I primi mesi di quest’anno sono stati segnati profondamente
dalla pandemia da Coronavirus. Per molti Paesi è stata un’esperienza
drammatica, perché la malattia ha messo in crisi non solo il mondo della
medicina, ma l’intera convivenza umana. La Covid-19 sembrava infatti
diffondersi rapidamente e nessun Paese disponeva di antidoti efficaci. La
società ha avuto talmente paura da accettare molte limitazioni, dalle visite al
ristorante alle celebrazioni religiose, mantenere una certa distanza fisica
persino tra parenti, rinunciare agli abbracci tra nonni e nipoti, indossare
mascherine, non uscire di casa se non per necessità. Poi è prevalsa la ragione
che ha dato una grande spinta alla ricerca di nuovi vaccini. La pandemia ha
stimolato anche la fede? La domanda merita una risposta, specialmente per i
cristiani, e qualche riflessione sui rapporti tra ragione e fede.
La ragione studia i fenomeni
Quando è scoppiata l’epidemia in Cina, pochi, credo, hanno
pensato che potesse giungere anche alle nostre latitudini. Dopo i primi casi
registrati in Lombardia (vanto per un sistema sanitario pubblico-privato di
grande efficienza), molti si sono meravigliati, ma senza allarmarsi perché nei
Paesi cosiddetti «avanzati» sembrava azzerata la stessa possibilità di una
pandemia e si era fatta strada l’idea che prima o poi la medicina, la
farmacologia e la scienza in generale sarebbero state in grado di debellare
qualunque malattia grave.
Solo col moltiplicarsi dei casi è subentrata la paura, anche
perché inizialmente gli stessi «esperti» sembravano intimoriti di fronte al
nuovo virus (Covid-19) di cui non conoscevano ancora la natura e la
pericolosità. Almeno per un istante, è riemersa dal nostro subconscio una
memoria lontana delle grandi epidemie del passato, delle pesti, della
«spagnola» e dei milioni di morti che si sono portate appresso. Da ultimo, man
mano che un numero crescente di contagiati guariva, hanno preso il sopravvento
la ragione e la certezza di poter sconfiggere il virus.
La ragione è una forza primordiale che non si ferma di
fronte a qualunque fenomeno sconosciuto, tanto più se percepito come
pericoloso, e cerca di decifrarlo, conoscerne tutti gli aspetti, renderlo
inoffensivo. Anche di fronte al Coronavirus non si è arresa e ha subito avviato
alacremente la ricerca di cure e farmaci efficaci e soprattutto di un vaccino
specifico.
La ragione, però, ha un raggio d’azione limitato ai «fenomeni»,
ossia – secondo il significato originario del termine nella filosofia greca – a
ciò che si vede, si sente, si percepisce attraverso i sensi, a ciò che appare nel
tempo e nello spazio. In verità ha sempre cercato di varcare questi confini,
tant’è che molti filosofi antichi hanno anche ipotizzato un Essere trascendente
i fenomeni, ne hanno persino «provato» l’esistenza, lo hanno chiamato Demiurgo,
Creatore, Assoluto, Essere, o semplicemente Trascendenza. Qualche studioso ha
visto in questa tensione del tutto naturale una sorta di «fede filosofica».
Non si tratta evidentemente della «fede rivelata» e la
Trascendenza intravista dagli antichi filosofi non è il Dio della Rivelazione
cristiana, ma è la risposta dell’uomo che seguendo una sorta di istinto
naturale cerca al di là dei sui limiti l’immortalità, l’eternità, la
Trascendenza o Dio e di percepirne in qualche modo la presenza nel mondo e
nell’uomo. La ragione può spiegare la malattia e la morte, ma non può dare il
senso della vita e della morte, se non riducendo l’una e l’altra a fenomeni
della biosfera.
La fede va oltre la ragione
La fede non minimizza il potere della ragione, ma ne supera
i limiti. Solo la «fede rivelata», infatti, riesce a dare un senso compiuto alla
vita come alla morte, soprattutto nei momenti in cui le domande al riguardo si
fanno impellenti e drammatiche. Anche per questo, in occasione di tutte le
grandi epidemie dell’era cristiana la Chiesa è stata in prima linea non solo
per assistere gli ammalati e i moribondi in spirito di carità, ma anche per
invocare con preghiere e digiuni la fine del flagello, considerato talvolta un
«castigo di Dio» per i peccati degli uomini, ma più spesso una «prova» per i
cristiani, «pellegrini in questa valle di lacrime».
