Il 2015 è un anno di grandi anniversari per la Svizzera.
Quelli maggiormente ricordati sono, in ordine cronologico: la vittoria di Morgarten
(1315), che determinò l’affrancamento dei Cantoni primitivi dalla
sudditanza asburgica; la conquista dell’Argovia (1415), una
chiara testimonianza dello spirito di conquista dei primi Cantoni; la disfatta
di Marignano (1515), che segnò la fine dei sogni di conquista
degli «Svizzeri»; il Congresso di Vienna (1815), che garantì l’indipendenza
e l’integrità territoriale della Svizzera, ma le impose la neutralità perpetua;
l’accerchiamento della Svizzera durante la prima guerra mondiale, dopo
l’entrata in guerra dell’Italia (1915); la fine della seconda guerra
mondiale (1945), che ha posto la Svizzera di fronte all’esigenza di
nuove aperture e collaborazioni internazionali, ecc.
Lungo processo identitario svizzero
Ho citato solo alcuni eventi che hanno segnato la storia
svizzera o qualche aspetto rilevante della politica federale. A ben vedere,
sono collegati da un sottile ma decisivo filo rosso: l’avvio e lo sviluppo di
quel processo identitario svizzero sui cui risultati talvolta ci
s’interroga perplessi. Per alcuni, infatti, restano ancora poco chiari i suoi
contenuti soprattutto alla luce di un processo analogo di dimensione europea,
ma anche nel quadro delle politiche sociali interne alla stessa Svizzera.
Battaglia di Marignano: dettaglio di un dipinto attribuito al Maestro de la Ratière (da Wikipedia) |
Probabilmente in questa ricerca di chiarezza si commette
l’errore di pretendere di poter determinare, ossia fissare nel tempo e nello
spazio, una caratteristica che per sua natura non è statica ma dinamica, in
continua evoluzione. L’identità di un popolo, infatti, non può essere definita
una volta per sempre, ma ne segue l’evoluzione storica, economica e culturale secondo
dinamiche interne ed esterne, spesso, come nel caso svizzero, particolarmente
complesse.
In questo processo di formazione dell’identità svizzera, la disfatta
di Marignano del 1515 ha segnato sicuramente una tappa fondamentale. Per
capirne l’importanza è opportuno ricordare che l’intero processo, per altro non
ancora finito, abbraccia un arco di tempo molto lungo di almeno sette secoli. Se
il suo inizio si colloca, come da tradizione, nel 1291 (col mitico Patto del
Grütli), la battaglia di Marignano interviene nella prima fase storica, quando
la «Confederazione dei tredici Cantoni» (costituita dai tre Cantoni primitivi
Uri, Svitto e Untervaldo, dai cinque nuovi Cantoni aggregatisi fino al 1481, e
poi ancora da altri cinque aggiuntisi fino al 1513) era ancora in forte
espansione.
Gli «Svizzeri» e il Ducato di Milano
Sebbene la vecchia Confederazione non costituisse un vero e
proprio Stato unitario in senso moderno, ma piuttosto un complicato sistema di
alleanze di Stati indipendenti, essa riusciva a gestire in comune una serie di
territori sottomessi (alcuni dei quali si trovavano in territorio «italiano» e
già appartenuti al Ducato di Milano) e persino un esercito comune, oltre alle
numerose milizie «mercenarie» che dipendevano direttamente dai vari Cantoni.
Per capire l’importanza della sconfitta di Marignano occorre
anche ricordare che da decenni l’esercito «svizzero» era ritenuto uno dei più
potenti dell’epoca, quasi sempre vittorioso negli scontri con altri eserciti comparabili,
e pertanto oltremodo temibile. Secondo uno studioso dell’epoca, lo storico e
uomo politico fiorentino Niccolò Machiavelli (1469-1527), gli «Svizzeri»
erano tuttavia temibili non tanto in quanto «invincibili», bensì in quanto
capaci, se l’avessero voluto, di conquistare e aggiungere nuove terre a un
proprio Stato, che intanto non avevano.
Machiavelli alludeva all’anomalia degli «Svizzeri» che, per
quanto disponessero di un potente esercito, non pensavano, almeno in quel
momento, a costituire uno Stato unitario (pur senza rinunciare a estendere i
domini dei singoli Cantoni), ma si limitavano a mettere il proprio esercito a
disposizione di chi era disposto a pagare di più. Si trattava pur sempre di un esercito
«mercenario», perché, sempre secondo Machiavelli, «Li Svizzeri non si
moveranno se non hanno danari»).
In quel momento l’esercito «svizzero» (meglio sarebbe
chiamarlo «esercito dei Cantoni») era assoldato da Massimiliano Sforza
(1493-1530) duca di Milano, non per scelta di costui, ma perché furono gli
Svizzeri, nel 1512, a scacciare da Milano gli occupanti francesi e metterlo a
capo del Ducato, garantendogli «protezione» e, naturalmente, garantendo anche i
territori «svizzeri» conquistati o acquistati o comunque ottenuti nell’attuale
Cantone Ticino e appartenuti al Ducato di Milano.
La disfatta di Marignano
Senonché, i francesi al comando del re Francesco I,
sentendosi per così dire spodestati, tre anni più tardi, nel 1515, tornarono in
forze nei pressi di Milano, più precisamente a Marignano (oggi Melegnano) a una
quindicina di chilometri a sud est di Milano, dove ad attenderli c’era l’esercito
«svizzero» forte di 20.000 uomini (un numero piuttosto consistente per
quell’epoca). Lo scontro, tra il 13 e 14 settembre 1515, fu inevitabile e durissimo.
