Ai numerosi attacchi della stampa comunista italiana (e in parte anche di quella svizzera) e dei parlamentari comunisti la Svizzera rispose, attraverso un comunicato del Dipartimento federale di giustizia e polizia del 6 agosto 1963, affermando che «le autorità federali hanno ritenuto loro dovere di porre fine alle mene degli attivisti italiani per prevenire la formazione di cellule che, su! piano politico, avrebbero potuto costituire un pericolo per la sicurezza interna del paese e avere effetti nefasti per il mantenimento della pace del lavoro in generale e della pace fra i lavoratori italiani in Svizzera in particolare».
Reazioni della stampa svizzera
Journal de Genève del 23.07.1963 |
Ma al PCI evidentemente le giustificazioni della Svizzera
non andavano giù e intervenne a più riprese con interpellanze, formalmente per
sapere, in realtà per accusare non solo la Svizzera, ma anche il governo
italiano ritenuto in qualche modo complice di quanto avvenuto.
Interventi parlamentari italiani
E’ interessante rileggere oggi quegli interventi parlamentari
per rilevare non solo con quanta passione veniva trattato in Italia 50 anni fa il
tema migratorio, ma anche la superficialità e l’arroganza con cui alcuni deputati
della sinistra pretendevano di definire la reale condizione degli emigrati
italiani in Svizzera e la politica svizzera nei loro confronti. Non si
rendevano conto né della complessità dei rapporti tra italiani e svizzeri, per
altro molto diversi da regione a regione, né della complessità delle regole di un
Paese federalista con diversi livelli di competenza. Venivano dimenticati
soprattutto i forti interessi reciproci tra l’Italia e la Svizzera anche in
materia di emigrazione, regolati da accordi bilaterali liberamente sottoscritti.
Un esempio significativo
Nella seduta del 10 settembre 1963 alcuni deputati del PCI
depositarono la seguente interpellanza: «I sottoscritti chiedono di
interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri ed i Ministri degli
affari esteri e del lavoro e previdenza sociale, sulle persecuzioni e sui provvedimenti
di espulsione posti in atto dal governo svizzero nei confronti di lavoratori
italiani colà emigrati, sul fermo e l'espulsione di parlamentari italiani
nell'esercizio del loro mandato, nonché sull'atteggiamento assunto in tali
circostanze dalle nostre rappresentanze diplomatiche; e per sapere se il
Governo – per tutelare le libertà, i diritti e la dignità di cittadini italiani
all'estero e, nel caso specifico, dei nostri 550.000 connazionali emigrati in
Svizzera, che danno un notevole contributo allo sviluppo di quel paese – non
intendano : 1) compiere un passo ufficiale per esprimere la protesta degli
italiani e per chieder e la revoca dei gravi provvedimenti adottati ; 2)
annullare le disposizioni anti-costituzionali contenute nella circolare inviata
dall'Ambasciata italiana in Svizzera ai diversi consolati, rivolte a
raccogliere dati sull'attività e le convinzioni politiche degli emigrati
italiani, i quali, per altro, non contravvenendo alle leggi svizzere, hanno il
pieno diritto di partecipare alla vita del nostro Paese in tutte le sue
manifestazioni; 3) promuovere misure per la tutela dei diritti civili e per la
difesa ed il miglioramento delle condizioni economiche e sociali degli emigrati
e delle loro famiglie».
Risposta del governo italiano
Nel dibattito parlamentare che ne seguì, nessuno negava i
fatti, ma gli esponenti della maggioranza invitavano a considerare il contesto
anche dal punto di vista del diritto internazionale e soprattutto a tener
presente che in Svizzera in quel momento c’erano circa 600.000 italiani per cui
non conveniva aggiungere altre difficoltà, tanto più che la politica degli ingressi
era nelle mani dei soli svizzeri.
Attilio Piccioni (1892-1976) |
Quanto alle responsabilità dello Stato italiano, il ministro
ricordò che gli interessati erano stati informati della possibilità di fare
ricorso, usufruendo anche del supporto delle rappresentanze diplomatiche e
consolari. Aggiunse tuttavia che «non va dimenticato che ci siamo trovati
dinanzi a misure che rientrano nell'ambito discrezionale di ogni Stato sovrano
che, come anche il nostro, si avvale della facoltà riconosciuta dalle norme di
diritto internazionale, di allontanare dal proprio territorio quegli stranieri
che siano ritenuti capaci di turbare con il loro comportamento l'ordine
pubblico interno».
Il ministro Piccioni concluse la sua risposta ricordando che
«i nostri rapporti di tradizionale amicizia con la Svizzera non
potranno essere offuscati da episodi che, quantunque spiacevoli, non possono
sicuramente rispecchiare i sentimenti amichevoli degli organi ufficiali e della
grande maggioranza del popolo svizzero per l'Italia e in particolare per la
massa dei lavoratori italiani nella vicina Confederazione».
Le conseguenze per l’Italia
La storia ha confermato ripetutamente le considerazioni del
ministro Piccioni. Tuttavia è innegabile che quell'incidente, insieme a molti
altri sebbene di minore rilevanza mediatica, ha contribuito in quegli anni di
grande immigrazione e di grandi tensioni tra svizzeri e italiani a dare una
svolta fondamentale alla politica migratoria sia italiana che svizzera.
Aldo Moro (1916-1978) |
Aldo Moro, nel 1966, inaugurando il suo terzo
governo, di centrosinistra, assicurerà nel suo discorso programmatico che «non
mancheremo di esplicare vivo interessamento per i problemi dell’emigrazione.
L’obiettivo di fondo è quello che ho indicato nei programmi dei precedenti
governi (…). Si tratta di offrire ai nostri concittadini crescenti opportunità
di impiego in Patria, sì da dare sempre più al fenomeno emigratorio dignità di
una libera, consapevole scelta tra differenti sbocchi, nell’interesse del
lavoratore che aspiri ad utilizzare nel modo migliore le sue capacità».
Conseguenze per la Svizzera
Un documento svizzero ricostruisce la vicenda dei comunisti espulsi nell'estate 1963 |
Sembrava ormai una tendenza irreversibile di cui la politica
migratoria doveva assolutamente tener conto. Bisognava abbandonare il
tradizionale orientamento incentrato sulla «rotazione» dei lavoratori stranieri
e avviare quanto prima quella che si sarebbe sviluppata inizialmente come
politica della stabilizzazione e successivamente dell’integrazione
degli stranieri.
Conseguenze per gli immigrati italiani
La maggioranza degli immigrati italiani, nemmeno sfiorata dalle
vicende di pochi attivisti incriminati, era purtroppo costretta a subire le
politiche di entrambi i Paesi, senza poterle influenzare, almeno direttamente.
Eppure maturava nell'insieme degli immigrati la percezione dei mutamenti in
corso e provocava una nuova presa di coscienza individuale e collettiva sul
futuro di ciascuno. La scelta era per certi versi radicale: restare o
rientrare in Italia. Una gran parte, si sa, optò per il rientro definitivo a
breve o medio termine, molti scelsero di restare. In entrambi i casi non si
trattò quasi mai di una decisione facile. Sotto questo aspetto, per quasi tutti
gli immigrati italiani gli anni ‘60 sono stati forse i più difficili, anche
perché nella scelta venivano coinvolte per la prima volta altre persone,
l’intero nucleo familiare. (La prima e seconda parte sono state pubblicate il 4
e 11 settembre 2013).
Giovanni Longu
Berna 18.09.2013
Berna 18.09.2013
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