Anche stavolta, durante le fasi più acute della Covid-19, che
coincidevano fra l’altro col periodo quaresimale e pasquale, in molte chiese è
risuonata la supplica: «A peste, fame et bello, libera nos Domine» (dalla
peste, dalla fame, dalle guerre, liberaci Signore). In molte parti del mondo
sono state celebrate veglie di preghiera, funzioni religiose, Via Crucis e
persino i riti pasquali sebbene senza pubblico (nel rispetto delle norme sul
distanziamento tra le persone) per chiedere non tanto miracoli quanto la pace
eterna per i defunti e conforto a tutte le persone colpite, ai loro familiari e
ai professionisti e volontari impegnati in prima linea nella lotta contro
l’epidemia.
Nel corso di numerose celebrazioni, anche Papa Francesco non
ha smesso di invocare l’intervento misericordioso di Dio, ma ha anche cercato
di indicare il senso «religioso» di quel che accadeva. In un suo intervento
durante la Settimana Santa, lo ha indicato con queste parole: «Penso al Signore
crocifisso e alle tante storie dei crocifissi di questa pandemia, medici,
infermiere, infermieri, suore e sacerdoti, morti al fronte come soldati che
hanno dato la vita per amore, resistenti come Maria sotto le croci delle loro
comunità, negli ospedali, curando gli ammalati».
Ragione e fede: distinte ma complementari
Nella storia, molto frequentemente i rapporti tra ragione e
fede sono stati non solo complicati ma anche conflittuali, persino all’interno
della cristianità. L’episodio più noto di questa conflittualità è quello
riguardante Galileo Galilei (1564-1642), un credente che voleva restare tale
anche se un tribunale dell’Inquisizione pretendeva, per aver salva la vita, che
ritrattasse le sue convinzioni scientifiche. Si sa che Galilei finì per
ritrattare pur di restare in vita e nella Chiesa.
La ritrattazione di Galilei, che sapeva, messa a confronto
con la condanna a morte sul rogo del contemporaneo frate domenicano Giordano
Bruno (1548-1600), che credeva, ma non volle ritrattare alcune sue convinzioni
religiose di fronte all’Inquisizione, ha fatto ritenere al noto filosofo
tedesco Karl Jaspers (1883-1969) che ci siano verità (razionali) incondizionate
e verità condizionate e relative alla persona che le vive. La verità di Galilei
è sopravvissuta anche se ritrattata, quella per cui viveva Giordano Bruno
sarebbe invece morta se ritrattata.
A prescindere dalla contrapposizione jaspersiana tra Galilei
e Bruno si può affermare che ragione e fede sono due realtà ben distinte, ma non
necessariamente conflittuali. I conflitti nascono quando si pratica una sorta
d’invasione di campo e, per esempio, la ragione pretende di decidere sulla
ragionevolezza della fede in base a presunte «prove» scientifiche oppure la
fede contraddice una certezza scientifica usando la Bibbia come un testo
scientifico.
In realtà, negli ultimi decenni, anche se non si assiste più
a conflitti clamorosi, non c’è dubbio che la divaricazione tra ragione e fede è
enormemente cresciuta. Basti pensare alle varie forme di agnosticismo e
relativismo, contro cui si sono battuti specialmente gli ultimi pontefici. La
fede, però, non desiste, non si sottrae al confronto e cerca costantemente il
dialogo con tutti gli uomini di buona volontà.
Il 3 maggio scorso, Papa Francesco ha invitato gli
scienziati e gli Stati a «mettere insieme le capacità scientifiche, in modo
trasparente e disinteressato, per trovare vaccini e trattamenti e garantire
l’accesso universale alle tecnologie essenziali che permettano ad ogni persona
contagiata, in ogni parte del mondo, di ricevere le necessarie cure sanitarie».
Nella stessa occasione il Papa ha tuttavia invitato per il 14 maggio «i credenti
di tutte le religioni» a unirsi spiritualmente «in una giornata di preghiera e
digiuno, per implorare Dio di aiutare l’umanità a superare la pandemia di
coronavirus».
Con tale invito, la fede ha fornito un’ulteriore prova, se
mai ce ne fosse stato bisogno, che «la ragione senza fede non guarisce, ma la
fede senza la ragione diviene non umana» (Joseph Ratzinger). Tra ragione e fede
c’è distinzione, ma non dev’esserci separazione perché sono complementari,
«come le due ali con le quali lo spirito umano s'innalza verso la
contemplazione della verità» (Giovanni Paolo II nell’enciclica Fides et
ratio, fede e ragione, del 1998).
Giovanni Longu
Berna, 3 giugno 2020
Berna, 3 giugno 2020
* articolo pubblicato su Insieme (MCLI, Berna) n. 7-8 Luglio-agosto 2020.
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