18 agosto 2010

L’Italia e i veleni d’agosto

Non intendo entrare nel merito delle controversie che stanno logorando la maggioranza parlamentare italiana, perché sarebbe troppo facile riesumare il pensiero manzoniano dei Promessi Sposi, secondo cui la ragione e il torto non si dividono mai con un taglio così netto, che ogni parte abbia soltanto dell'una o dell'altro. Ad un osservatore lontano dalla scena politica italiana, perché vive in Svizzera, non può tuttavia sfuggire che l’intera classe politica italiana non sta dando una bella immagine di sé, sia la parte che costituisce (ancora) la maggioranza e sia la parte avversa. Tant’è che, con un giudizio purtroppo sommario espresso da un lettore di un quotidiano ticinese, la situazione italiana appare a molti come di una «Italia allo sfascio».
Evidentemente l’Italia nel suo complesso ha mille risorse e sicuramente in una sorta di contabilità ideale gli attivi superano abbondantemente i passivi, ma non altrettanto credo si possa dire per la classe politica, sempre più casta e sempre meno servizio pubblico. Rincresce soprattutto che a prevalere siano soprattutto interessi di parte e una concezione opportunistica e individualistica della politica da parte di troppi galletti che riescono con le loro polemiche spesso pretestuose e i loro comportamenti a spargere veleni e oscurare quel bene che Parlamento, Governo e Magistratura riescono ancora a produrre. Non c’è dubbio, infatti, che anche solo riuscire a tenere in piedi un Paese schiacciato da un enorme debito pubblico e attraversato da mille pericoli rappresenta un buon risultato da non minimizzare.
Purtroppo, in Italia, certi politici sembrano incarnare solo una funzione disfattista e, privi di un sano equilibrio e incapaci di riconoscere quel po’ di bene che riesce a realizzare l’avversario, pur di vederlo finir male sono disposti persino a stringere alleanze col diavolo. Per giustificare le loro sfrenate ambizioni personali e anestetizzare la loro cattiva coscienza, molti politici si appellano a un senso di legalità e moralità che apparterrebbe a loro ma non agli avversari. Sono a mio parere cattivi politici perché indossando le vesti del magistrato (che magari anni addietro avevano appeso al chiodo) o addirittura le vesti del prete e del moralista usurpano funzioni che a loro non competono e dimenticano, anzi tradiscono, quella che dovrebbe essere la loro funzione principale: collaborare perché le istituzioni rispondano al meglio alle esigenze della società.

Rispetto della volontà popolare
Molti politici dimenticano anche che sono stati eletti «per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale», ossia per contribuire alla soluzione dei problemi del Paese e non per mettere continuamente i bastoni fra le ruote o addirittura per cercare di rovesciare con ogni mezzo il governo in carica. Questo non vuol dire che un gruppo parlamentare o l’intera opposizione non possa cercare di sostituire l’attuale governo con un altro ritenuto più idoneo. La Costituzione non lo esclude, come non esclude che un parlamentare eletto in uno schieramento possa passare in un altro. Infatti «ogni membro del Parlamento rappresenta la nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato» (art. 67). Sotto questo profilo dunque non è affatto scandaloso ipotizzare in Parlamento una maggioranza diversa da quella attuale.
D’altra parte, non dovrebbe apparire scandaloso nemmeno ipotizzare il ricorso a nuove elezioni qualora l’attuale maggioranza dovesse venir meno. Non va infatti dimenticato che gli elettori non hanno eletto semplicemente singole persone da inviare in Parlamento, ma hanno scelto al tempo stesso schieramenti antagonisti e alternativi sul piano dei programmi di governo. Qualunque cambio di maggioranza che dovesse stravolgere anche i programmi di governo sanciti dai cittadini col voto libero e democratico non sarebbe accettabile perché a mio modo di vedere violerebbe il principio della sovranità popolare sancito all’articolo 1 della Costituzione.
Coloro che dalla mattina alla sera si riempiono la bocca appellandosi al bene comune per autogiustificare la propria mania di grandezza non si rendono conto (ma gli elettori dovrebbero tenerlo a mente al momento opportuno) che stanno tradendo letteralmente la volontà popolare che con le elezioni ha voluto una maggioranza e un governo per l’intera legislatura. Il rischio di dittatura in un Paese democratico non viene da chi si mantiene dentro il mandato ricevuto dagli elettori, ma da chi pretende di sostituirlo con un altro confezionato nelle cucine dei partiti o dei poteri forti.
Per una composizione delle attuali diatribe all’interno della maggioranza e tra questa e l’opposizione non vedo altra soluzione che quella di riferirsi prima ancora che alla Costituzione alla volontà popolare espressa con le elezioni politiche. In una democrazia compiuta questa volontà va considerata sacra e inviolabile e chiunque la violi, con pretese non previste né nell’elezione né nella Costituzione, dovrebbe essere privato del mandato di rappresentanza ricevuto.
Giovanni Longu

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