16 novembre 2016

Referendum SI o NO, con tanti dubbi!



La data del referendum sulla riforma costituzionale italiana, il 4 dicembre, si avvicina e per gli italiani residenti all’estero è imminente (voto per corrispondenza). Si moltiplicano, da una parte (i sostenitori della riforma) e dall’altra (i contrari) gli inviti a votare SI, rispettivamente NO. Fin qui niente da obiettare, perché è giusto che ciascuno difenda le proprie idee. Ciò che non trovo accettabile è la violenza che si fa alle parole da una parte e dall’altra, a cominciare dalla parola «riforma», che di per sé non è sinonimo di progresso, ma potrebbe essere un regresso. «La riforma, si legge in Wikipedia, è una modificazione volta a stravolgere l'assetto corrente di un certo ambito della società, o di questa nel suo complesso, trasformandone le regole e le leggi fondamentali».

Quesito referendario complesso e fuorviante
Nel caso specifico della «riforma costituzionale» italiana ritengo ingiustificate sia le visioni catastrofiche dei sostenitori del NO nell’ipotesi che prevalgano i SI, sia le previsioni salvifiche di chi sostiene il SI e vede lo sprofondamento dell’Italia nella palude se vincesse il NO. Le parole della modifica costituzionale sottoposta al voto popolare non giustificano né l’una né l’altra visione, anche se si prestano talvolta a interpretazioni opposte.
Capisco che possa dar luogo a esagerazioni da entrambe le parti la stessa formulazione del quesito referendario, perché poco chiaro e in parte fuorviante. Per esempio, quando si parla di «disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario» bisognerebbe anche chiedersi come avviene tale superamento e se il risultato è ragionevole. Ed è giusto chiederselo perché secondo molti cittadini il superamento avviene a scapito della democrazia e delle autonomie locali.
Non c’è dubbio che non eleggendo più direttamente i senatori si riduce l’ambito della democrazia e non c’è dubbio che il nuovo Senato non è espressione delle autonomie locali. Anzi, con la «riforma», che accentua il centralismo romano togliendo competenze alle Regioni e priva il Senato di reali poteri di controllo sull’operato del Governo (non può votare la fiducia), le autonomie locali diminuiscono, contravvenendo al dettato costituzionale (art. 5) che impone allo Stato di adeguare «i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento».
Quanto alle disposizioni per «la riduzione del numero dei parlamentari» il quesito referendario è persino ingannevole perché un cittadino comune è portato a credere che si riduca anche il numero dei deputati e non solo dei senatori («parlamentari» sono infatti tanto i senatori che i deputati). Sarebbe stato accettato più facilmente, sotto questo profilo, il contenuto della terza riga del quesito: «il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni», come pure (quarta riga del quesito): la «soppressione del Cnel» (posto che la maggioranza degli italiani sappia cos’è il Cnel!).
Sulla quinta riga del quesito c’è poco da dire perché rimanda alla «revisione del Titolo V della parte II della Costituzione», materia per specialisti, non certo per il popolo italiano che dovrebbe votare SI o NO, senza conoscere l’oggetto da approvare o respingere!

Chi sta dalla parte dei cittadini?
A questo punto mi domando se chiedere ai cittadini italiani di votare in questo modo sia più un esercizio di democrazia o un’evidente dimostrazione di arroganza istituzionale, soprattutto da parte del Governo Renzi, che ha fortissimamente voluto questa «riforma» senza preoccuparsi se fosse sufficientemente democratica.
Il fatto che il Tribunale di Milano abbia respinto due ricorsi di costituzionalisti che ritengono troppo differenti e poco chiari gli oggetti che il 10 dicembre il popolo italiano dovrebbe approvare o respingere con un solo voto (sì o no) non mi rassicura. Non mi rassicura soprattutto la motivazione. Andrà infatti bene al giurista o all’intellettuale che il quesito referendario così complesso e complicato non lede il «diritto alla libertà di voto degli elettori per difetto di omogeneità» e non manifesta «un difetto di chiarezza», ma non certo alla stragrande maggioranza del «popolo sovrano», che in realtà non sa cosa votare.
Capisco che i giudici devono stare dalla parte della legge, ma chi sta dalla parte dei cittadini? Trovo pertanto scandaloso, che i giudici di Milano, che devono amministrare la giustizia «in nome del popolo» (art. 101 della Costituzione) motivino il rigetto dei ricorsi affermando, fra l’altro, che spetta «ad ogni singolo elettore formulare una valutazione complessiva di tutte le ragioni a favore di e di quelle contrarie di tutte le parti di cui è composta la riforma, insieme considerate, esprimendo infine un voto sulla base della prevalenza del giudizio favorevole o sfavorevole formulato a talune sue parti». Come dire, cari cittadini, arrangiatevi!
E poi ci si meraviglia del dilagare dell’antisistema!
Giovanni Longu
Berna, 16.11.2016

Nessun commento:

Posta un commento