12 aprile 2021

Perché nel 1861 la Svizzera esitò a riconoscere il Regno d’Italia?

Dopo i plebisciti di annessione di vari territori italiani, il Parlamento del Regno di Sardegna proclamò Vittorio Emanuele II «Re d’Italia» (17 marzo 1861). Nei giorni successivi ne furono informati tutti gli Stati con cui esistevano relazioni diplomatiche, ma nessuno si affrettò a riconoscere il nuovo Stato. La Svizzera, forse la più interessata a proseguire i buoni rapporti, soprattutto commerciali, che aveva avuto col Regno di Sardegna, aspettò che lo riconoscesse almeno una delle grandi potenze del Congresso di Vienna (1815), il Regno Unito, prima di riconoscerlo a sua volta. Le ragioni di questa esitazione sono interessanti soprattutto per capire il senso dello Stato che la giovane Confederazione aveva acquisito ad appena tredici anni dalla sua costituzione (1848).

Esitazione della Svizzera

Torino 17.03.1861: proclamazione di Vittorio Emanuele II Re d'Italia
La Svizzera era ben al corrente di quel che stava succedendo in Italia tra il 1850 e il 1860 perché aveva buoni rapporti con tutti gli Stati italiani di allora e l’incaricato d’affari di Svizzera a Torino, Abraham Louis Tourte (1818-1863), ne teneva costantemente informato il Consiglio federale. Inoltre molti mercenari svizzeri al servizio del Regno delle due Sicilie e dello Stato Pontificio erano a contatto con i vari Cantoni di provenienza. Anche molti svizzeri residenti a Napoli, Roma, in Sicilia, in Toscana richiamavano frequentemente l’attenzione della Confederazione perché durante e dopo le annessioni si sentivano minacciati dai conquistatori e dalle popolazioni locali.

Per il Consiglio federale non fu dunque una sorpresa la proclamazione del Regno d’Italia, per altro già preannunciatagli dal Tourte l’11 marzo 1861, e non gli giunse inaspettata nemmeno la nota ufficiale trasmessagli il 23 marzo 1861 dal ministro plenipotenziario di Sardegna e poi del Re d’Italia a Berna Alexandre Jocteau (1801-1864). Nel frattempo, Jocteau aveva informato il suo governo che la Svizzera, pur essendo intenzionata a riconoscere prontamente il nuovo Stato, voleva aspettare che una grande potenza facesse il primo passo.

Nella sua risposta interlocutoria del 30 marzo 1861, il Consiglio federale, interessato a continuare col Regno d’Italia le buone relazioni sviluppate col Regno di Sardegna, aveva nondimeno molto gradito il tono della comunicazione ricevuta che esprimeva «sentimenti di amicizia» del governo di Sua Maestà verso la Svizzera e ammirazione per i «principi d’indipendenza» a cui erano così attaccate le popolazioni svizzere e sui quali si fondava ora anche il Regno d’Italia.

In realtà la Svizzera si aspettava probabilmente anche garanzie esplicite sulla sua indipendenza e integrità territoriale, perché da tempo circolavano voci, soprattutto attraverso alcuni giornali lombardi, che lasciavano trasparire la speranza di certi irredentisti di un’annessione anche del Ticino. In una nota del 5 settembre 1860 Tourte aveva parlato di due pericoli per la Confederazione: l’indebolimento dell’Austria (perché avrebbe favorito la «position formidable» della Francia) e «gli appetiti invasori degli unitaristi mazziniani». In questa situazione la Svizzera avrebbe potuto contare solo su «un’Italia forte e libera, che voglia restare neutrale nel mezzo delle lotte europee, un appoggio serio». Nei confronti di entrambi bisognava stare attenti.

L’11 marzo 1861, nel corso di una conversazione, il presidente del Consiglio dei ministri Camillo Benso conte di Cavour (1810-1861) aveva cercato di tranquillizzare l’incaricato d’affari svizzero a Torino, A. Tourte, affermando che si trattava di «chimere» di certi «patrioti troppo zelanti» e che «mai» il suo governo avrebbe intrapreso alcunché contro la Svizzera. Purtroppo, però, aveva anche aggiunto che «se la carta dell’Europa fosse rimaneggiata, se si donasse alla Svizzera il Vorarlberg e il Tirolo, ciò che io spero per il bene dell’Italia, se allora i Ticinesi desiderassero unirsi a noi, e se la Svizzera lo acconsentisse, certo noi non diremmo di no. Ma, pertanto, non siamo ancora a questo punto». Cavour non pensava certamente a una possibile invasione del Ticino, ma anche questa sua affermazione non appariva a Tourte molto rassicurante.

Un articolo male interpretato?

Tant’è che proprio lo stesso giorno (11.3.1861) dell’incontro di Tourte con Cavour, il giornale torinese Gazzetta Militare pubblicò un articolo intitolato «Nuovo equilibrio europeo», in cui veniva auspicata addirittura la spartizione della Svizzera tra Italia, Francia ed Austria in base all’appartenenza etnico-linguistica degli svizzeri. L’articolo non passò inosservato, suscitando vigorose reazioni nell’opinione pubblica e «nella stampa svizzera d’ogni colore». Anche il vecchio generale Dufour, vincitore della guerra del Sonderbund (1847-48), il 18 marzo, sentì il bisogno di intervenire per confutarlo nel corso di una conferenza sulla neutralità svizzera al circolo dei sottufficiali di Ginevra.

