15 marzo 2020

Ai tempi del coronavirus


La pandemia da coronavirus è allarmante non solo perché ha già fatto tanti morti e non si sa quanti altri ne farà in Europa e nel resto del mondo, ma perché richiama la paura atavica della peste e della decimazione di intere popolazioni. E’ rimasta impressa nella memoria collettiva soprattutto la «spagnola» del 1918-1920 che fece decine di milioni di morti. Altre epidemie più recenti sono state meno micidiali (per esempio l’«asiatica» del 1957 che ancora molti ricordano), per cui è subentrata nella coscienza dei popoli specialmente occidentali una sorta di assopimento di quella paura ancestrale, ma non è stata annientata. Il coronavirus la sta risvegliando?

Pandemia come «castigo di Dio»
Coronavirus - Covid-19
L’umanità, che ha conosciuto epidemie fin dall’antichità, non ha mai accettato l’idea di poter scomparire a seguito di una pandemia universale, anzi ha sempre creduto in una qualche forma di sopravvivenza. Dapprima, scoprendosi impotente di fronte al virus, se n’è assunta per così dire la responsabilità e ha considerato l’epidemia una sorta di «castigo di Dio», da espiare con preghiere e sacrifici. Il ricorso alla divinità è perdurato finché è durato il predominio della fede sulla ragione in molte religioni, compresa quella cristiana.
Ancora ai tempi di San Carlo Borromeo (1538-1584), durante una peste che sconvolse Milano, molti pensarono come lo stesso san Carlo che si trattasse di «un flagello mandato dal cielo» come castigo dei peccati degli uomini e che andasse curato con la preghiera e il digiuno. Il mondo però stava cambiando: la scienza cominciava a rivendicare il primato sulle credenze e già pensava che ogni epidemia poteva essere sconfitta dalla farmacologia.
Poco più di un secolo dopo, nel Seicento, quando un’altra peste micidiale scoppiata in tutto il Nord Italia sembrava divorare l’intera città di Milano, solo qualcuno parlò ancora di «castigo di Dio», mentre molti l’attribuirono a fattori umani, gli «untori». Il cardinale Federico Borromeo, pur non rinunciando a una processione solenne, con l’ostensione delle reliquie di san Carlo Borromeo (che, fra l’altro, non produsse gli effetti sperati perché i decessi invece di diminuire aumentarono) ritenne di aver trovato un valido antidoto alla disgrazia nella solidarietà delle persone sane. Per dare il buon esempio, inviò in prima linea i suoi ecclesiastici perché si prodigassero nella sepoltura dei morti, nella cura degli ammalati e nell’aiuto ai bisognosi. A guidarli c’era lo stesso cardinale, come ha scritto Alessandro Manzoni in alcune stupende pagine dei Promessi Sposi.

Progressi e limiti della scienza
Da allora, comunque, il progresso della scienza e della tecnica è stato incessante, la medicina è diventata preventiva e curativa, la farmacologia ha messo a punto vaccini mirati ed efficaci, malattie micidiali sono state debellate, la statistica annuncia ogni anno l’aumento della speranza di vita dei nuovi nati, la qualità della vita registra ovunque miglioramenti.
Fino a pochi mesi fa, l’umanità sembrava aver dimenticato che una nuova epidemia è sempre in agguato in una qualsiasi parte del mondo e che i vaccini disponibili possono non essere efficaci. Si viveva come in un limbo autoprotettivo garantito da farmaci potenti, sistemi sanitari efficienti, virologi e scienziati attenti a ogni indizio di malattia, industrie farmaceutiche supertecnologiche pronte a intervenire in caso di bisogno. Grazie ai vaccini, le epidemie si ritenevano debellate per sempre. Illusione o sottovalutazione dei rischi? Probabilmente l’una e l’altra.
Infatti l’epidemia, anzi la pandemia, si è ripresentata con insaziabile voracità e l’umanità intera si è scoperta nuda, impreparata, senza barriere protettive, senza vaccini efficaci per contrastarla. Di fronte al pericolo di una sua propagazione incontrollata e micidiale, non potendo isolare e uccidere il virus, molti governi stanno cercando di contenerne la diffusione invitando i cittadini a chiudersi in casa, vietando ogni tipo di assembramento, chiudendo le scuole, i ritrovi, molti luoghi di lavoro, lasciando al fronte solo medici, infermieri, virologi, scienziati, le forze dell’ordine, i responsabili governativi.

Ragione e fede
E’ tornata la paura atavica? Forse. L’epidemia è un «castigo di Dio»? Certamente no, anche se c’è ancora qualcuno che considera il coronavirus «una delle piaghe inviate da Dio sugli uomini per convertirli». No, se per definizione Dio è buono e signore della vita, non minaccia e per convertire gli uomini fa appello solo alla libertà di ciascuno.
Joseph Ratzinger
D’altra parte è innegabile che questa pandemia metta bene in luce la finitezza e la fragilità dell’essere umano, come pure i limiti della scienza, che non riuscirà mai a superare l’ineluttabilità della morte. Appare quindi comprensibile che di fronte al limite della scienza (ragione), l’uomo cerchi attraverso la fede il vero senso della vita anche oltre la morte. L’importante è che tra fede e ragione non ci siano né sovrapposizioni né conflitti, ma complementarietà. Infatti, «la ragione senza fede non guarisce, ma la fede senza la ragione diviene non umana» (Joseph Ratzinger).
Poiché il tempo di ogni epidemia è limitato, l’ottimismo è ragionevole, non solo perché la scienza ha i mezzi per ottenere i vaccini necessari, ma anche perché l’intesa tra ragione e fede sta producendo come ai tempi di Federico Borromeo l’antidoto più umano che possa esistere, la solidarietà interpersonale e intergenerazionale o semplicemente sociale. Se si volesse considerare la pandemia come una «prova» per l’umanità, la si dovrebbe ritenere superata solo nel segno della solidarietà. In questo momento molti segnali fanno ben sperare che i tempi del coronavirus siano ricordati come i tempi di una grande solidarietà sociale.
Giovanni Longu
Berna, 15.03.2020

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