato nell’essenziale la coesione
nazionale. Senza la neutralità sarebbe stato probabilmente difficile
scongiurare le lotte tra fazioni favorevoli all’uno o all’altro belligerante,
con conseguenze imprevedibili.
La politica di neutralità perseguita dalla
Svizzera ha anche contribuito ad evitare il contagio dell’ideologia fascista
prima e di quella nazista dopo, ma in generale di qualsiasi ideologia a rischio
di violenze e di forti contrapposizioni (ritenute particolarmente pericolose
nel periodo della «guerra fredda»). La Svizzera, in base al suo principio di
neutralità, non voleva schierarsi né con gli USA né con l’Unione sovietica, ma
mantenere una sorta di equidistanza.
Questo atteggiamento riservato e non schierato
della Svizzera spiega, almeno in parte, anche l’atteggiamento severo adottato
dalla Confederazione nei confronti delle ideologie che avrebbero potuto
compromettere la pace sociale o le relazioni amichevoli con altri Paesi.
Nonostante la tolleranza tradizionale della Svizzera verso le fedi religiose,
le idee politiche e le ideologie non violente, appena un’ideologia veniva
ritenuta «pericolosa», interveniva duramente per impedirne la diffusione. Così avvenne
all’inizio del Novecento con l’anarchismo, più tardi col fascismo e il nazismo,
infine col comunismo. Com’è noto, molti interventi repressivi della
Confederazione hanno riguardato immigrati italiani, sia quando facevano
propaganda anarchica, sia quando facevano propaganda per il Partito comunista
italiano.
La Svizzera potrebbe fare di più
Berna, Palazzo federale, sede della politica svizzera |
Sebbene il bilancio della politica di
neutralità della Svizzera sia senz’altro positivo, non trovo esagerato
affermare che questo Paese potrebbe fare di più sia nel campo della sicurezza (collaborazione
multilaterale) che nel campo della pace (politica dei buoni uffici). La
Svizzera ha già fatto tesoro delle esperienze soprattutto della seconda guerra
mondiale, riorientando la sua politica di sicurezza, insistendo più che sulla
neutralità «armata» sulla neutralità «attiva», cercando di legare maggiormente la neutralità alla «solidarietà», come suggeriva già Max Petitpierre , consigliere federale dal 1944 al 1961. In
effetti, oggi la Svizzera interpreta il suo ruolo di Paese neutrale sempre più
in questa direzione, come risulta anche dagli obiettivi del Consiglio federale
nel «Programma di legislatura 2015-2019». Il 10° obiettivo è così indicato: «la Svizzera
sviluppa il suo ruolo di Paese ospitante di organizzazioni internazionali e
rafforza il proprio impegno a favore della collaborazione internazionale».
Il 16° obiettivo è ancor più esplicito: «la
Svizzera si impegna attivamente a favore della stabilità internazionale».
Eppure, la Svizzera potrebbe
fare di più, evitando ad esempio alcuni errori del passato, come il ritardo che
una neutralità eccessiva ha comportato nell’adesione all’Organizzazione delle
Nazioni Unite o il rifiuto di adesione dapprima allo Spazio Economico Europeo e
ancora oggi all’Unione Europea, per paura di essere «spennati come un pollo e
perdere la libertà», come si diceva in un manifesto anti-adesione nel 2001.
Una politica federale
più attiva e più convinta dovrebbe comportare, a mio parere, un maggior impegno
della Svizzera a fornire il suo prezioso contributo per una integrazione europea
più sostenibile, democratica e rispettosa delle autonomie locali. Le esperienze
del passato dovrebbero anche sviluppare la consapevolezza che è sempre meglio
prevenire piuttosto che essere costretti più tardi a fare di necessità virtù. In
questo senso, i prossimi mesi mi sembrano per la Svizzera un’occasione da non
perdere. (Segue)
Giovanni Longu
Berna, 18.11.2015
Berna, 18.11.2015
La leggo sempre con piacere.
RispondiEliminaE io apprezzo tanto interesse. Grazie e tanti auguri per le prossime festività.
EliminaHo dimenticato la firma: Antonino Alizzi
RispondiEliminaA ben pensarci:
RispondiEliminaLa cessione forzata alle richieste tedesche, cessioni che fecero venir meno il patto di neutralità, non fu altro che l'applicazione della massima latina "Salus Rei Publicae Suprema Lex Esto".
Il generale Guisan fortificò i valli alpini ma era ben consapevole che questa difesa serviva solo a ritardare un'eventuale avanzata tedesca verso il centro della Svizzera, dopo aver perso irrimediabilmente perso i cantoni di confini. Non occorre essere degli stateghi per capire che la Germania non avrebbe invaso, nell'immediato, la Svizzera, Hitler non aveva alcun interesse ad aprire un fronte nel centro Europa, nell'immediato ma in futuro? La potitica svizzera aveva questo dilemma: oggi Hitler ha un interessi strategici altrove ma domani?
L'unica soluzione era applicare il brocardo latino di cui sopra ed incrociare le dita.
Potrebbe essere interessante una ricerca storica sullo stato d'animo degli svizzeri tedeschi dell'epoca, una eventuale proposta di Anschluss avrebbe attecchito?
Ci furono all'epoca proposte movimenti nazisti interni ai cantoni germafoni?
Mi viene da pensare di no, non fosse altro per la ritrosia che lo svizzero ha sempre avuto per il centralismo governativo.
Antonino Alizzi