02 marzo 2016

Capire la Svizzera: 17. Radici cristiane della Svizzera

El Greco, Martirio di San Maurizio

Sono profonde le radici cristiane della Svizzera e inconfondibili sono i frutti dell’albero che da esse continua a trarre linfa vitale. Impossibile eliminare dalla storia svizzera Saint-Maurice, San Gallo, San Nicolao della Flüe, ma anche Zwingli, gli Agostiniani, i Gesuiti, ecc. Impossibile negare il ruolo fondamentale svolto dalla religione nella formazione dell’identità nazionale degli svizzeri. Anche oggi, nonostante il processo di secolarizzazione e la crescente «non appartenenza», quell’albero è sempre vivo come dimostrano i numerosi fedeli che frequentano i vari culti, ma anche i milioni di turisti che visitano cattedrali e abbazie sparse in tutta la Svizzera.

Capire la Svizzera significa anche rendersi conto che senza la componente cristiana molte città svizzere avrebbero un altro volto, la stessa Confederazione sarebbe molto diversa, molte tradizioni non esisterebbero, la Svizzera non avrebbe il suo simbolo, la croce.

Il sangue dei martiri seme di cristiani
Quando la romanizzazione era già una realtà consolidata in gran parte dell’attuale territorio svizzero, come stava avvenendo in altre regioni dell’Impero, anche nel territorio degli Elvezi il cristianesimo cominciò a penetrare e a diffondersi attraverso legionari e cives romani convertiti e grazie a predicatori coraggiosi del Vangelo.
Tra i legionari convertiti, la tradizione ricorda in particolare la Legione tebana (o tebea), che non ebbe nemmeno il tempo di insediarsi sul territorio elvetico perché venne annientata, intorno al 286, non dai barbari ma dagli stessi romani pagani obbligati dall’imperatore Massimiano a fare sacrifici agli dei e a perseguitare i cristiani.
Il martirio dei soldati comandati da Maurizio e dei pagani convertiti non arrestò tuttavia la penetrazione del cristianesimo in territorio elvetico, anzi la rinforzò. Si sa infatti che verso la fine del III secolo era già molto diffusa la venerazione dei legionari martirizzati nella regione dell’attuale Saint-Maurice, confermando il famoso detto di Tertulliano, secondo cui «il sangue dei martiri è seme di cristiani».
Anche se mancano testimonianze dirette della presenza di comunità cristiane prima del 313, l’anno in cui l’imperatore Costantino dichiarò il cristianesimo religione ufficiale dell’Impero, molti racconti (benché in parte leggendari) riferiscono di monaci, eremiti, luoghi di culto che fanno pensare quanto meno a una cristianizzazione in atto della Svizzera.

Rapida diffusione dopo il 313
Dopo il 313 il cristianesimo e con esso la venerazione dei santi si diffuse in Svizzera un po’ ovunque, come dimostrano ancora oggi le numerose chiese e cappelle dedicate ai santi massacrati insieme a Maurizio (Esuperio, Candido, Innocenzo, ecc.) o sfuggiti miracolosamente al massacro come Orso, Vittore, Felice e Regula.
Basilica di Saint-Maurice
Le comunità cristiane si moltiplicarono dapprima rapidamente, approfittando delle strutture romane, soprattutto nella parte occidentale del Paese. Ovunque (a Saint-Maurice, Ginevra, Martigny, Sion, Romainmôtier, Payerne, Friburgo, Berna, Zurzach, Basilea, ecc.) sorsero chiese, cappelle, monasteri. La costruzione di luoghi di culto e di conventi si estese successivamente anche nella parte centrale e orientale, meno romanizzata (Zurigo, Einsiedeln, Engelberg, Muri, Lucerna, Sant’Urbano, Rheinau, San Gallo, ecc.), nonché nei Grigioni (Coira, Disentis, Müstair) e nel Ticino (Riva San Vitale, Biasca, ecc.).
Dal IX secolo, le storie dei santi venivano spesso arricchite di particolari leggendari atti a ravvivare la devozione popolare. Essi riguardavano in particolare i martiri della Legione tebana, ma anche altri santi e sante come per esempio santa Verena, venerata in diverse regioni della Svizzera.
Secondo una leggenda risalente al XIII secolo, uno dei primo monaci giunti in Svizzera già nel primo secolo sarebbe stato il monaco irlandese Beato, incaricato dallo stesso apostolo Pietro di recarsi in Svizzera. La leggenda racconta anche che dalle grotte che portano il suo nome («Grotte di San Beato»/Beatushöhlen, oggi celebre meta turistica), sul Lago di Thun, avrebbe scacciato un malefico drago che terrorizzava la regione. Ben presto quei luoghi divennero un importante luogo di pellegrinaggio.

