Qualche giorno fa la Rete Due della RSI ha messo in onda una breve presentazione del consumo culturale in Italia e in Svizzera negli ultimi anni. Trattandosi di un tema e di un confronto molto interessanti, li ripropongo entrambi ai lettori di questa rubrica, avvertendoli tuttavia che i confronti in generale e in campo culturale in particolare sono sempre estremamente difficili per cui occorre molta prudenza nel trarre eventuali conclusioni.
Rapporto di Federculture
Già nel 2009 avevo trattato questo tema, ma non intendo qui
aggiornare i dati di allora, anche perché è probabile che i metodi di
rilevazione siano nel frattempo cambiati e i risultati ottenuti non siano più
comparabili. Trovo invece più utile osservare quanto la crisi di questi anni abbia
inciso nei consumi culturali degli italiani e degli svizzeri e quanto sia
cresciuta o diminuita nelle istituzioni e nel privato la consapevolezza della
cultura come fattore di sviluppo.
Il rapporto di Federculture 2013 fotografa la disastrosa realtà culturale italiana. |
La Rete Due della RSI deve aver preso lo spunto per l’emissione
dalla recente presentazione a Roma del «Rapporto Annuale Federculture
2013», una pubblicazione che
fotografa i principali consumi culturali degli italiani, ma anche le spese
destinate dalle amministrazioni pubbliche alla cultura.
Il conduttore della trasmissione, per introdurre il tema, ha
citato pochi risultati ma alquanto significativi della «realtà disastrosa»
italiana: «Sempre di più gli italiani rinunciano alla cultura. Netti i segnali
della crisi: in aumento gli italiani che non si dedicano alla cultura…, in
diminuzione i lettori di libri … in diminuzione anche gli investimenti pubblici
nel settore… Insomma, l’Italia è nelle ultime posizioni in Europa».
Per un breve commento è stato interpellato il direttore di
Federculture (Federazione delle Aziende e degli Enti di gestione di cultura, turismo, sport e tempo libero) dott. Claudio Bocci, il quale non ha esitato a dare un
giudizio «molto critico» della situazione, alla luce non solo dei risultati, ma
anche dei comportamenti del potere pubblico. La grave crisi economica che il
Paese sta vivendo, ha infatti indotto non solo i privati ma anche le
amministrazioni pubbliche a ridurre drasticamente le spese per la cultura. Nel
bilancio dello Stato la riduzione è stata negli ultimi dieci anni di circa il
40 per cento. Il bilancio del Ministero dei Beni e delle Attività culturali è
stato ridotto del 27%. La spesa dello Stato per la cultura è tra le più basse
d’Europa: lo 0,11% del PIL (prodotto interno lordo).
Italiani penultimi in Europa
Nel 2012, si legge nel Rapporto, dopo un lungo periodo di
crescita durato oltre dieci anni, la spesa per «cultura e ricreazione» delle
famiglie italiane ha subito un significativo calo: -4,4%. Nell'arco dei dieci
anni precedenti, dal 2002 al 2011, la spesa culturale degli italiani era
cresciuta del 25,4%.
Di pari passo con la spesa, nel 2012 è crollato anche il
consumo culturale, in tutti i settori: teatro (-8,2%), cinema (-7,3%), musei e
mostre (-5,7%), concerti di musica classica (-22,8%), altri concerti di musica
(-8,7%), siti archeologici e monumenti (-7,9%), partecipazione culturale
(-11,8%).
In termini di spesa delle famiglie e di consumi, si
allungano le distanze con l’Europa. L’Italia è al di sotto della media UE di
spesa in cultura (8,9%) e tra gli ultimi in classifica prima solo di Grecia,
Bulgaria, Romania e pochi altri. Ad esempio, sono solo 28 su cento gli italiani
che visitano un museo all'anno, contro i 52 inglesi, e solo il 46% degli
italiani legge un libro l’anno mentre lo fanno il 58,7% degli spagnoli e
addirittura il 70% dei francesi.
Spesa pubblica in diminuzione
L'Italia è al 26° posto, cioè penultimo, tra i Paesi
dell'Unione Europea rispetto alla spesa pubblica per istruzione e formazione
(appena il 4,2% del PIL, contro una media europea del 5,3%). La strategia
Europa 2020 prevede il 40% di laureati tra i 30 e i 40 anni: la media UE è
vicina al 35% mentre in Italia è solo del 20%. Il numero degli immatricolati
degli atenei italiani è in costante diminuzione: in dieci anni gli iscritti
alle università sono diminuiti del 15%, negli ultimi venti anni addirittura del
25%.
Secondo Piero Fassino, presidente dell’Associazione
Nazionale Comuni Italiani (ANCI), in Italia è diffusa l’idea che la cultura è
un bene prezioso che ti puoi permettere quando ci sono tempi di vacche grasse,
ma è il primo ad essere ridotto quando è tempo di vacche magre. Eppure, ha
detto ancora Fassino alla presentazione del Rapporto di Federculture 2013,
dovrebbe essere chiaro a tutti che «la cultura è un fattore costitutivo dello
sviluppo, non aggiuntivo». Evidentemente tra il dire e il fare la distanza è
enorme. Le conseguenze sono però gravi e allarmanti, perché, oltretutto, il
cattivo esempio dato dal pubblico è seguito anche dal privato.
