Chi ritenesse che i problemi dell’Italia di oggi siano imputabili all’ultimo governo (Monti:2011-2013) o al penultimo (Berlusconi: 2008-2011) o al terz’ultimo (Prodi, 2006-2008) dimostrerebbe di avere per lo meno alcune carenze storiche. Essi sono infatti il risultato di un’accumulazione di criticità le cui origini vanno cercate addirittura nella formazione dello Stato unitario. Basti pensare al divario crescente tra nord e sud e alla ricerca affannosa e forse per questo confusa di un federalismo improbabile perché senza radici culturali e limitato da considerazioni prettamente fiscali. Un altro risultato dell’evoluzione a ostacoli dell’Italia è a mio parere il basso senso dello Stato nei cittadini e nelle istituzioni, che non aiuta certo a risolvere i problemi.
Gli italiani e lo Stato
Tradizionalmente per gli italiani lo Stato è Roma (il
governo, la politica, le istituzioni) e alcuni strumenti in particolare, visti
soprattutto in termini negativi se non addirittura ostili e oppressivi, come il
fisco e la burocrazia. Scarseggia negli italiani il senso di appartenenza a un
unico Stato e soprattutto il dovere di una solidarietà generale che incombe su
tutti.
Per fare solo un esempio: c’è un articolo della Costituzione
che impone a tutti l’obbligo di «concorrere alle spese pubbliche in ragione della
loro capacità contributiva» (art. 53). Quanti sono gli italiani che
interpretano questo obbligo come un dovere di ciascuno, da assolvere in prima
persona, e quanti, invece, ritengono che riguardi solo i «ricchi», che sono
sempre altri? In Italia, si sa, c’è un’enorme e diffusa evasione fiscale. Ma quanti
sono gli italiani che non hanno mai evaso il fisco, almeno in piccola misura,
magari con qualche lavoretto in nero, fornendo od ottenendo qualche prestazione
senza fattura? Perché gli evasori sono sempre i «grandi evasori» e mai anche i
«piccoli evasori»?
Istituzioni e conflitti d’interesse
L’esempio che danno le istituzioni non è certo
incoraggiante. Non parlo dei cattivi esempi di singoli rappresentanti
istituzionali (ben venga una severa legge anticorruzione!), ma mi
riferisco proprio alle istituzioni in quanto tali. Pur proclamandosi sempre
espressioni del popolo e al suo servizio, di fatto si sono dimostrate (e
purtroppo continuano a dimostrarsi) sempre più come terreno di scontro tra
fazioni avverse per la gestione del potere e dei privilegi.
Senato: alleanze difficili |
Gli impresentabili
Lo scandalo è sotto gli occhi di tutti: di fronte a una
crisi devastante che sta mettendo in ginocchio milioni di italiani, c’è ancora
chi, in nome di una ambigua morale o di un credo ideologico, dice in Parlamento
«con la tua parte politica non voglio avere niente a che fare», «tu non avrai
mai la mia fiducia», «siete tutti da rottamare, andatevene via». Ma quali sono
le priorità per gli italiani in questo momento? I dati recenti sulla povertà,
sulla disoccupazione, sulla chiusura di aziende dovrebbero imporre una chiara
inversione di rotta sul modo di concepire la politica in Italia. E invece si
continua a litigare come avversari senza scrupoli in lotta per il potere, non
per servire meglio il Paese! Chi e quanti sono davvero gli «impresentabili»?
L’uso delle parole da parte dei principali leader politici è
sconcertante. Ognuno ritiene se non di aver vinto le elezioni almeno di non
averle perse, riconoscendo alla propria parte di essere la maggioranza nel
Paese o almeno una delle principali minoranze. E chi ha la maggioranza assoluta
in una Camera (in forza di una legge contestatissima persino dal vincitore) e
relativa nell'altra sembra non rendersi conto che difficilmente capiterà
un’altra occasione per dare davvero segnali di cambiamento al Paese.
Solo un governo di larghe intese (sostenuto da un’ampia maggioranza che può comprendere fino ai due terzi dei parlamentari) e qualche compromesso sopportabile potrà metter mano alle riforme di cui il Paese ha urgente bisogno. Invece di considerare i tradizionali avversari politici come degli appestati da evitare, sarebbe opportuno, in nome di un interesse nazionale e non di parte, congiungere le forze di tutte le persone di buona volontà non per fare qualsiasi cosa, ma almeno per avviare quelle riforme indispensabili al Paese.
Solo un governo di larghe intese (sostenuto da un’ampia maggioranza che può comprendere fino ai due terzi dei parlamentari) e qualche compromesso sopportabile potrà metter mano alle riforme di cui il Paese ha urgente bisogno. Invece di considerare i tradizionali avversari politici come degli appestati da evitare, sarebbe opportuno, in nome di un interesse nazionale e non di parte, congiungere le forze di tutte le persone di buona volontà non per fare qualsiasi cosa, ma almeno per avviare quelle riforme indispensabili al Paese.
Il Movimento 5 Stelle
In questa sommaria analisi resta ancora da interpretare il
ruolo che sembra aver assunto il Movimento 5 Stelle (M5S) di Beppe Grillo
e Gianroberto Casaleggio, che è riuscito a far eleggere in Parlamento un
cospicuo numero di deputati e senatori rompendo di fatto in maniera
irreparabile il tradizionale bipolarismo tra (centro)destra e (centro)sinistra.
