La pandemia da coronavirus è allarmante non solo
perché ha già fatto tanti morti e non si sa quanti altri ne farà in Europa e
nel resto del mondo, ma perché richiama la paura atavica della peste e della decimazione
di intere popolazioni. E’ rimasta impressa nella memoria collettiva soprattutto
la «spagnola» del 1918-1920 che fece decine di milioni di morti. Altre epidemie
più recenti sono state meno micidiali (per esempio l’«asiatica» del 1957 che
ancora molti ricordano), per cui è subentrata nella coscienza dei popoli specialmente
occidentali una sorta di assopimento di quella paura ancestrale, ma non è stata
annientata. Il coronavirus la sta risvegliando?
Pandemia come «castigo di Dio»
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Coronavirus - Covid-19 |
L’umanità, che ha conosciuto epidemie fin
dall’antichità, non ha mai accettato l’idea di poter scomparire a seguito di
una pandemia universale, anzi ha sempre creduto in una qualche forma di
sopravvivenza. Dapprima, scoprendosi impotente di fronte al virus, se n’è
assunta per così dire la responsabilità e ha considerato l’epidemia una sorta
di «castigo di Dio», da espiare con preghiere e sacrifici. Il ricorso alla
divinità è perdurato finché è durato il predominio della fede sulla ragione in
molte religioni, compresa quella cristiana.
Ancora ai tempi di San Carlo Borromeo
(1538-1584), durante una peste che sconvolse Milano, molti pensarono come lo
stesso san Carlo che si trattasse di «un flagello mandato dal cielo» come
castigo dei peccati degli uomini e che andasse curato con la preghiera e il
digiuno. Il mondo però stava cambiando: la scienza cominciava a rivendicare il
primato sulle credenze e già pensava che ogni epidemia poteva essere sconfitta
dalla farmacologia.
Poco più di un secolo dopo, nel Seicento, quando
un’altra peste micidiale scoppiata in tutto il Nord Italia sembrava divorare
l’intera città di Milano, solo qualcuno parlò ancora di «castigo di Dio», mentre
molti l’attribuirono a fattori umani, gli «untori». Il cardinale Federico
Borromeo, pur non rinunciando a una processione solenne, con l’ostensione delle
reliquie di san Carlo Borromeo (che, fra l’altro, non produsse gli effetti
sperati perché i decessi invece di diminuire aumentarono) ritenne di aver
trovato un valido antidoto alla disgrazia nella solidarietà delle persone sane.
Per dare il buon esempio, inviò in prima linea i suoi ecclesiastici perché si
prodigassero nella sepoltura dei morti, nella cura degli ammalati e nell’aiuto
ai bisognosi. A guidarli c’era lo stesso cardinale, come ha scritto Alessandro
Manzoni in alcune stupende pagine dei Promessi Sposi.
Progressi e limiti della scienza
Da allora, comunque, il progresso della
scienza e della tecnica è stato incessante, la medicina è diventata preventiva
e curativa, la farmacologia ha messo a punto vaccini mirati ed efficaci, malattie
micidiali sono state debellate, la statistica annuncia ogni anno l’aumento
della speranza di vita dei nuovi nati, la qualità della vita registra ovunque
miglioramenti.
Fino a pochi mesi fa, l’umanità sembrava aver
dimenticato che una nuova epidemia è sempre in agguato in una qualsiasi parte
del mondo e che i vaccini disponibili possono non essere efficaci. Si viveva
come in un limbo autoprotettivo garantito da farmaci potenti, sistemi sanitari
efficienti, virologi e scienziati attenti a ogni indizio di malattia, industrie
farmaceutiche supertecnologiche pronte a intervenire in caso di bisogno. Grazie
ai vaccini, le epidemie si ritenevano debellate per sempre. Illusione o sottovalutazione
dei rischi? Probabilmente l’una e l’altra.
Infatti l’epidemia, anzi la pandemia, si è
ripresentata con insaziabile voracità e l’umanità intera si è scoperta nuda, impreparata,
senza barriere protettive, senza vaccini efficaci per contrastarla. Di fronte
al pericolo di una sua propagazione incontrollata e micidiale, non potendo
isolare e uccidere il virus, molti governi stanno cercando di contenerne la
diffusione invitando i cittadini a chiudersi in casa, vietando ogni tipo di
assembramento, chiudendo le scuole, i ritrovi, molti luoghi di lavoro,
lasciando al fronte solo medici, infermieri, virologi, scienziati, le forze
dell’ordine, i responsabili governativi.
Ragione e fede
E’ tornata la paura atavica? Forse. L’epidemia
è un «castigo di Dio»? Certamente no, anche se c’è ancora qualcuno che considera
il coronavirus «una delle piaghe inviate da Dio sugli uomini per convertirli».
No, se per definizione Dio è buono e signore della vita, non minaccia e per convertire
gli uomini fa appello solo alla libertà di ciascuno.
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Joseph Ratzinger |
D’altra parte è innegabile che questa pandemia
metta bene in luce la finitezza e la fragilità dell’essere umano, come pure i limiti
della scienza, che non riuscirà mai a superare l’ineluttabilità della morte.
Appare quindi comprensibile che di fronte al limite della scienza (ragione),
l’uomo cerchi attraverso la fede il vero senso della vita anche oltre la morte.
L’importante è che tra fede e ragione non ci siano né sovrapposizioni né
conflitti, ma complementarietà. Infatti, «la ragione senza fede non guarisce,
ma la fede senza la ragione diviene non umana» (Joseph Ratzinger).
Poiché il tempo di ogni epidemia è limitato,
l’ottimismo è ragionevole, non solo perché la scienza ha i mezzi per ottenere i
vaccini necessari, ma anche perché l’intesa tra ragione e fede sta producendo
come ai tempi di Federico Borromeo l’antidoto più umano che possa esistere, la
solidarietà interpersonale e intergenerazionale o semplicemente sociale. Se si
volesse considerare la pandemia come una «prova» per l’umanità, la si dovrebbe ritenere
superata solo nel segno della solidarietà. In questo momento molti segnali
fanno ben sperare che i tempi del coronavirus siano ricordati come i tempi di
una grande solidarietà sociale.
Giovanni Longu
Berna, 15.03.2020
Berna, 15.03.2020
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