Il 9 dicembre scorso, in occasione del 50° anniversario dell’adesione della Svizzera al Consiglio d’Europa, l’Ufficio federale della cultura e la Direzione del diritto internazionale pubblico hanno organizzato un Convegno su «Le lingue minoritarie in Svizzera: tra diritti e promozione della diversità. Le sfide attuali nell’insegnamento delle lingue in Svizzera».
Il livello e la qualità del Convegno sono stati messi in
evidenza non solo dal pubblico molto numeroso e qualificato che gremiva la
grande sala del Municipio (Rathaus) di Berna, ma anche dalle relazioni e dagli
interventi dei rappresentanti di istituzioni (Consiglio federale, vari Uffici
federali, Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, Consiglio
di Stato del Cantone di Berna, Consiglio di Stato del Cantone Ticino), di
organizzazioni intercantonali, di associazioni d’insegnanti e del pubblico.
Contesto e contenuti
Il contesto era celebrativo, i 50 anni di adesione
della Svizzera al Consiglio d’Europa, il contenuto divisivo, com’è ormai
da anni quando si discute del plurilinguismo elvetico, vanto per chi vorrebbe
ancora diffondere nel mondo la bella immagine di una Svizzera coesa, plurilingue
e pluriculturale, preoccupazione per tutte le rappresentanze delle lingue
minoritarie che vedono a malincuore la perdita costante di attrattiva e di
utenti soprattutto dell’italiano, del romancio ma anche del francese.
Friedrich Dürrenmatt, in un discorso del 1° agosto
1967, diceva a proposito dei rapporti tra i vari gruppi linguistici e culturali
che compongono la Svizzera: «il rapporto non è buono, anzi di per sé non esiste
alcun rapporto. Abitiamo gli uni accanto agli altri, ma non insieme. Quel che
manca è il dialogo, il colloquio, la curiosità reciproca, l’informazione». Da
allora ad oggi, purtroppo, non si sono fatti molti passi avanti, anzi,
sembrerebbe, se ne sono fatti parecchi indietro.
In numerosi interventi sullo stato e sull’insegnamento delle
lingue minoritarie, specialmente del romancio e dell’italiano, sembrava quasi
di sentire l’eco delle parole di Dürrenmatt. In effetti, le lingue minoritarie
non godono oggi salute migliore che ai tempi del grande scrittore svizzero; stanno
infatti perdendo sempre più il carattere nazionale e attrattiva tra gli studenti
liceali svizzeri. Fuori del Ticino è sempre più difficile incontrare giovani di
seconda generazione italiani e ticinesi che sanno ancora parlare discretamente
l’italiano. L’italiano, come il romancio, si riduce sempre più a lingua
regionale (Svizzera italiana). La stessa sorte toccherà al francese: nella Svizzera
tedesca solo in pochi Cantoni ha una percentuale di parlanti superiore all’uno
per cento; fa eccezione Basilea Città con il 2,5%.
Lingue minoritarie e regionali
L’italiano però sta peggio perché non ha la massa critica
del francese, sebbene nella Svizzera tedesca e nei Cantoni plurilingui presenti
generalmente percentuali superiori al 2 per cento, con punte del 10,2% nei
Grigioni e del 4,4% a Glarona. Il grosso handicap dell’italiano è che diminuiscono
sempre più gli italofoni (in seguito al rientro di molti italiani di prima
generazione e alla totale integrazione di molti italiani e ticinesi di seconda
generazione) e l’offerta dell’italiano nelle scuole pubbliche si riduce
costantemente.
Proprio questa riduzione dell’offerta ha provocato un
vigoroso intervento del consigliere di Stato ticinese Manuele Bertoli,
in difesa del plurilinguismo e della primogenitura dell’italiano come lingua
nazionale e ufficiale insieme al tedesco e al francese, fin dalla costituzione
dello Stato federale (1848). Oltretutto, egli ha denunciato, questa
trascuratezza della lingua di Dante avviene violando le regole che disciplinano
l’insegnamento delle lingue nazionali in Svizzera. Basta dunque, ha insistito
Bertoli, con questa inosservanza da parte di numerosi Cantoni svizzero-tedeschi,
ultimo della serie Obvaldo, e basta con le parole («inutile anche
organizzare convegni sulla necessità di promuovere le lingue minoritarie»): è
tempo di passare ai fatti, cominciando dal mantenimento dell’italiano quale
lingua di maturità in ogni liceo svizzero.
Cercare le motivazioni
A sostegno dell’intervento del consigliere Bertoli si sono
levate diverse voci del pubblico e di alcuni relatori, ma a mio parere non si è
fatto ancora alcun passo avanti rispetto alla situazione attuale e alla
tendenza ormai sotto gli occhi di tutti. Del resto nemmeno Bertoli ha
affrontato il tema della motivazione necessaria per imparare una lingua, aldilà
delle considerazioni piuttosto ovvie della coesione nazionale, dei diritti
delle lingue minoritarie, della primogenitura della lingua italiana e simili argomentazioni,
utili ma non sufficienti.
La verità è che le motivazioni per apprendere l’italiano a
livello di grande pubblico scarseggiano perché l’italiano, come diceva un
ambasciatore d’Italia in Svizzera alcuni anni fa, non è o non sembra
spendibile, anche in termini di convenienza economica.
Credo che la soluzione del problema dell’italiano non vada
tanto cercato invocando nuove ordinanze federali o nuove leggi sulle lingue
nazionali, ma piuttosto ricercando le giuste motivazioni per la salvaguardia di
una lingua che non è solo una lingua. Ha detto bene, nel suo discorso
inaugurale del Convegno, il Consigliere federale Alain Berset: «una
lingua non è solo una lingua. Una lingua è più di una lingua. Essa rappresenta
una cultura, esprime una maniera di vedere il mondo…».
In effetti, quando si parla di difesa della lingua italiana
non si dovrebbe mai dimenticare che a questa lingua è legata strettamente una cultura
vivente di ampia portata e anche una parte assolutamente non
trascurabile della storia svizzera. Dimenticarla, considerarla secondaria e
peggio ancora abbandonarla sarebbe un errore gravissimo.
Giovanni Longu
Berna, 18.12.2013
Berna, 18.12.2013
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