Ho scelto il Congresso di Vienna del 1815 come primo anniversario da ricordare quest’anno perché ha avviato in Svizzera, in Italia e nel resto d’Europa una lunga serie di cambiamenti importanti, dopo il periodo travagliato della Rivoluzione francese e delle guerre napoleoniche e prima di giungere, nella seconda metà del secolo, a una sostanziale stabilizzazione. I rappresentanti delle principali potenze europee (Austria-Ungheria, Russia, Gran Bretagna e Francia), riuniti a congresso a Vienna (dal novembre del 1814 al giugno del 1815) si proponevano di sconfiggere Napoleone e ridisegnare la carta dell’Europa. Sconfitto definitivamente Napoleone a Waterloo (18 giugno 1815), le Grandi Potenze, ritenendo possibile e doverosa una «restaurazione» della vecchia Europa, cercarono di riportare indietro le lancette della storia, senza rendersi conto dell’impossibilità di ignorare le aspirazioni dei popoli europei agli ideali rivoluzionari (liberté, égalité, fraternité) e al raggiungimento di una certa omogeneità e unità europea. Un’illusione, che purtroppo costò cara agli europei e alcuni effetti perdurano ancora. Per questo quell'evento merita di essere ancora ricordato.
Il Congresso di
Vienna un’opportunità per la Svizzera
Per sfruttare al meglio la situazione, sapendo che tutte le Potenze ritenevano importante un Stato piccolo ma coeso e forte al centro d’Europa, in grado di frenare gli appetiti territoriali degli Stati vicini, i diplomatici svizzeri offrirono la neutralità perpetua del loro Paese in cambio del riconoscimento della sovranità piena della Svizzera (senza alcun protettorato francese o di altri Stati), della sua struttura federale e dell’inviolabilità dei confini federali e cantonali. Di fatto la Svizzera ne risultò rafforzata e persino un tantino ampliata.
Con queste
garanzie, che le furono assicurate, la Svizzera era pronta ad affrontare le
numerose sfide interne che erano già all'orizzonte (rivendicazioni,
rivoluzioni, conflitti religiosi, dissidi tra classi sociali, contrasti tra
città e campagna, ecc.) ed esterne per raggiungere lo sviluppo economico e
sociale degli altri Stati in un contesto geopolitico ed economico molto
dinamico.
Non fu facile per
la Svizzera affrontare e superare tali sfide, sfiorando persino la guerra
civile (Sonderbund), ma le riuscì di conservare e persino rafforzare l’unità
nazionale, trovare all’interno un buon equilibrio intercantonale e sviluppare
notevolmente la sua economia, tanto che verso la fine del secolo l’emigrazione
si era fortemente ridotta mentre era in costante aumento l’immigrazione.
Federalismo e
neutralità
Motto della Confederazione:«uno per tutti - tutti per uno» |
La neutralità, su
cui si è tanto discusso, ha consentito alla Svizzera di non partecipare alle grandi
guerre che hanno insanguinato l’Europa per decenni, di mantenere un apparato
produttivo costantemente efficiente, di sviluppare una grande capacità di
attrarre finanze e turisti, ma anche la tranquillità di sentirsi in qualche
misura protetta dalle Grandi Potenze, sebbene per prudenza la Svizzera abbia sempre
ritenuto di non poter fare a meno di una forza armata.
Si sa che in alcuni
Paesi non sono mancate le critiche per questa sorta di «splendido isolamento»
svizzero, ma è difficile negare che la neutralità ha per lo meno contribuito a
dissuadere soprattutto Hitler e Mussolini dalla tentazione di invadere la
Svizzera. Del resto, nel primo e secondo dopoguerra ha fatto comodo a molti
Stati (Italia compresa) poter contare (anche) sulla Svizzera per approvvigionarsi
di beni strumentali e mezzi finanziari.
Infine, per quanto
sia possibile e legittimo contestare più di un aspetto dell’ordinamento istituzionale
della Svizzera, il suo sistema federale e la sua neutralità sono ancora oggi modelli
di riferimento nel caso di conflitti armati e forti dissidi tra Stati vicini.
Infine, non va nemmeno dimenticato, che agli inizi della sua storia la stessa
Unione Europea si concepiva come una sorta di Stati Uniti d’Europa o un grande
Svizzera.
Berna, 15.01.2025
Nessun commento:
Posta un commento