Responsabilità dei media
Da mesi, se non da anni, i media italiani mettono al centro
dell’informazione lo spettacolo politico (talvolta persino disgustoso, come di
recente alla Camera dei deputati) e il crescente disagio sociale, ma non sono
in grado di metterli in relazione e di individuarne le cause profonde.
Nessuno sembra avere il coraggio di stimolare la vera democrazia
partendo dal basso (responsabilità individuali), di additare ideali e valori per
far crescere il Paese, di valorizzare la professionalità, l’intraprendenza, la
competitività, lo studio, la formazione continua, la cultura. Nonostante gli
scarsi risultati a livello internazionale del sistema formativo Italia, chi davvero
si sta preoccupando della scarsa produttività (in termini di ricerca, brevetti,
studi di punta) delle università italiane e della mediocre formazione
scolastica dei quindicenni? Chi parla ancora di scuola, di meritocrazia, di responsabilità?
Credo che l’Italia ritroverà la sua anima e la
considerazione in Europa e nel mondo solo quando avrà rimesso al centro dei
suoi interessi la formazione e la cultura, condizioni indispensabili di
sviluppo e di prosperità.
Consumi culturali in Svizzera
La Svizzera ha superato la crisi di questi ultimi anni
certamente meglio dei Paesi vicini. Ciononostante anche in questo Paese «fortunato»
(come direbbe ancora oggi Denis de Rougemont) i consumi culturali sono
leggermente calati, ma restano pur sempre molto elevati nel loro insieme.
La spesa per la cultura si è mantenuta al livello
ragguardevole di oltre 270 franchi al mese per famiglia. Ovviamente la
pratica di attività culturali o la loro fruizione aumentano o diminuiscono parallelamente
al reddito delle famiglie e, in maniera ancora più netta, al livello di
formazione. Essi vanno considerati comunque su scala internazionale piuttosto
elevati.
Due
terzi della popolazione della Svizzera si reca regolarmente a concerti e
proiezioni cinematografiche, visita città storiche, musei ed esposizioni. Anche
le biblioteche, i teatri e i festival riscuotono un buon successo di pubblico.
Nel 2011 ogni famiglia ha speso mediamente circa 150
franchi al mese nel settore audiovisivo (acquisti e abbonamenti):
televisori, apparecchi radiofonici e acustici, computer e Internet, dischi,
DVD, cinema, ecc.; 53 fr. per giornali e periodici, libri e stampati vari; 18
fr. per teatri e concerti; 11 fr. per corsi di musica e di danza; 5 fr. per visite
a musei, mostre, biblioteche e simili; ecc. Internet, che permette di accedere a una serie di media e contenuti
culturali, viene utilizzato
ormai dall’80% della popolazione.
Collaborazione tra pubblico e privato
Il fatto che la spesa per la cultura e il tempo libero delle
famiglie sia elevata sta ad indicare non solo un diffuso benessere che consente
senza difficoltà di destinare una parte delle disponibilità finanziarie ad attività
culturali e al godimento di beni e servizi culturali, ma anche quanto la
cultura in senso ampio sia percepita dalla stragrande maggioranza della
popolazione come un valore da conservare e sviluppare. Quanto detto da
Fassino, ma poco realizzato in Italia, in questo Paese è una convinzione
diffusa tanto nel pubblico che ne privato: la cultura è un fattore costitutivo
dello sviluppo.
Lo Stato (Confederazione, Cantoni e Comuni) è molto
impegnato in questo settore considerato basilare per le sfide globali che attendono
la piccola Svizzera. La cultura e la formazione, sono infatti i presupposti per
poter spingere la ricerca e l’innovazione ai massimi livelli, in parte
già raggiunti da molte aziende svizzere. Occorre pertanto garantire loro
condizioni possibilmente ottimali, dalla scolarità obbligatoria alla formazione
universitaria e postuniversitaria, senza trascurare per nulla la formazione
profession
ale, un campo in cui pubblico e privato collaborano intensamente.
Il 31 gennaio scorso, nel corso della cerimonia di
premiazione di circa 160 giovani professionisti che si sono distinti nei
campionati svizzeri e mondiali delle professioni del 2013, il consigliere
federale Johann N. Schneider-Ammann, capo del Dipartimento federale
dell’economia, della formazione e della ricerca ha tenuto a sottolineare che se
la Svizzera intende rimanere tra i primi Paesi al mondo nel settore della
formazione, della ricerca e dell’innovazione, deve continuare ad offrire ai
giovani percorsi formativi vari e ben combinati, orientati alla ricerca di
punta a alla promozione dell’innovazione. Il ministro della formazione ha
inoltre precisato che «per far mantenere florida la nostra economia servono
talenti a tutti i livelli».
Giovanni Longu
Berna, 5 febbraio 2014
Berna, 5 febbraio 2014
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