Il consigliere nazionale James Schwarzenbach (1911-1994) sarà ricordato nella storia dell’immigrazione italiana in Svizzera soprattutto come colui che tentò, invano, di rimandare al loro Paese di provenienza alcune centinaia di migliaia di stranieri immigrati (nell'arco di quattro anni), solo per effetto di un calcolo aritmetico, oltre che politico. Una iniziativa popolare da lui promossa prevedeva infatti di ridurre radicalmente la popolazione straniera residente a non oltre il 10% in tutti i Cantoni salvo Ginevra.
Via 310.000 stranieri?
Secondo i calcoli del Consiglio federale, se l’iniziativa
fosse stata accolta dal popolo svizzero e dalla maggioranza dei Cantoni, almeno
310.000 stranieri avrebbero dovuto lasciare la Svizzera entro quattro
anni. La quota a carico degli italiani sarebbe stata preponderante.
L’iniziativa, conosciuta come «Prima iniziativa
Schwarzenbach» venne respinta dal 54% dei votanti (allora solo uomini, perché
le donne non avevano ancora ottenuto il diritto di voto a livello federale), con
uno scarto di meno di 100.000 voti rispetto a quanti l’approvarono.
La bocciatura dell’iniziativa non tranquillizzò gli
immigrati stranieri (allora soprattutto italiani) e neppure le autorità
federali e gli ambienti economici. Era infatti chiaro che i movimenti xenofobi
sarebbero tornati presto nuovamente alla carica, com'era chiaro che il rigetto
dell’iniziativa era dovuto soprattutto alla paura delle imprevedibili
conseguenze che avrebbe comportato una sua accettazione, sia per il clima
sociale che avrebbe inevitabilmente surriscaldato e sia per le negative
previsioni sull'economia.
La paura era stata la vera protagonista di questa come di
altre votazioni dello stesso tipo, non il desiderio di apportare finalmente un
miglioramento significativo alle condizioni di lavoro e umane degli stranieri,
tali da favorire la loro integrazione. Gli immigrati (italiani) si resero
immediatamente conto di quanta poca considerazione godessero in molti strati
della popolazione svizzera.
Una vittoria… amara
In gran parte degli stranieri l’esito della votazione lasciò
molto amaro in bocca non solo per la proporzione elevata dei favorevoli, ma
anche perché tra quelli che la rifiutarono molti lo fecero per opportunismo e
per convenienza. Molti emigrati che vissero quella situazione ricordano ancora
come all'interno delle fabbriche l’atmosfera fosse improvvisamente cambiata: la
probabilità che ogni due colleghi di lavoro svizzeri uno avesse votato a favore
dell’iniziativa Schwarzenbach e dunque contro gli stranieri era facilmente desumibile
dall'esito della votazione.
J. Schwarzenbach |
Già nel mese di luglio, precauzionalmente, il Consiglio
federale intervenne con un decreto per limitare il numero di nuovi immigrati. I
permessi annuali a disposizione dei Cantoni vennero ridotti del 50% passando da
20 mila a 10 mila e il contingente federale fu ridotto a 5 mila permessi. Il
numero degli stagionali fu portato invece a 192 mila e quello dei frontalieri lasciato
come prima indefinito. A nulla servirono le proteste delle organizzazioni degli
immigrati italiani e le espressioni di preoccupazione del Governo italiano.
I tagli della crisi
Ciononostante, la crisi si abbatté pesantemente anche sulla
Svizzera, provocando chiusure di aziende, licenziamenti e disoccupazione. L’Ufficio
federale dell’industria, delle arti e mestieri e del lavoro emanò direttive
molto restrittive per il rilascio di nuovi permessi di lavoro agli stranieri,
per favorire l’occupazione dei disoccupati svizzeri o domiciliati e per scoraggiare
l’arrivo di nuovi immigrati. In Svizzera stava per finire un’epoca in cui il
lavoro abbondava, la disoccupazione era pressoché sconosciuta e ognuno, con un
po’ di buona volontà e qualche sacrificio, poteva realisticamente pensare di
realizzare i propri sogni.
Per molti immigrati italiani il sogno era finito o stava per
finire e il futuro appariva drammatico, tanto è vero che da quel momento coloro
che decidevano di rientrare in Italia, spesso prima del previsto, erano più
numerosi degli italiani che entravano per la prima volta come immigrati in
Svizzera. Tra il 1973 e il 1977 oltre 220.000 italiani lasciarono la Svizzera.
Gli arrivi furono solo 166.000. Il saldo migratorio per gli italiani sarà da
quel momento e fino a pochi anni fa costantemente negativo, ossia i rientri in
Italia superavano sempre i nuovi arrivi in Svizzera.
Quanti furono i disoccupati?
Superata la crisi, sul finire degli anni ‘70, molti si posero
la domanda: quanti furono i disoccupati e quanti di essi dovettero lasciare la
Svizzera? Le risposte furono molteplici e discordanti a seconda delle fonti
utilizzate e della definizione di «disoccupato». Per le statistiche ufficiali,
che consideravano disoccupati solo coloro che avevano i requisiti per
annunciarsi agli uffici della disoccupazione e decidevano di fatto di
iscriversi, i disoccupati erano poche decine di migliaia e il tasso di
disoccupazione sotto l’1,0%. Pertanto non rientravano nelle statistiche, ad
esempio, i molti lavoratori stranieri, che pur avendone i requisiti, non s’iscrivevano preferendo, piuttosto che restare senza lavoro, tornarsene al proprio paese.
