28 settembre 2016

Svizzera e Italia a confronto (1a parte)



FESTA NAZIONALE: PERCHÉ IL 1° AGOSTO E IL 2 GIUGNO?

La Festa nazionale svizzera avrebbe potuto essere il 12 settembre perché quel giorno, nel 1848, con l’approvazione della prima Costituzione federale, nacque la moderna Confederazione. La Svizzera, invece, preferisce ricordare la data del 1° agosto, anniversario della  nascita della vecchia Confederazione avvenuta, secondo un antico documento, «nei primi giorni d'agosto del 1291». Diversamente, l’Italia, celebra la Festa nazionale il 2 giugno, anniversario della scelta repubblicana nel referendum del 1946 e non il 4 marzo, giorno in cui, nel 1848, Carlo Alberto di Savoia emanò lo Statuto albertino o il 17 marzo, in ricordo della proclamazione dell’Unità d’Italia (17 marzo 1861).
Perché il 1° agosto e il 2 giugno?

La Svizzera scelse la continuità
Testo della Costituzione federale
sottoposto a referendum nel 1848
Per rispondere a questa domanda bisogna ricordare il momento storico in cui è nata la moderna Confederazione. Allora in Europa erano in corso numerosi cambiamenti, frutto soprattutto di rivoluzioni. In Svizzera era stato appena soffocato un principio di divisione e di guerra civile. Celebrare la vittoria di alcuni Cantoni su quelli sconfitti avrebbe significato alimentare ulteriormente i contrasti. Quando si discusse quale data esprimesse meglio il senso di unità della nazione e l’amor patrio, il Consiglio federale (governo) preferì, in un messaggio all’Assemblea federale (parlamento) del 1889, la data del 1° agosto per la Festa nazionale.
Certamente anche il 12 settembre entrava in linea di conto per la scelta definitiva, perché il 12 settembre 1848 era intervenuto un cambiamento radicale nella storia svizzera, col passaggio dalla vecchia Confederazione costituita da un’alleanza tra Cantoni liberi e indipendenti, spesso in contrasto fra loro, alla moderna Confederazione fondata su una Costituzione federale vincolante per tutti. Questa data fu lasciata cadere (e ancora oggi è poco conosciuta dagli svizzeri) e si preferì, come detto, il 1° agosto in ricordo di quel mitico 1° agosto 1291, in cui, ufficialmente, furono gettate le basi della Confederazione Svizzera. 1un elemento di unione e di slancio popolare verso una patria libera e coesa. Oltretutto, in questa maniera, si voleva manifestare che la moderna Confederazione era in continuità con la vecchia, non in contrasto.

L’Italia ha preferito la discontinuità
L’Italia ha preferito la data del 2 giugno per marcare, invece, il cambiamento di regime da monarchia a repubblica. Ha inteso segnare la discontinuità non solo col fascismo, ma anche con la monarchia, tanto è vero che nella nuova Costituzione repubblicana (entrata in vigore l’1.1.1948) ben poco è stato conservato dello Statuto albertino, emanato da Carlo Alberto di Savoia il 4 marzo 1848 quale «legge fondamentale, perpetua ed irrevocabile della Monarchia». Chi ricorda più questa data? Eppure quello Statuto è stato alla base dell’ordinamento del Regno d’Italia per quasi cent’anni. Si è preferito collegare, soprattutto nei libri di storia per la scuola dell’obbligo, l’Italia repubblicana principalmente ai valori della Resistenza e solo secondariamente allo spirito risorgimentale (per es. l’Inno di Mameli, il tricolore, le figure di Vittorio Emanuele II, «Padre della Patria», e di altri eroi del Risorgimento).
Recentemente, tuttavia, con una legge del 2012 (art. 1, comma 3, legge 23 novembre 2012, n. 222) si è cercato di richiamare alla memoria popolare almeno la data dell’Unità d’Italia, probabilmente per contrastare i vari movimenti indipendentisti che stavano prendendo piede in quegli anni in Italia. Essa recita, fra l’altro: «La Repubblica riconosce il giorno 17 marzo, data della proclamazione in Torino, nell'anno 1861, dell'Unità d’Italia, quale “Giornata dell'Unità nazionale, della Costituzione, dell'inno e della bandiera”, allo scopo di ricordare e promuovere, nell'ambito di una didattica diffusa, i valori di cittadinanza, fondamento di una positiva convivenza civile, nonché di riaffermare e di consolidare l'identità nazionale attraverso il ricordo e la memoria civica». Francamente non conosco i risultati di questo tentativo, ma ho forti dubbi sulla sua riuscita.

Referendum e plebisciti
Restando sul terreno delle analogie e delle differenze, vorrei segnalare (anche perché di tanto in tanto torna di attualità) la maniera, apparentemente simile, con cui si è giunti in Svizzera alla moderna Confederazione (1848) e in Italia dapprima all’unificazione (17 marzo 1861) e poi all’adozione della Costituzione repubblicana. In entrambi i casi si trattò di una votazione popolare, ma le modalità con cui avvenne in Svizzera e in Italia, anche alla luce dei risultati, erano molto differenti.

