L’italianità in Svizzera è non solo un valore costituzionalmente
riconosciuto e irrinunciabile, ma anche una realtà diffusa su tutto il
territorio nazionale. Eppure è sotto gli occhi di tutti che non sia sufficientemente
valorizzata in tutti i suoi aspetti, alcuni dei quali, come l’italiano,
addirittura in profonda crisi. Analizzarne le cause e il contesto generale mi è
sembrato una condizione prioritaria per poter individuare rimedi e giustificare
rivendicazioni adeguate.
Negli articoli precedenti ho cercato di mettere in luce il
contesto storico ed evolutivo delle problematiche che ruotano intorno ad alcune
espressioni tornate di grande attualità in questi ultimi anni come «italianità»,
«italofonia», «Svizzera italiana», «rappresentanza italofona» e simili. Ne è
risultato che a parte l’espressione «Svizzera italiana», rimasta pressoché immutata
nel tempo a causa del suo riferimento a un territorio ben definito, la portata
delle altre espressioni ha subito un’evoluzione notevole. Altra costatazione è
che la principale spinta a questa evoluzione soprattutto sul piano nazionale è dovuta
all'immigrazione italiana.
Chiarezza di concetti e di linguaggio
Tener conto anche nel linguaggio di queste costatazioni è a
mio modo di vedere una condizione pregiudiziale per affrontare seriamente
qualsiasi discorso e qualsiasi rivendicazione importante riguardante
l’italianità della Svizzera.
Negli articoli precedenti ho tentato di apportare alcuni elementi di chiarezza, richiamando ad esempio il contesto storico e la delimitazione geografica del concetto di «Svizzera italiana», ho cercato anche di individuare gli ambiti non coincidenti di validità delle espressioni «lingua nazionale» e «lingua ufficiale» come pure la non equivalenza dei termini «italofonia» e «italianità».
Negli articoli precedenti ho tentato di apportare alcuni elementi di chiarezza, richiamando ad esempio il contesto storico e la delimitazione geografica del concetto di «Svizzera italiana», ho cercato anche di individuare gli ambiti non coincidenti di validità delle espressioni «lingua nazionale» e «lingua ufficiale» come pure la non equivalenza dei termini «italofonia» e «italianità».
Solo a queste condizioni ritengo possibile superare «vecchi
pregiudizi e incomprensioni … tra svizzeri e italiani e soprattutto tra
ticinesi e italiani» e raggiungere tra tutti i protagonisti e simpatizzanti
dell’italianità un’ampia convergenza di idee, di intenzioni e di azioni per
migliorare la situazione e vincere qualche battaglia circa la visibilità e
rappresentanza di una delle tre principali culture svizzere.
Anzitutto a livello di linguaggio occorre a mio avviso molta
più attenzione di quanta ne sia stata prestata finora, soprattutto quando si
rivendicano diritti e non si vuole correre il rischio di essere incompresi o
addirittura mal compresi. Mi offrono lo spunto per le osservazione seguenti alcuni
resoconti di eventi recenti che hanno avuto un’ampia copertura mediatica.
A scanso di equivoci desidero premettere che provo grande
stima per quanti si prodigano in favore dell’italianità e contribuiscono con prese
di posizione, manifestazioni, petizioni o rivendicazioni a far crescere
nell’opinione pubblica la consapevolezza che la salvaguardia dell’italofonia e
dell’italianità è nell’interesse di tutti. Ciò premesso, il mio auspicio è che
tanti sforzi non siano privati dei risultati sperati a causa di una vaghezza di
linguaggio penalizzante o di obiettivi poco chiari e verosimilmente
irraggiungibili.
Tavola rotonda all’USI
Manuele Bertoli |
Nel corso di una tavola rotonda tenutasi all’Università
della Svizzera italiana (USI) l’8 settembre scorso, il consigliere di Stato Manuele Bertoli ha ricordato molto opportunamente
che «l’italiano non è la particolarità di una regione, ma una parte costitutiva
del DNA della Svizzera federale» (cito da un resoconto dell’evento). Non
altrettanto chiare mi sembrano invece le conclusioni a cui è giunto, per cui l’italiano
dovrebbe diventare «davvero la terza lingua ufficiale e la Svizzera italiana
non sia penalizzata nella Berna federale». Poiché non credo che s’intenda
mettere in dubbio che per la Confederazione l’italiano sia una lingua ufficiale,
tanto varrebbe precisare quel che si contesta e quel che si vorrebbe.
Non mi pare meglio definito e realizzabile l’obiettivo
suggerito dal prof. Stefano Prandi, ossia
l’«elvetizzazione» e l’«internazionalizzazione» dell’italiano, «ovvero la
necessità di sottolinearne la dimensione di lingua nazionale e ufficiale…».