Il meno che si possa dire è che il M5S, collocandosi al di fuori di qualunque
schieramento, di fatto diventa antagonista del resto del Parlamento. A
prescindere dalle buone o cattive ragioni di questa scelta, un semplice calcolo
dovrebbe indurre i due tradizionali schieramenti a trovare un’intesa e mettere
in minoranza il M5S.
Credo che nella situazione in cui versa l’Italia, lasciare
il movimento di Grillo e Casaleggio all’opposizione sarebbe anche una opzione
saggia per due ragioni.
I «grillini» potrebbero anzitutto assumere una importante
funzione di controllo all’interno delle Camere al fine di garantire la
trasparenza dei lavori parlamentari perché, fra l’altro, sono decisi a
informare costantemente la «rete», ossia l’opinione pubblica, di quel che
avviene nelle segrete stanze della politica. Sono convinto che d’ora in poi saranno
sempre più difficili i «giochi» politici, gli «scambi» d’interessi, l’incetta
di privilegi e sarà più facile rendere deputati e senatori più vicini (anche in
termini salariali e di produttività) al popolo degli elettori.
Inoltre, questa nuova forza politica, indubbiamente molto
sensibile alla vox populi (anche se va comunque sempre
interpretata), potrebbe dare un forte contributo diretto alle discussioni e
alle decisioni al fine di orientarle in senso popolare. Sono per altro convinto
che solo in un confronto diretto con gli altri protagonisti della politica sarà
possibile anche agli esponenti del M5S mettere a fuoco le loro idee (senza
subire le idee o peggio le direttive di altri) e valutare in termini di
concretezza, di fattibilità e di utilità certe visioni o aspirazioni del
Movimento che in teoria possono essere condivise, ma potrebbero anche non
essere realizzabili o compatibili con altri interessi (ad esempio le posizioni
sulla TAV o sull'euro).
Grillo e l’Europa
A titolo di esempio desidero citare la posizione di Beppe
Grillo sull’euro. Alcuni anni fa spiegava: «l’euro è composto per il 40% dai
tedeschi, per il 30% dai francesi e per il 7% dagli italiani. Con
un’Inghilterra che è lo zerbino degli Stati Uniti presto scoppierà, anzi è già
scoppiata, la guerra sulla lunghezza delle banane e la guerriglia sulle punte
dei carciofi. Ne andremo di mezzo tutti. L’euro è solo un mezzo di
colonizzazione dei tedeschi ma soprattutto delle transnazionali… L’euro in sé
stesso non significa nulla, sarà una pianificazione che, secondo me, porterà
conseguenze terribili per tutti noi. Siamo in mezzo alla catastrofe, però con
ottimismo».
Beppe Grillo (Movimento 5 Stelle) |
E’ ancora presto per dare un giudizio di merito
sull'ingresso così massiccio del M5S in Parlamento, ma non si può essere così
superficiali da considerarlo come la massima espressione della volontà
popolare. Non lo è affatto sia perché la maggioranza dei cittadini non ha
votato il M5S e sia perché non è ben chiaro che cosa davvero hanno voluto
segnalare gli elettori con questa scelta, a parte il dissenso su un modo
inaccettabile di fare politica. Si potrà dare un giudizio più completo e
fondato forse tra qualche mese, quando con molta probabilità si dovrà
interpellare nuovamente l’elettorato.
In tale occasione i cittadini elettori dovranno anche
chiedersi quale sia stato l’apporto concreto dei grillini alla soluzione dei
problemi degli italiani. Non è infatti ammissibile che per cambiare un sistema
bisogna prima distruggerlo, senza nemmeno tentare di cambiarlo dall'interno, contribuendo
ad eliminare i punti critici e sostenendo i punti di forza nell'interesse
nazionale.
Interesse nazionale e democrazia
Già, l’interesse nazionale. A sostegno delle proprie tesi
Beppe Grillo invoca sempre la «rete», ossia l’opinione pubblica, ma
bisognerebbe spiegare agli italiani che cos'è e quali sono i rischi di «cadere
nella rete». Essa infatti può essere anche manipolata e non c’è alcuna garanzia
assoluta di trasparenza. A Grillo bisognerebbe chiedere chi detiene le chiavi
del sistema informatico «beppegrillo.it», chi ha deciso il regolamento di
entrata e di uscita (espulsione), con quali criteri di democrazia e di
costituzionalità la «rete» decide la linea che tutti i parlamentari sono tenuti
a seguire, pena l’espulsione. E poi, può esistere una democrazia solo
«virtuale» senza garanzie per il dissenso?
La democrazia diretta, tanto cara (a parole) a Grillo è ben
altra cosa, è rispettosa delle opinioni altrui e tutela le minoranze. Inoltre, non
va dimenticato che l’accesso a Internet in Italia è ancora molto limitato (poco
più del 50% della popolazione vi ha accesso) e comunque la sua comprensione e
gestione richiede cautela e formazione. Anche rimediare quanto prima a queste
lacune dovrebbe rappresentare una priorità per il prossimo governo.
Giovanni Longu
Berna, 26.03.2013
Berna, 26.03.2013
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