29 aprile 2015

UE in confusione tra profughi e migranti


I problemi della «migrazione» stanno diventando acuti non solo per l’Europa ma per il mondo intero. Sono milioni le persone in movimento, spesso in condizioni disumane, «alla ricerca - per citare Papa Francesco – della felicità» o comunque «di una vita migliore». Se finora questi spostamenti di masse avvenivano nella quasi totale indifferenza delle popolazioni non direttamente coinvolte, oggi, di fronte a episodi drammatici sempre più frequenti come i numerosi naufragi nel Mediterraneo, l’opinione pubblica mondiale è più consapevole dell’entità e della gravità del fenomeno. Le istituzioni sono prese di mira perché ritenute responsabili non tanto delle cause delle migrazioni, quanto piuttosto della cattiva o comunque insufficiente gestione del fenomeno.

UE in confusione
Per non parlare dell’inerzia delle Nazioni Unite, mi soffermo solo sulla pochezza degli interventi decisi la settimana scorsa dall’Unione europea (UE). Di fronte all'ennesimo dramma che si è appena consumato nel Mediterraneo tra la Libia e l’Italia, il governo italiano ha fatto bene a chiedere la convocazione urgente del Consiglio UE, ma non ha fatto nulla per provocare una seria discussione su una politica migratoria europea comune.
Considero questa mancanza grave perché l’Italia, più di qualsiasi altro Paese europeo, dovrebbe sapere che se la migrazione non è ben gestita può creare seri problemi politici e sociali non solo nei Paesi di partenza ma anche in quelli di transito e soprattutto di arrivo. Il fatto è che non avendo l’Italia alcuna linea guida in materia d’immigrazione non può nemmeno chiederla all’UE. E’ emblematica al riguardo la confusione terminologica tra migranti, clandestini, richiedenti l’asilo, profughi, rifugiati e altro ancora. Essa denota che non ci si rende conto che l’approccio nei confronti dei «migranti» non può essere lo stesso che si deve avere con i «profughi» e i «richiedenti l’asilo», per non parlare dei clandestini o infiltrati terroristi. Di fatto non esiste né in Italia né nell’UE una politica immigratoria comune.

«Triton» rinforzato, ma problemi di fondo irrisolti
L’ennesima conferma giunge dalla riunione straordinaria del Consiglio UE. Poco meno di due anni fa l’Italia e l’UE avevano varato la missione «Mare Nostrum» per fronteggiare l’emergenza umanitaria nel Mediterraneo (fino alle coste del Nord Africa) dove i naufragi di profughi erano frequenti. Nel novembre 2014 la missione Mare Nostrum è stata sostituita con l’operazione Triton, meno costosa e limitata al controllo delle acque territoriali italiane fino a 30 miglia nautiche dalla costa. Nella riunione del 23 aprile scorso, invece di affrontare l’esigenza di nuovo approccio globale al fenomeno, il Consiglio UE si è impegnato soltanto a rinforzare Triton (triplicandone il finanziamento) senza cambiarne sostanzialmente la missione, ossia pattugliare le coste italiane per impedire l’ingresso illegale nelle acque territoriali dell’UE.
In questo modo non si risolvono certo i problemi che stanno all'origine del fenomeno, anzi non si fa che aumentare la confusione e alimentare la disputa politica tra chi vorrebbe usare le maniere forti (respingimenti, affondamento dei barconi con l’impiego di droni, blocco navale sulle coste africane o addirittura con l’invasione della Libia) e chi non vuole sottrarsi agli obblighi del soccorso in mare (anche oltre le 30 miglia dalla costa), dell’accoglienza e della solidarietà (pur dichiarando guerra ai trafficanti e ai nuovi schiavisti). All'interno dell’UE non c’è nemmeno la condivisione di un metodo per l’accoglienza e la ripartizione dei «rifugiati» tra tutti i Paesi membri.
La problematica della «migrazione» in senso proprio è rimasta totalmente assente perché il quadro generale di riferimento resta una UE che intende difendere i suoi confini (e i suoi interessi) da chiunque cerchi di penetrarvi illegalmente, ovviamente fatte salve le convenzioni internazionali sui doveri di soccorso a naufraghi e richiedenti l’asilo. Resta aperto, a mio avviso, il problema degli sbarchi di tutti gli altri: se non hanno diritto all'asilo (e in proposito l’UE ha chiesto all'Italia che la registrazione dei rifugiati avvenga in modo adeguato secondo le regole UE!) vanno accolti o espulsi? Altrimenti detto, dopo l’eventuale soccorso in mare, l’identificazione e l’accoglienza negli appositi centri, dovranno essere trattenuti in vista dell’espulsione o «convertiti» in immigrati regolari (anche se non hanno un lavoro e mezzi di sostentamento) con la libertà di muoversi dove vogliono?

Mancanza di una visione comune europea
Per dare risposte concrete a queste o a simili domande è forse indispensabile attuare politiche diverse ma complementari: almeno una fondata sulla solidarietà nei confronti dei «profughi» costretti a fuggire (a causa di guerre, persecuzioni, pericoli gravi imminenti) e una fondata su considerazioni di tipo essenzialmente economico nei confronti dei «migranti». Per essere efficaci, andrebbero condivise da tutti i 28 Paesi dell’UE e armonizzate in una visione strategica comune che coinvolga anche i Paesi da cui provengono i profughi/migranti.
Purtroppo questa visione comune manca, per cui risultano insufficienti non solo la solidarietà praticata, ma anche l’atteggiamento dimostrato nei confronti dei profughi e soprattutto la presa a carico, almeno in parte, dei problemi dei Paesi da cui si continua a fuggire. Eppure appare evidente che per impedire che si fugga non occorre creare sbarramenti, ma attuare una politica d’investimenti massicci sul posto. Almeno a medio e a lungo termine ne beneficerebbe sicuramente anche l’Unione europea. O si preferisce continuare a rincorrere l’emergenza profughi, l’emergenza migranti, l’emergenza…?

Giovanni Longu
Berna, 29.04.2015

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