18 marzo 2015

Svizzera – UE: come finirà?


Il 9 febbraio di un anno fa, gli svizzeri hanno deciso con un leggero scarto di voti (col contributo determinante dei ticinesi!) di introdurre entro tre anni limiti (contingenti) all’immigrazione di massa. Il Consiglio federale, in ossequio alla decisione popolare e al dettato costituzionale, ha deciso di preparare una sorta di avamprogetto di legge di attuazione, ma non è dato sapere con quanta convinzione.

Governo in difficoltà
Sull’avamprogetto del governo è ancora in corso la procedura di consultazione, ma le valutazioni apparse finora sulla stampa sono oltre che molteplici assai discordanti. Sarà estremamente difficile, per il governo, fare la sintesi e proporre al parlamento un disegno di legge in grado di superare le varie opposizioni. Nessuno si fa illusioni. Si dovrà comunque arrivare a una
legge che quasi certamente sarà sottoposta a referendum e dunque al vaglio definitivo del popolo sovrano.
Per anticipare i tempi del verdetto finale, in alcuni ambienti si sta pensando anche a una o più iniziative popolari per interpellare nuovamente gli elettori, entro il prossimo anno, in modo che confermino o smentiscano in maniera chiara e definitiva la decisione presa il 9 febbraio 2014.

Molti dubbi e forti contrasti
Il meno che si possa dire è che l’opinione pubblica è molto disorientata e riflette i forti contrasti che esistono a livello politico non solo sulla valutazione della decisione presa un anno fa (scientemente o inconsapevolmente) ma anche sull'opportunità di richiedere a distanza ravvicinata un nuovo pronunciamento del popolo sovrano.
Tutte le posizioni sembrano concordare sul fatto che un’applicazione «rigida» della limitazione dell’immigrazione con l’introduzione di contingenti potrebbe comportare un irrigidimento dell’Unione europea (UE) nei confronti della Svizzera e la decadenza di numerosi accordi bilaterali, a danno (per ora incalcolabile) soprattutto dei rapporti commerciali coi Paesi dell’UE. D’altra parte, un’applicazione «elastica», tale, per esempio, da salvare il principio della libera circolazione per i cittadini europei, non corrisponderebbe quanto meno alla lettera del nuovo articolo costituzionale 121a approvato nella votazione del 9 febbraio 2014. E allora? Nessuno sembra in grado di proporre una soluzione che salvi sia gli interessi dell’UE (e dell’economia svizzera) e sia il rispetto dovuto alle decisioni del popolo sovrano.
Il governo per primo, ma anche l’opinione pubblica, comincia a rendersi conto che con la decisione dell’anno scorso si è probabilmente imboccata una strada molto rischiosa e senza via d’uscita.

Tentativi infruttuosi
Fino a questo momento, almeno sotto il profilo dei risultati, sono stati infruttuosi tutti i tentativi dei vari consiglieri federali di fare breccia sull’atteggiamento intransigente della Commissione europea, refrattaria, anzi nettamente contraria a rinegoziare con la Svizzera l’accordo sulla libera circolazione. E’ da un anno ormai che la posizione dell’UE non si sposta di un millimetro da quella espressa all’indomani della votazione del 9 febbraio: sulla libera circolazione non si tratta.
Il famoso bacio di Jean-Claude Juncker a Simonetta Sommaruga
Nemmeno la presidente della Confederazione Simonetta Sommaruga è riuscita ad ammorbidire la posizione dell’UE, nonostante la calorosa accoglienza del presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, in occasione di un incontro ufficiale a Bruxelles nel febbraio scorso. E non poteva certo essere interpretato come un segnale di avvicinamento delle posizioni il celebre bacio dell’espansivo Juncker alla presidente Sommaruga. Infatti, proprio in quell’incontro apparve chiaro quanto le posizioni fossero distanti e, a detta di Juncker, praticamente senza margini di manovra, anche se fino all’ultimo la via del dialogo doveva restare aperta. Ma con quale prospettiva concreta?
La Commissione europea sa bene, infatti, che concedere una eccezione alla Svizzera significherebbe minare un principio che non è pacificamente accettato nemmeno da tutti gli Stati dell’UE. Il Regno Unito, ad esempio, potrebbe approfittarne per rimetterlo in discussione. E quanti altri Paesi sarebbero tentati di fare altrettanto?