Diffusione dei santi patroni
Sta di fatto che, col passare dei secoli, il numero dei santi venerati crebbe enormemente e praticamente ogni parrocchia, ogni diocesi (che raggruppava un certo numero di parrocchie) e, dal XII-XIII secolo, ogni città e Cantone si diedero un santo patrono. Tra i primi, oltre a San Maurizio (venerato non solo nel Vallese, ma anche in altri Cantoni) si possono ricordare i Santi Orso e Vittore (patroni di Soletta), Felice e Regula (patroni di Zurigo), San Teodulo o Teodoro (patrono di Martigny, della diocesi di Sion e del Vallese), San Gallo (patrono di San Gallo), San Nicola (patrono di Friburgo), San Leodegario (patrono di Lucerna insieme a san Maurizio), San Fridolino (patrono del Cantone di Glarona), San Lucio (patrono di Coira), Sant’Enrico (patrono di Basilea), San Vincenzo (patrono di Berna), San Carlo Borromeo (patrono del Ticino), ecc.
San Nicolao della Flüe
Nel Medioevo, almeno inizialmente, il patrocinio dei santi corrispondeva a un sentito bisogno della devozione popolare di avere santi protettori e intercessori. Ben presto, tuttavia, alcuni santi patroni divennero simbolo di un potere giuridico e politico sempre più evidente. La festa del santo patrono era spesso una ricorrenza non solo religiosa, ma anche importante sotto l’aspetto sociale, economico, tributario e persino giudiziario.
Un cenno particolare merita il patrono della Svizzera San Nicolao della Flüe (1417-1487) perché oltre alla santità i contemporanei gli riconobbero una straordinaria autorevolezza. In effetti egli svolse un ruolo determinante come mediatore nel processo di riconciliazione tra Cantoni in lotta tra loro. Durante l’assemblea dei delegati cantonali (Dieta) a Stans nel 1481, il suo intervento in cui invitava tutti a «non allargarsi troppo» fu bene accolto e almeno nell’immediato i contrasti vennero appianati. Qualche tempo dopo, Fratel Nicolao, Bruder Klaus, come veniva chiamato, scrisse un lettera ai signori del Cantone di Berna ricordando loro che «la pace è sempre in Dio, perché Dio è la pace e la pace non può essere distrutta, ma la discordia è distrutta. Cercate dunque di conservare la pace».