Trattandosi di un’evidente distorsione della realtà, alcuni
studiosi cercarono di quantificare il numero dei posti di lavoro persi in
quegli anni dall'economia svizzera. Ma anche al riguardo non esistono a
tutt'oggi statistiche attendibili. Secondo l’associazione degli imprenditori
svizzeri (Vorort), nell’arco di un anno, fra il 1974 e il 1975, «si
stimano a circa 200.000 (compresi gli stagionali) gli impieghi soppressi o non
più occupati durante questo intervallo di tempo». Secondo una stima dell’Ufficio
federale di statistica (UST), invece, tra il 1974 e il 1978 sarebbero
andati persi circa 300.000 posti di lavoro. Secondo fonti sindacali e giornalistiche
i posti di lavoro persi in quegli anni furono invece non meno di 350.000. Forse
la stima più attendibile è quella dell’UST.
Quanti i disoccupati stranieri?
Quanti dei posti soppressi erano occupati da stranieri? E
quanti furono gli stranieri che lasciarono il Paese in seguito alla
disoccupazione? Anche al riguardo non esistono risposte attendibili. Secondo le
fonti sindacali e giornalistiche a dover partire furono fra 230.000 e 350.000
persone. Nel 1979 queste ultime cifre scatenarono però una viva reazione
del segretariato della Commissione federale consultiva per il problema degli
stranieri, che contestò sia l’espressione spesso utilizzata dai media di
«esportazione della disoccupazione» sia le cifre fornite, argomentando che non
tutti i posti di lavoro soppressi erano occupati da stranieri e che il calo di
stranieri registrato in quegli anni di crisi non era imputabile (solo) alla
disoccupazione e alla presunta «esportazione della disoccupazione».
In effetti è incontestabile che i posti di lavoro soppressi
non fossero tutti occupati da stranieri ed è pure corretto affermare che dal
punto di vista politico-giuridico non fu esercitata alcuna pressione sui
disoccupati stranieri per il loro rientro. Ma è anche incontestabile che la
recessione abbia creato grande insicurezza presso molti lavoratori stranieri
e che ciò abbia spinto numerosi dimoranti annuali e anche domiciliati a tornare
nel loro Paese, anche senza esservi costretti per motivi di lavoro. E’ inoltre vero
e riconosciuto anche dalla Commissione federale consultiva per il problema
degli stranieri che gli stranieri in Svizzera svolgevano in un certo senso
una funzione di «cuscinetto congiunturale» che stava diventando sempre più
insopportabile.
Dramma dei rientri
Detto questo, ammettendo pure che direttamente a causa della
crisi occupazionale siano rientrate in Italia poche decine di migliaia di persone,
non si può ignorare che quelle partenze rappresentavano molto spesso altrettanti
drammi personali e familiari.
Proprio in quegli anni scrisse al riguardo Piera Caponio,
allora segretaria del centro professionale CISAP di Berna, che si occupava
della formazione professionale dei lavoratori immigrati:
«L’emigrante affronta
il suo secondo viaggio, ancora più incerto del primo, quello che lo aveva portato
in territorio elvetico con tanta voglia di darsi da fare, di costruire un
destino “diverso” per lui e per la sua famiglia, su un treno che era stato
definito “della speranza”. Come si potrebbe chiamare il treno che lo riporta
indietro? “della zavorra” o “degli scarti”? Eppure fino a ieri l’emigrante era
l’ospite gradito, gran lavoratore, pieno di buona volontà, disposto a
impegnarsi fino in fondo ed ottimo acquirente. Forse si è trattenuto troppo a
lungo e, come tutti sanno, dopo un certo tempo, l’ospite è come il pesce.
Gradito prima fin che è servito e sgradito appena la crisi ha fatto capolino. A
quel punto bisogna sbarazzarsene e al più presto (…). Si obietterà che il
sistema industriale quando vacilla travolge e stritola chiunque. Sarà anche vero,
ma perché la realtà del lavoratore emigrante dev’essere sempre deteriore e più
precaria di tutti gli altri? Certo, anche i lavoratori svizzeri stanno
soffrendo della recessione, seppure in misura molto limitata, ma al lavoratore
straniero disoccupato non viene data nemmeno la possibilità di restare dove è,
magari arrangiandosi per un po’ di tempo con i suoi risparmi, alla ricerca di
una altro lavoro. No, lo straniero, nel giro di pochi mesi, deve sparire…».
E’ doveroso tuttavia sottolineare che anche la discussione provocata
in quegli anni dalla situazione di crisi ha contribuito ad accelerare quel
processo di cambiamento della politica migratoria svizzera già annunciato dal
Consiglio federale all'integrazione
degli stranieri, soprattutto quelli della seconda generazione, sempre più
numerosi e impossibile da considerare «cuscinetto congiunturale».
indomani dello scampato pericolo dell’iniziativa
Schwarzenbach. Da allora il problema centrale è diventato l’
Giovanni Longu
Berna, 9.10.2013
Berna, 9.10.2013
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