Il referendum svizzero del 1848
In Svizzera si giunse all’approvazione della Costituzione federale del 1848 con un referendum popolare che ebbe luogo in tutti i Cantoni, ad eccezione di quello di Friburgo, dove ad approvarla fu l’assemblea legislativa (Gran Consiglio). Non ci fu un’approvazione unanime del testo proposto (sebbene contenesse solo disposizioni generali, composizione e competenze delle autorità federali e principi per riformare la Costituzione, già discussi e concordati nella commissione «costituente»), soprattutto perché in alcuni Cantoni, per lo più cattolici e conservatori, si era tendenzialmente ostili a qualsiasi forma di centralismo. La libertà di voto fu comunque il segno di una società libera e democratica, anche se a quei tempi non esisteva ancora il suffragio universale.
La percentuale dei votanti a favore della Costituzione variava dal 62% del Cantone di Soletta al 100% di quello di Glarona (in cui si votò per alzata di mano durante un’apposita assemblea popolare in piazza, la Landsgemeinde; evidentemente agli scrutatori era sembrato che tutti l’avessero alzata per il sì), seguito col 95% dal Cantone di Neuchâtel. Complessivamente la Costituzione fu accettata dal 72,8% dei votanti. Nei Cantoni che votarono contro, la percentuale dei no variava tra un minimo del 60% (Vallese) e un massimo del 97% (Obvaldo). Il Cantone Ticino la respinse col 73% di no.
Quando il 12 settembre 1848 la Dieta (costituita da tutti i rappresentanti dei Cantoni) dichiarò che la Costituzione era stata «accettata e riconosciuta come legge fondamentale della Confederazione Svizzera», precisò anche che era stata adottata «da quindici Cantoni e mezzo, rappresentanti insieme una popolazione di 1.897.887 anime, per conseguenza la grande maggioranza dei cittadini attivi, così come la gran maggioranza dei ventidue Cantoni». Con quella dichiarazione nasceva il nuovo Stato federale, perché fondato su una Costituzione valida per tutti, Popolo, Cantoni e Confederazione, e fondata su una nuova forma di democrazia in cui la maggioranza vince ma il diritto all’opposizione è garantito e rispettato.

I plebisciti italiani (1848-1870)
In Italia, com’è noto, si giunse all’Unità non attraverso una libera adesione dei vari Stati in cui era suddivisa l’Italia nel 1848, ma attraverso l’annessione prima al Regno di Sardegna e poi al Regno d’Italia, ratificata successivamente da plebisciti. Quanto fossero diversi i plebisciti italiani dal referendum svizzero lo provano le percentuali dei sì all’adesione, che sfiorava quasi sempre il 100% dei voti espressi) e l’esiguità dei voti contrari. Percentuali impossibili se avessero votato tutti coloro che ne avevano diritto e se avessero potuto votare liberamente!
Italia: vittoria della Repubblica al referendum del 2.6.1946
Senza nulla togliere agli ideali patriottici risorgimentali e alla lungimiranza di numerosi politici dell’epoca, la letteratura sui «fatti e misfatti» del Risorgimento si arricchisce sempre di più. Esistono, in diverse Regioni, sia al nord che al sud, movimenti autonomisti che non riconoscono la maniera con cui fu raggiunta l’Unità d’Italia, compresi i plebisciti.
Giusto per citare qualche esempio, ancora recentemente, durante il suo tradizionale raduno di Pontida, la Lega Nord ha ribadito il suo impegno a lottare «per la libertà del nord dall’oppressione del centralismo italiano», ricordando ai militanti che l’obiettivo resta la secessione della Padania.
Altro esempio: il 6 settembre scorso il Corriere della Sera ricordava che la Regione Veneto, per «festeggiare» i 150 anni del Plebiscito del 1866 (subito dopo l’annessione al Regno d’Italia), aveva fatto distribuire provocatoriamente alle biblioteche un libro intitolato: «1866, La grande truffa». Al Veneto, infatti, era stata attribuita ufficialmente una percentuale di sì all’adesione del 99,99%; i voti contrari sarebbero stati 69!
Il Veneto non è tuttavia la sola regione italiana ad avere brutti ricordi dell’annessione al Regno d’Italia. Anche Genova non l’ha dimenticato, tanto è vero che il 26 novembre 2008, il consiglio comunale di Genova, su richiesta del Movimento indipendentista ligure, ha fatto apporre sul marciapiede di fronte alla grande statua del re Vittorio Emanuele II, in Piazza Corvetto, una targa con questa scritta: «nell'aprile 1849 / le truppe del re di Sardegna Vittorio Emanuele ii / al comando del generale Alfonso La Marmora / sottoposero l'inerme popolazione genovese / a saccheggi bombardamenti e crudeli violenze / provocando la morte di molti pacifici cittadini / aggiungendo così alla forzata annessione / della repubblica di Genova al regno di Sardegna del 1814 / un ulteriore motivo di biasimo / affinché ciò che è stato troppo a lungo rimosso / non venga più dimenticato / il comune di Genova pose».
Tra le Regioni che non dimenticano c’è anche la Sardegna, come si vedrà nel prossimo articolo. (Segue)
Giovanni Longu
Berna, 28.09.2016