02 maggio 2018

Tracce d'italianità nell'agglomerazione La Chaux-de-Fonds-Le Locle


Fin dal XVIII secolo, la tradizione orologiera italiana deve aver spinto qualche orologiaio a traferirsi nella regione orologiera svizzera di La Chaux-de-Fonds - Le Locle per apprendere o approfondire la fabbricazione dei grandi orologi dei campanili e degli edifici pubblici o delle pendole. Dalla seconda metà dell’Ottocento, tuttavia, la stragrande maggioranza degli italiani giunti nella regione non veniva impiegata nell’orologeria, ma soprattutto nell’edilizia. Dalla seconda metà del secolo scorso furono molti gli immigrati che andarono a rinforzare le maestranze delle numerose imprese di meccanica e micromeccanica. La crisi orologiera degli anni Settanta ha ridimensionato notevolmente la collettività italiana della regione, dove l’italianità rimane tuttavia fortemente radicata. 

Primi immigrati italiani e l’integrazione
La Chaux-de-Fonds, patrimonio mondiale dell'Unesco

A metà dell’Ottocento erano pochi gli italiani che varcavano i confini della Svizzera per addentrarsi nelle regioni a nord delle Alpi e del Giura. La regione di La Chaux-de-Fonds – Le Locle rappresentava un’eccezione perché già nel 1850 gli «italiani» provenienti quasi esclusivamente dal Regno di Sardegna sentirono il bisogno di costituire una società di mutuo soccorso. Negli anni seguenti vennero create altre associazioni.
Nel 1888, a La Chaux-de-Fonds, su una popolazione di 26.923 abitanti, vennero censiti 501 italiani provenienti prevalentemente dal nord (Piemonte, Lombardia, Veneto). Dalla fine dell’Ottocento cominciarono però ad arrivarne anche dal Mezzogiorno.
Gli italiani (e i ticinesi) immigrati in questa regione del Giura dovevano sentirsi ben integrati tra la popolazione locale, come dimostra questa notizia di cronaca. Quando si seppe della morte di Giuseppe Garibaldi (avvenuta il 2 giugno 1882 a Caprera) in tutta la Svizzera vennero organizzate manifestazioni commemorative. Un cronista osservò tuttavia che «ove la dimostrazione fu ancor più imponente, fu a Chaux-de-Fonds, a cui parteciparono, oltre le società italiane, le società patriotiche e la popolazione. Un imponente corteggio percorse le contrade principali della città, preceduto e scortato dal corpo dei cadetti colla propria musica. A capo del corteggio sventolava la bandiera italiana in mezzo alle bandiere svizzera e francese. Vennero pronunciati parecchi discorsi».
Si può ben ritenere che in questo periodo gli italiani, ancora pochi (370 a La Chaux-de-Fonds e 144 a Le Locle), fossero ben integrati. Il gruppo più consistente era addetto all’edilizia, ma erano abbastanza numerosi anche gli addetti all’orologeria; molti svolgevano attività artigianali e commerciali come falegnami, calzolai, gessatori, lattonieri, fabbri, commercianti, ecc. e alcuni di essi lavoravano in proprio.

Ondata d’immigrati sul finire dell’Ottocento
Sul finire dell’Ottocento e all’inizio del Novecento, quando l’industria orologiera si stava lanciando alla conquista dei mercati mondiali, la Chaux-de-Fonds e Le Locle sentirono il bisogno di adeguare alle nuove esigenze l’intera infrastruttura della regione. Per contribuire a questo grande sforzo di rinnovamento urbanistico ed edilizio furono chiamati centinaia e migliaia di immigrati italiani e ticinesi.
L’attività edilizia era frenetica, non solo per venire incontro alle esigenze della produzione orologiera (che richiedeva ambienti lavorativi particolarmente luminosi con ampie finestre), ma anche per far fronte all’incremento della popolazione. A La Chaux-de-Fonds, tra il 1850 e il 1900 essa fu particolarmente forte, passando da 12.638 a 35.968 abitanti. In quarant’anni, tra il 1850 e il 1890, erano state costruite nella città un migliaio di case; ma tra il 1891 e il 1914, dunque in metà tempo, ne furono costruite 300 in più.
Gli anni in cui si costruì maggiormente sono stati l’ultimo decennio dell’800 e il primo decennio del Novecento. Per avere un’idea dell’attività edilizia di quel periodo, basti ricordare che nell’estate del 1904 erano aperti una trentina di cantieri in cui lavoravano circa 1600 tra muratori e aiutanti. Quell’anno, agli italiani erano stati rilasciati 1162 permessi di soggiorno, l’anno precedente 938.