In venti ore di combattimenti, l’esercito svizzero fu sopraffatto, non solo per
la superiorità numerica di quello francese (forte di 30.000 francesi più 9000
mercenari lanzichenecchi e 12.000 veneziani), ma anche perché i francesi e loro
alleati disponevano della cavalleria e di una moderna artiglieria, che gli
svizzeri non avevano.
Battaglia di Marignano: dipinto di Ferdinand Hodler (da |
Nei combattimenti caddero sul campo non meno di 10.000
soldati svizzeri e 6000 francesi. Si parlò di una «battaglia dei giganti»,
ma si trattò di un eccidio senza precedenti che indignò tra gli altri uno dei
partecipanti, il cappellano degli svizzeri Ulrich Zwingli (che sarà uno
dei grandi protagonisti della Riforma protestante), talmente sconvolto da
quella carneficina che invitò gli svizzeri a dire basta alle guerre fratricide.
Sulla battaglia di Marignano è stata allestita una mostra
(che resterà aperta fino al 28 giugno!) presso il Museo nazionale di Zurigo: «1515
Marignano». Essa ha diversi pregi, ma soprattutto quello di aver saputo
ambientare quell’evento militare nel contesto delle politiche territoriali
delle potenze europee dell’epoca, fortemente interessate al dominio del ricco
Ducato di Milano.
Cause e conseguenze
Sulle cause della sconfitta di Marignano si è discusso
molto, ma apparve da subito evidente che l’armamento militare degli svizzeri (essenzialmente
«picche» ed armi da taglio) era ormai inadeguato rispetto alle nuove tecniche
di combattimento di fanteria e cavalleria sostenute dall’artiglieria. Recentemente,
anche il Consigliere federale Johannn Scheider-Amman vi ha visto una
sorta di punizione «per mancata innovazione».
Oggi tuttavia si sottolineano anche altre cause, ad esempio la
divisione intervenuta tra i Cantoni in merito a una proposta di tregua avanzata
da Francesco I prima della battaglia finale. Essa prevedeva una consistente
indennità in denaro in cambio della restituzione di alcuni territori
conquistati dagli «Svizzeri» dopo il 1503 (con l’esclusione dunque dei
territori conquistati prima, ossia Leventina, Blenio, Riviera e Bellinzona).
Alcuni Cantoni (ad esempio Berna, Soletta, Zurigo) erano favorevoli, altri (tra
cui Svitto e Uri) contrari. Evidentemente non esisteva unanimità tra i Cantoni
nemmeno nelle questioni più serie di politica estera.
Anche sul dopo Marignano si è discusso e si continua a
discutere, soprattutto in merito al presunto inizio della neutralità svizzera
come conseguenza diretta della disfatta militare. Pur non condividendo tale
affermazione, non c’è dubbio che quella disavventura abbia indotto molti intellettuali
e uomini politici della vecchia Confederazione a ripensare radicalmente la
politica di espansione praticata fino a quel momento dai Cantoni e a chiederne
la fine.
Credo che sia questa rinuncia, per quanto forzata, la
principale conseguenza positiva di quella sconfitta, anche perché di fatto procurò
alla Svizzera una sorta di «pace perpetua», che le garantì nessun altro
spargimento di sangue importante e condizioni favorevoli di sviluppo per
diversi secoli. Inoltre, quasi tutti i Cantoni capirono che il servizio
mercenario (mettersi a disposizione di chiunque fosse disposto a pagarli meglio
di altri) ormai non rendeva più (anche perché le grandi potenze stavano
sviluppando un tipo di esercito diverso, sempre più sostenuto dall’artiglieria,
mentre gli svizzeri rimanevano fermi alla centralità della fanteria).
Il «protettorato» francese
Tanto valeva mettersi al servizio di un solo signore, che in
quel momento non poteva essere che il vincitore di Marignano Francesco I. Per
far accettare più facilmente questa prospettiva, il re di Francia offrì agli
svizzeri sconfitti condizioni di pace piuttosto benevole. Infatti non dovevano pagare
danni di guerra, anzi venivano indennizzati; non dovevano cedere alcun
territorio (salvo qualcuno di recente conquista), ma fu loro garantito di
potersi tenere gran parte dei territori conquistati o acquistati a sud del
Gottardo. Non tutti Cantoni erano propensi a questo nuovo orientamento della
politica federale, ma tutti finirono per accettare quella sorta di
«protettorato» francese, che sarebbe durato fino al 1792. Era lo scotto da
pagare in cambio della pace.
Si può discutere, in senso accademico, se non esistessero
alternative. In effetti, secondo il pensiero di Machiavelli, l’unica
alternativa valida sarebbe stata la costituzione di uno Stato unitario in grado
di sottomettere a un’unica volontà le voci discordanti di tanti Cantoni. Ma i
tempi evidentemente non erano ancora maturi per un passo del genere. Solo nel
1848 i Cantoni decideranno di rinunciare almeno in parte alla propria sovranità
e darsi una costituzione unitaria nel quadro di una Confederazione.
Giovanni Longu
Berna 10.06.2015
Berna 10.06.2015
Nessun commento:
Posta un commento