Per capire il fenomeno svizzero occorre
ricordare che la Svizzera è una terra povera di materie prime, eppure è
divenuta nel secolo scorso uno dei Paesi più industrializzati del mondo. Per
secoli gli svizzeri hanno dovuto lottare per la loro sopravvivenza lavorando i campi, allevando
bestiame ed… emigrando. Poi la Svizzera ha dato lavoro a milioni di immigrati e
ora convivono in questo Paese oltre due milioni di
stranieri su una popolazione complessiva di poco più di 8 milioni di abitanti.
Nel 1945, pur essendo stata risparmiata dalle distruzioni della seconda guerra
mondiale, la Svizzera era ancora un Paese tra i più poveri d’Europa. Per
acquistare una sterlina occorrevano 17 franchi, ora basta 1 franco e 45
centesimi. Da molti anni ormai la Svizzera è tra i Paesi più ricchi e
sviluppati del mondo, gode di un diffuso benessere, è ai primi posti per
prodotto interno lordo per abitante.
Lavoro duro, costante e ingegnoso
Cosa ha fatto la Confederazione Svizzera per
rovesciare la situazione nell’arco di pochi decenni? Come si spiega questo
straordinario sviluppo? Rispondere adeguatamente a queste domande significa
riuscire a capire il dinamismo di un Paese che aveva posto già nella sua prima
Costituzione federale (1848) come obiettivo primario della Confederazione la
promozione della «comune prosperità» e ha aggiunto nell’attuale Costituzione
(1999) una precisazione che è tutto un programma «in modo sostenibile», ossia
pensando responsabilmente alle generazioni future.
Prima di abbozzare una risposta convincente mi
sembra opportuno sgomberare subito il terreno da quella risposta più volte
letta e sentita, ma senza fondamento, che lo storico François Garçon
attribuisce a «spiriti semplici e superficiali», ossia che «la ricchezza di
questo Paese non si spiegherebbe se non grazie alle montagne di risparmi
appartenenti a farabutti del mondo intero, venuti a creare depositi a Ginevra o
a Zurigo al solo scopo di sfuggire […] a una pressione fiscale troppo elevata
nel loro Stato». La ricchezza della Svizzera non è il risultato dei
demeriti altrui, ma dei meriti degli abitanti di questo Paese.
Il benessere raggiunto è frutto di decenni di lavoro
duro, costante e ingegnoso del popolo svizzero e delle masse di lavoratori
immigrati che l’hanno sempre affiancato per il raggiungimento di un ideale di
«comune prosperità», ispirato a un’idea illuminista e (forse un po’troppo)
ottimista di progresso che doveva alimentarsi dal costante sviluppo
dell’educazione, della scienza e della tecnica.
L’ideale della «comune prosperità»
All’origine del successo svizzero c’è dunque
anzitutto un ideale, quello della «comune prosperità». L’aggettivo qui è
altrettanto importante del sostantivo perché sta a significare che il benessere
generale può essere raggiunto solo col contributo di tutti, salvaguardando «la
coesione interna e la pluralità culturale del Paese». Indicando questo ideale,
la Costituzione federale, ricorda anche a tutti i cittadini che «la forza di un
popolo si commisura al benessere dei più deboli dei suoi membri» e che i
fruitori del benessere raggiunto non devono essere solo i contemporanei, ma
anche le future generazioni. Il benessere dev’essere sostenibile.
Occorre riconoscere che, pur con tutti i
difetti che si possono osservare nelle istituzioni e nei cittadini svizzeri,
fondamentalmente la Confederazione non ha mai deviato dall’ideale della comune
prosperità. L’ha perseguito con la stessa volontà con cui ha tenuto fede ai
suoi principi di neutralità e d’indipendenza e ben sapendo che senza di essa
anche la coesione nazionale sarebbe a forte rischio e il federalismo non
reggerebbe alle forti disparità cantonali e regionali. Ma la volontà da sola
evidentemente non basta, senza il sostegno delle conoscenze.
Come fare senza materie prime?
Per agganciare il progresso dei grandi Stati
europei la Svizzera non aveva altra scelta: in mancanza di materie prime e di
grandi industrie ha dovuto sviluppare quelle poche che aveva (i prodotti
dell’agricoltura, i corsi d’acqua e le montagne) ma soprattutto la materia
grigia, l’ingegno.
Già durante la fase preparatoria della prima
Costituzione, uno dei principali protagonisti della vita politica di allora e
futuro primo presidente della Confederazione, Jonas Furrer, (1805-1861) sosteneva
che la futura Confederazione dovesse promuovere, ad esempio, istituti per
l’insegnamento superiore, imprese che dessero alla patria «onore e benessere»,
costruzioni di strade e ferrovie e altre opere di grande utilità «a
testimonianza imperitura di quanto possano compiere l’entusiasmo, la forza e la
concordia di un popolo».