Problemi d’integrazione
Il risultato di questo vasto intervento edilizio riguardante l’intero agglomerato urbano delle due città orologiere di La Chaux-de-Fonds e Le Locle fu quello splendido paesaggio urbano che nel 2009 è stato riconosciuto a giusto titolo patrimonio mondiale dell’Unesco. E’ indubbio che una parte del merito per questo riconoscimento va agli italiani (e ai ticinesi) che fin dalla seconda metà dell’Ottocento hanno partecipato allo sviluppo urbanistico della regione.
Le Locle, patrimonio mondiale dell'Unesco
Questo risultato, l’apparente facilità di contatti e soprattutto il riconoscimento della bravura degli operai italiani non deve tuttavia trarre in inganno sui rapporti di lavoro e anche sui rapporti con la popolazione locale. Non erano certamente paragonabili a quelli di Berna o di Zurigo, ma esistevano anche a La Chaux-de-Fonds e a Le Locle molti conflitti sociali.
Nel 1904, per esempio, durante uno sciopero di muratori (in maggioranza italiani), sostenuto dal Partito socialista e dall’Unione operaia, si cercò in vari modi di dividere la classe operaia. 330 operai decisero subito di riprendere il lavoro, ma a condizione di essere protetti contro gli scioperanti, mentre altri 400 proseguivano lo sciopero. Per salvaguardare l’ordine in città e nei cantieri intervennero reparti dell’esercito col compito di fermare i disordini provocati da elementi anarchici che si erano infiltrati tra i lavoratori stranieri. Furono arrestati diversi scioperanti e alcuni vennero poi espulsi dalla Svizzera, a cominciare dal «presidente dello sciopero» Paolo Monaldeschi e altri quattro scioperanti: Zappa Angelo-Fedele, Varini Riccardo, Erbetta Giovanni-Antonio e Merlotti Ferruccio. A nulla servirono le proteste dei connazionali contro la misura presa dal governo, anche perché la solidarietà operaia era incompleta, in quanto, non tutti i muratori parteciparono allo sciopero, nemmeno tutti i ticinesi.
Va detto anche che ad urtare la sensibilità degli indigeni erano soprattutto certi comportamenti degli italiani ritenuti scorretti, soprattutto quando sembravano troppo sottomessi ai padroni, accettavano di lavorare a salari troppo bassi o quando cercavano di non pagare le imposte sottraendosi al controllo degli abitanti. Tra indigeni e italiani c’era spesso una diffidenza reciproca, che si ripercuoteva non solo nella difficoltà dei contatti reciproci, ma anche nella scarsità dei matrimoni misti, sebbene molti italiani fossero nati e cresciuti in Svizzera. Non si arrivò mai, tuttavia, a manifestazioni violente o forme di rigetto. 

La nuova immigrazione del secondo dopoguerra
Con lo scoppio della prima guerra mondiale il flusso immigratorio dall’Italia si affievolì praticamente fino alla fine della seconda guerra mondiale e cessarono i contrasti sociali. Se nel 1914 gli italiani a La Chaux-de-Fonds erano 1490, già nel 1915 erano scesi a 1350 (molti dovettero rientrare in patria per il servizio militare) e negli anni seguenti continuarono ancora a diminuire (1945: 711).
Il numero di italiani riprese a crescere incessantemente dopo la seconda guerra mondiale fino alla fine degli anni Sessanta. Nel 1950 a La Chaux-de-Fonds gli italiani residenti, esclusi gli stagionali, erano già 1090. Nel 1960 erano più che raddoppiati: 2544. Nel decennio successivo si registrò un ulteriore incremento. Nel 1970 vennero censiti 5783 italiani a La Chaux-de-Fonds e 2548 a Le Locle, complessivamente più di 8300 persone, senza contare diverse centinaia di stagionali.
La Chaux-de-Fonds era divenuta un centro industriale di prim’ordine. La popolazione in forte crescita esigeva nuove case, scuole, ospedali, centri culturali e museali. Gli italiani erano benvenuti. Nei cantieri e nelle fabbriche la lingua italiana era molto diffusa. Sempre più, tuttavia, gli italiani praticavano anche il francese, segno di una perfetta integrazione.
Dopo la crisi economica della metà degli anni ‘70 la regione perse numerosi impieghi e popolazione. Anche la collettività italiana andò ridimensionandosi a poco più di 5000 persone nel 1980 (3711 a La Chaux-de-Fonds e 1341 a Le Locle), a meno di 4000 nel 1990 (2970 e 1017) e a poco più di 3200 nel 2000 (2455 e 797). Questi dati, tuttavia, non danno l’idea della consistenza esatta di questa popolazione perché ormai molti italiani hanno la doppia nazionalità.

Italianità molto sentita
Giovane donna di Retuna (1822)
L’italianità è comunque ancora molto sentita. Alle elezioni dei Comites (Comitato degli italiani all’estero) del 1991 si recarono a votare ben 1192 italiani su poco più di 2800 elettori, collocandosi ben al di sopra della media nazionale (33,04%). E’ interessante notare come questa media nazionale sia precipitata nelle successive elezioni del 1997 (18,6%), ma non altrettanto a La Chaux-de-Fonds (27,05%) preceduta per tasso di partecipazione solo da Glarona (28,98%).
Oggi la presenza degli italiani tra le Montagne neocastellane, per quanto ridotta, è significativa perché molto integrata e viva, soprattutto attraverso l’associazionismo, le iniziative culturali, la lingua italiana ancora assai diffusa. Specialmente la Chaux-de-Fonds conserva numerose tracce d’italianità, ma una in particolare merita di essere ancora ricordata. La strada principale della città è dedicata a un grande cittadino, il pittore Léopold Robert (1794-1835), che ha avuto un grande legame con l’Italia. Dopo aver ottenuto un premio d’incisione a Roma nel 1814, nel 1818 si trasferì nella Città eterna, dove restò per 13 anni fino al 1831. Viaggiò molto in Italia prima di stabilirsi definitivamente a Venezia dove morì nel 1835.
Giovanni Longu
Berna, 2 maggio 2018

Nessun commento:

Posta un commento