Opinione pubblica disorientata
Anche nell’opinione pubblica svizzera, già divisa al momento del voto del 9 febbraio 2014, comincia a farsi strada il dubbio che quella scelta non sia stata saggia. Man mano che il tempo passa, anche se restano ancora due anni per l’attuazione della norma costituzionale adottata, ci si interroga se non sia opportuno riconsiderare quanto deciso un anno fa probabilmente senza valutare i rischi connessi.
Chi s’immaginava al momento del voto l’intransigenza dell’Unione europea, le difficoltà sorte ad ogni trattativa concernente aspetti particolari dei rapporti tra l’UE e la Svizzera (in materia di energia, banche, partecipazione a progetti di ricerca, ecc.) e soprattutto il rischio di far decadere automaticamente («clausola ghigliottina») un buon numero di accordi bilaterali se venisse negato il principio della libera circolazione? E chi s’immaginava tra i ticinesi (molto preoccupati dell’avanzata del numero dei frontalieri) che un anno dopo quella decisione avrebbe pesato e non poco sull’accordo fiscale con l’Italia, soprattutto in relazione proprio ai frontalieri?
A ben vedere la prospettiva di un nuovo ricorso alle urne mi sembra ragionevole e inevitabile. Non vedo alcuna ignominia chiedere ai cittadini di pronunciarsi nuovamente su un tema noto, alla luce di nuove informazioni e preoccupazioni fondate. Anzi trovo molto giudizioso che il popolo abbia la possibilità di rivedere una precedente decisione ritenuta sbagliata oppure la riconfermi perché ritenuta giusta, anche alla luce di prospettive per nulla tranquillizzanti.

Verso un voto più consapevole: la Svizzera è in Europa
La prospettiva di un nuovo ricorso al voto, oggi combattuta dai fautori del sì di un anno fa e auspicata dagli oppositori di allora, dovrebbe essere sostenuta dagli uni e dagli altri, visto che entrambi i fronti si ritengono sostenitori e difensori della democrazia diretta. Infatti, che democrazia sarebbe se al popolo non venisse data l’opportunità di correggere un precedente errore o confermare a giusta ragione una precedente decisione?
Tra le conoscenze che il popolo svizzero avrebbe ora o prossimamente a disposizione, se chiamato nuovamente al voto, figurerebbe senz’altro la considerazione che finora gli accordi bilaterali con l’UE hanno portato alla Svizzera solo o soprattutto vantaggi, anche grazie alla libera circolazione delle persone. L’economia ne ha beneficiato potendo sempre prendersi il meglio e tutto quanto le serviva. Senza la libera circolazione e con i contingenti, gli imprenditori svizzeri potrebbero reclutare manodopera solo entro un numero ristretto o comunque limitato di persone.
Il popolo svizzero, inoltre, voterebbe con maggiore consapevolezza del «peso» della Svizzera in Europa. Infatti è cresciuta e cresce sempre di più, su scala nazionale la coscienza di appartenere a un Paese, naturalmente, storicamente e culturalmente in Europa, da cui non può in alcun modo separarsi. Sa bene quanto poco peserebbe, non solo in termini economici, se la Svizzera venisse marginalizzata e addirittura esclusa da numerose libertà e agevolazioni di cui gode proprio grazie agli accordi bilaterali UE-CH.
Se la presidente della Confederazione può continuare a sostenere che le relazioni tra la Svizzera e l’UE sono «molto buone», non può trattarsi di una bella affermazione senza fondamento. E il fondamento è quell’intreccio complesso e intenso di scambi, d’interessi e di valori che lega inscindibilmente i destini sia della Svizzera in Europa che dell’Europa con la Svizzera. Sono nella realtà delle cose, oggi, la libera circolazione delle persone, gli scambi commerciali, finanziari, culturali, il turismo di massa, le reti di trasporto transnazionali, la partecipazione della Svizzera ai principali progetti di ricerca europei.
La Svizzera partecipa finanziariamente all’allargamento dell’UE e a vari programmi europei. Condivide l’Accordo di Schengen (qualche giorno fa Simonetta Sommaruga ha partecipato a Bruxelles alla riunione del Comitato misto Schengen) e intende partecipare alla cooperazione nell’ambito del trattato di Prüm sul contrasto alla criminalità transfrontaliera, collabora attivamente alla lotta contro il riciclaggio e all’evasione fiscale, ecc.

In conclusione
Il governo svizzero si sta dimostrando un esecutivo diligente nella ricerca di una legge di attuazione probabilmente inapplicabile, ma forse dovrebbe mostrare maggiore iniziativa e inventiva nella formazione dell’opinione pubblica, soprattutto in un tema vitale per l’integrazione della Svizzera in Europa. Se è giusto limitare e regolamentare l’immigrazione di massa, nel contesto europeo attuale e futuro non ha certamente senso ostacolare velleitariamente la libera circolazione delle persone e, conseguentemente, la partecipazione della Svizzera al grande progetto degli Stati uniti d’Europa, di cui proprio la Svizzera è stata ispiratrice e modello. Per questo l’accordo con l’UE è necessario e vitale.
Giovanni Longu
Berna, 18.3.2015