In questa prospettiva, già nel 1848 si decise
di dare alla Confederazione la competenza di creare una scuola politecnica
federale (in aggiunta alle università cantonali esistenti) per l’insegnamento
delle scienze e delle tecniche necessarie per tutte le professioni e in grado
di fornire le basi scientifiche per la realizzazione delle infrastrutture
(strade, ferrovie, canali, ecc.) indispensabili allo sviluppo economico.
La prima Scuola politecnica federale
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Politecnico fed. di Zurigo, uno dei più prestigiosi del mondo. |
Superate alcune divergenze cantonali, la
Scuola politecnica federale (oggi Politecnico federale, PFZ) venne fondata a
Zurigo nel 1855. Inizialmente era costituita da cinque dipartimenti
(architettura, ingegneria civile e meccanica, chimica e scienze forestali) e da
una sezione comprendente matematica, scienze naturali e cultura generale
(letteratura ed economia pubblica). Dopo un inizio piuttosto lento, il PFZ si
sviluppò incessantemente con nuove cattedre, nuovi docenti, nuovi edifici,
nuovi laboratori e un crescente numero di studenti (1000 verso il 1900 e oltre
2000 alla fine della prima guerra mondiale, oltre 15.000 in questi ultimi
anni). Anche la qualità dell’insegnamento è cresciuta costantemente, prova ne
sia il grande numero di Premi Nobel che si sono formati al suo interno: ben 21
per la fisica e la chimica, il più celebre dei quali porta il nome di Albert
Einstein (1921, per la fisica).
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Albert Einstein |
Parallelamente ai successi del Politecnico
federale di Zurigo, a cui si aggiunse nel 1969 il Politecnico federale di
Losanna (già istituto privato per la formazione degli ingegneri fondato nel
1853), cresceva anche la qualità delle dieci università cantonali e delle sette
scuole universitarie professionali, si sviluppavano nuovi istituti di ricerca
di grande prestigio internazionale (uno per tutti l’Istituto Paul Scherrer, fra
i maggiori centri di ricerca d'Europa con 1200 collaboratori e attrezzature
d’avanguardia), aumentava il numero degli studenti indigeni e stranieri (oltre
170.000 in 40 istituti superiori pubblici).
I successi di ieri e di oggi
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Padiglione svizzero all'Expo 2015 di Milano |
Una significativa rappresentazione di questo
orientamento la Svizzera l’ha fornita recentemente all’Expo 2015 di
Milano: una delle quattro torri del padiglione svizzero conteneva caffè, non
perché la Svizzera sia un produttore di caffè, anzi non lo è affatto, ma perché
è il più grande distributore europeo, tant’è che le esportazioni svizzere di
caffè superano addirittura quelle del cioccolato e del formaggio. Già cento
anni prima, tuttavia, all’esposizione nazionale di Berna avevano fatto bella
mostra di sé altri prodotti di trasformazione (estratti di carne, brodi
concentrati e simili) realizzati dall’imprenditore di origine italiana Julius
Maggi (1846-1912).
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Il padiglione Maggi all'esposizione nazionale di Berna 1914 |
Evidentemente si tratta di una strada maestra
che gli svizzeri hanno imboccato decisamente oltre un secolo e mezzo fa e che
sembra portare lontano. Molto lontano, anche in senso spaziale. Tanto è vero
che la Svizzera può essere considerata all’avanguardia in numerose ricerche spaziali,
grazie ai suoi ricercatori, ma anche ai due politecnici federali e agli
istituti di ricerca. Quando la sonda spaziale Rosetta si è posata il 12
novembre 2014 sulla cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko, dopo un avvicinamento
attraverso il sistema solare durato dieci anni, molti in Svizzera si sono
rallegrati perché a quel successo scientifico e tecnologico avevano partecipato
numerosi ricercatori svizzeri dell’università di Berna e di altri istituti e
ditte svizzere.
Sbaglierebbe tuttavia chi pensasse che la
Svizzera ha puntato tutto sull’insegnamento superiore e sulla ricerca avanzata.
Infatti, pur lasciando ai Cantoni ampia autonomia nel campo della formazione e
della cultura (con grave pregiudizio all’unità e al coordinamento
dell’insegnamento), la Confederazione ha promosso e sviluppato in tutto il
Paese un sistema di formazione generale di base efficiente e competitivo (si
pensi agli ottimi risultati conseguiti nei test internazionali tipo PISA) e un
sistema di formazione professionale ritenuto anche fuori della Svizzera
eccellente (gli apprendisti svizzeri si classificano ai primi posti nei
concorsi internazionali), tanto da spingere gli Stati Uniti a stipulare di
recente un accordo di cooperazione in questo campo. Per la sua efficacia questo
sistema merita senz’altro un approfondimento. (Segue)
Giovanni Longu
Berna 3.2.2016
Berna 3.2.2016
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