Resta infatti da vedere come andrebbe fatta questa elvetizzazione e con quali strumenti.
Inoltre andrebbe chiarita una volta per tutte la portata dell’espressione
«lingua ufficiale», alla luce della Costituzione federale e della legge sulle
lingue, soprattutto per non generare aspettative illusorie.
Giornate di Basilea sull’italiano
Sulle problematiche dell’italiano in Svizzera sono state
organizzate anche due giornate di studio a Basilea dal 16 al 17 novembre 2012. Ne
è risultata una petizione assai generica al Consiglio federale perché prenda
«le misure necessarie» per combattere il «lento ma progressivo deprezzamento
dell’italiano in Svizzera» in «netta violazione della Costituzione della
Confederazione Svizzera ai sensi degli art. 4, 18 e 70 e della nuova Legge
federale sulla lingue nazionali». Nulla vien detto, purtroppo, circa le misure concrete
che il Consiglio federale dovrebbe prendere e in virtù di quali leggi.
Poiché si è parlato anche dei corsi di lingua e cultura
finanziati finora in massima parte dallo Stato italiano (ma non si sa fino a
quando), mi sarei aspettato qualche indicazione concreta su quel che dovrebbero
fare i Cantoni (e i Comuni) svizzeri per integrarli nell’offerta ordinaria
della scolarità obbligatoria, visto che per costituzione e per legge spetta
soprattutto ai Cantoni promuovere il plurilinguismo nella scuola. Perché non si
cerca di risolvere in via definitiva questo problema fondamentale per
l’italofoni e l’italianità?
Forum per l’italiano in Svizzera
Alla fine di novembre è stato costituito a Zurigo il «Forum
per l’italiano in Svizzera» su iniziativa del Consiglio di Stato ticinese. Giustamente
i media hanno sottolineato l’importanza dell’evento, che ha coinvolto
praticamente la quasi totalità dei protagonisti dell’italofonia e ha suscitato
grandi speranze. Anche in questo caso ritengo tuttavia fondamentale che per
ottenere i risultati sperati si metta in campo una strategia basata sulla
chiarezza e sulla concretezza.
Regioni linguistiche della Svizzera (2000) |
Leggendo alcuni articoli di stampa e i documenti presentati
al Forum ho avuto purtroppo tutt’altra impressione già a partire dall'obiettivo
del Forum: «Nel 2020 la Svizzera non dovrà più essere una nazione di fatto bilingue
(d/f)». Non è infatti chiaro cosa s’intenda qui per «nazione» (termine sconosciuto
alla Costituzione federale). Se s’intende la Svizzera come Paese, l’espressione
suona fuorviante perché la Svizzera è sicuramente «plurilingue» e non bilingue,
a prescindere dalla diffusione e dall’impiego delle varie lingue. Se invece s’intende
la Confederazione come organizzazione politica della Svizzera,
quell’espressione sembra alludere al fatto che effettivamente l’amministrazione
federale è piuttosto bilingue che trilingue. In questo caso, tuttavia, l’obiettivo
del trilinguismo perfetto appare utopistico perché in contrasto con la tendenza
alla semplificazione (anche linguistica), all’efficienza e alla sostenibilità
dei costi.
Tanto varrebbe, a mio parere, individuare alcuni obiettivi meglio
precisati e più realistici, ad esempio nei campi della rappresentanza degli
italofoni (e non solo degli «svizzero italiani») nell'amministrazione federale,
del promovimento del plurilinguismo (come, dove, con quali mezzi?), dell’offerta
dell’italiano nelle scuole obbligatorie e post-obbligatorie, della strategia da
adottare per far maturare nella politica e nell'opinione pubblica l’idea della
ragionevolezza e dell’opportunità di un italofono in Consiglio federale, ecc.
Intergruppo parlamentare «Italianità»
So che in questa strategia un compito importante è stato
assegnato all’intergruppo parlamentare «Italianità», che ha già raccolto molte
adesioni. Credo che stia operando bene «per dare visibilità alla Svizzera di
cultura italiana, promuovendo attività a favore di questa componente essenziale
del Paese». Mi chiedo se, proprio in vista di questi obiettivi, non sarebbe
opportuno assegnare una copresidenza o vicepresidenza a un parlamentare non
proveniente dalla Svizzera italiana e addirittura aprirsi a gruppi, istituzioni,
personalità della società civile, con un’operazione analoga, per fare un
esempio storico, a quella compiuta negli anni Settanta del secolo scorso dalla
Commissione federale consultiva degli stranieri.
In conclusione
Giovanni Longu
Berna 19.12.2012
Berna 19.12.2012
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