Di fronte all’unanime contrarietà dell’opinione pubblica svizzera, che si era sempre schierata a favore della libertà italiana, Cavour intervenne per chiedere alla Gazzetta Militare di rettificare quanto scritto sulla Svizzera e al rappresentante italiano a Berna d’informare il Consiglio federale che il governo italiano non condivideva la tesi del giornale, ritenendola assurda.

Il 25 marzo la Gazzetta Militare di Tonno pubblicò la rettifica chiesta da Cavour, ma esprimeva il rincrescimento dell’autore per l’interpretazione errata data in Svizzera al suo articolo, che non voleva affatto significare una minaccia contro quella «generosa nazione». Anche il Bund, un quotidiano di Berna, più tardi riterrà l’interpretazione che ne fu data esagerata e senza fondamento, «una tempesta in un bicchiere di acqua», essendo l’Italia «né una minaccia né un pericolo per la Svizzera» e «la Svizzera non ha niente da temere dall’Italia». Dava anche ragione al giornalista della Gazzetta Militare perché la «divisione della Svizzera» era solo un’ipotesi esistente nel contesto del vecchio equilibrio europeo, che si reggeva sulla gelosia delle grandi potenze, ma non più attuale perché il nuovo equilibrio si basava «sulla forza dei popoli e sui diritti naturali».

La risposta della Gazzetta Ticinese

Ma si trattava veramente di un’interpretazione sbagliata? Obiettivamente sì, ma il fatto che quell’«ipotesi» avesse turbato l’opinione pubblica la rendeva perlomeno sorprendente e aveva spinto la Gazzetta Ticinese il 27 marzo 1861 a sferrare un duro attacco sia alla Gazzetta Militare che al «ministero di Torino» con cui il giornale, «se non si prende errore, è molto in relazione».

L’articolo andava oltre la confutazione dell’articolo ed evidenziava, per esempio, il diverso atteggiamento degli svizzeri e delle autorità federali, schierati in favore delle libertà italiane, e quello del governo italiano che «esce apertamente col piano della divisione della Svizzera». Per agevolare l’annessione del Regno delle Due Sicilie la Confederazione aveva sciolto i Reggimenti svizzeri al servizio del re di Napoli, mentre «il governo piemontese rispondeva manifestandosi d’accordo con la Francia nella questione della Savoia che minaccia il nostro Paese» (perché con la cessione alla Francia avrebbe perso la neutralità garantita dalle potenze del Congresso di Vienna e il confine sud-occidentale della Svizzera si sarebbe notevolmente indebolito). Per non parlare del comportamento dei piemontesi nei confronti dei prigionieri svizzeri «trattati senza alcuno dei riguardi che le autorità di ogni altro paese incivilito non avrebbe trascurato verso soldati sventurati».

Per evitare che la polemica pregiudicasse i buoni rapporti tra i due Stati che da entrambe le parti si volevano ripristinare, il 30 marzo 1861 il ministro d'Italia a Berna, A. Jocteau, informava il Consiglio federale che il gabinetto di Torino disapprovava quanto pubblicato dalla Gazzetta Militare di Torino, ritenendola unica responsabile di quanto scritto.

Ciononostante, la risposta del 30 marzo 1861 del Consiglio federale al governo di Sua Maestà sulla questione del riconoscimento, trasmessa per il tramite del rappresentante svizzero a Torino A. L. Tourte, fu solo interlocutoria. Benché lasciasse intendere il desiderio della Svizzera di contribuire «a mantenere e a rinsaldare ancora con il nuovo Regno d’Italia le antiche relazioni di buona amicizia che sussistevano da così lungo tempo tra la Sardegna e la Confederazione», non conteneva un esplicito riconoscimento del nuovo Stato.

Il riconoscimento elvetico

Per una coincidenza fortuita, lo ste
sso giorno, giunse la notizia che il
ministro degli esteri inglese, lord John Russell, aveva comunicato al ministro d'Italia a Londra, il marchese Vittorio Emanuele Tapparelli d’Azeglio, che la Regina l’avrebbe ricevuto ormai come inviato di Vittorio Emanuele re d' Italia. Poiché una grande potenza l’aveva riconosciuto, anche la Svizzera poteva farlo e il Consiglio federale incaricò subito il suo rappresentante a Torino di trasmettere al Conte di Cavour il formale riconoscimento elvetico del Regno d’Italia (2 aprile 1861).

Almeno per il momento tutte le questioni, comprese quelle riguardanti i beni delle diocesi di Como e Milano in Svizzera, sembravano in via di soluzione e i due Paesi potevano riprendere nel rispetto reciproco la collaborazione che ciascuno a modo suo si riprometteva. Di una cosa, tuttavia, entrambi i Paesi sembravano certi: solo una politica di collaborazione avrebbe consentito la realizzazione di alcuni grandi progetti di cui si cominciava a parlare: la rete ferroviaria e stradale transfrontaliera di grande rilevanza strategica e di grande interesse commerciale per entrambi.

In condizioni normali la Confederazione Svizzera avrebbe riconosciuto (quasi) subito un cambio di governo. Il fatto che abbia esitato a lungo merita un approfondimento.


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