Religione e politica: nascita della Confederazione
Il richiamo a Dio, nella politica, non era raro anche sul finire del Medioevo, ma costituiva invece una costante nei secoli precedenti quando politica e religione formavano un binomio quasi inscindibile, nel bene e nel male. Era l'epoca della piena affermazione della società cristiana, delle cattedrali e delle prime università, della diffusione in Europa di numerosi ordini monastici, ma anche delle lotte tra Occidente e Oriente, tra Papato e Sacro Romano Impero, tra Comuni e imperatore. 
Era anche l’epoca in cui si stava formando la Confederazione, la cui data di nascita ufficiale, o perlomeno il suo battesimo, furono stabiliti nel 1291. Dunque non deve suscitare meraviglia se essa è impregnata fin dall’inizio di cristianesimo, ma anche di forti contrasti.
Effettivamente, la sua nascita (o perlomeno il suo battesimo) venne inserita fin dalle prime cronache (per es. il Libro bianco di Sarnen risalente al 1470) in un contesto religioso, il giuramento del Grütli e il primo atto pubblico attestante il patto sancito «l'anno del Signore 1291, al principio del mese d'agosto» («Patto federale») non poteva prescindere dall’invocazione a Dio («Nel nome del Signore, così sia»), anche perché doveva durare «se il Signore lo consente, in perpetuo».
Erano anche tempi difficili perché i Comuni lottavano per la loro indipendenza dal potere dell’imperatore. Anche in Svizzera le comunità valligiane e le città cercavano di sottrarsi in tutti i modi, anche con le armi, al dominio imperiale. Era una lotta destinata a durare e interessò evidentemente numerosi protagonisti.
Di fatto, per secoli la storia civile, politica e militare dei Cantoni svizzeri si è intrecciata con la storia di conventi, abbazie, ordini religiosi, capitoli (ossia corporazioni formate dal clero attivo di una diocesi), principi abati, vescovi principi e persino Stati vescovili (come la Rezia curiense fino al IX secolo) e leghe cattoliche. Nei Grigioni, fin dal XV secolo dominavano le Leghe, una delle quali era chiamata nientemeno che «Casa di Dio» (dal romancio Lia da la Chadé) ed ebbe importanza fino al 1854 anche nell’ambito dell'organizzazione politica del nuovo Cantone dei Grigioni. Nel frattempo, tra il 1845 e il 1847, un’altra lega, ben più importante, aveva messo a rischio la tenuta della sostanziale pace religiosa intervenuta dopo la Riforma tra cattolici e protestanti e addirittura la tenuta della stessa Confederazione. Era la «Lega separata» (Sonderbund) dei sette Cantoni conservatori cattolici di Lucerna, Uri, Svitto, Untervaldo, Zugo, Friburgo e Vallese. Data la sua importanza, merita un approfondimento. (Segue)
Giovanni Longu
Berna, 2 marzo 2016

01 marzo 2016

No all’automatismo delle espulsioni, ma resta ancora molto da fare



All’indomani di ogni votazione è inevitabile la domanda: «chi ha vinto e chi ha perso?», soprattutto se il tema da decidere è di quelli sensibili come l’espulsione automatica dei criminali stranieri condannati. Questo era infatti uno dei temi in votazione in Svizzera il 28 febbraio scorso. 

Mi sembra tuttavia troppo semplicistico rispondere che, in democrazia, vince sempre la maggioranza, ossia chi prende più voti, e perde la minoranza che ne prende di meno. Una legittima curiosità vorrebbe un’identificazione dei vincitori e degli sconfitti con i partiti politici, ma questo non è sempre possibile, perché per ogni oggetto in votazione si possono creare maggioranze e minoranze diverse e uno stesso partito può far parte della maggioranza in un caso e della minoranza in un altro.
Personalmente preferisco un altro approccio, chiedendomi pure chi ha vinto e chi ha perso, ma soprattutto le motivazioni che hanno determinato nel caso specifico la maggioranza che ha respinto con il 58,9% di voti l’iniziativa dell’Unione democratica di centro (UDC) e la minoranza che la sosteneva.

Ha vinto la democrazia
Anzitutto mi piace far notare che in questo Paese vince sempre e comunque la democrazia perché il popolo svizzero, chiamato periodicamente a esprimere il suo assenso o dissenso anche su temi scottanti, si reca alle urne generalmente bene informato e decide liberamente senza sentirsi obbligato a seguire le parole d’ordine dei partiti, delle chiese, dei sindacati e dello stesso Parlamento rappresentativo.
Non oso immaginare quali sarebbero i risultati se analoghi quesiti venissero proposti al voto popolare in altri Paesi, per esempio in quelli che attorniano la Svizzera. Qui il popolo svizzero, con una sorprendentemente alta partecipazione (63,4%), ha respinto con il 58,9% di voti l’iniziativa popolare dell’Unione democratica di centro (UDC) che voleva un certo automatismo delle espulsioni degli stranieri criminali. Le percentuali sarebbero state molto più alte nei Paesi vicini?
Per cercare di cogliere le motivazioni che hanno spinto l’elettorato a respingere l’iniziativa UDC mi sembra opportuno ricordare che nella votazione del 28 novembre 2010, vertente anch’essa sull’espulsione dei criminali stranieri (ma senza esigere l’automatismo), il popolo svizzero aveva accettato con la maggioranza del 52,9% l’oggetto in votazione.
Poiché a proporre entrambe le iniziative sono state le stesse forze politiche, con in testa l’UDC, il diverso risultato del 2010 e del 2016 mi fa dire anzitutto che il popolo svizzero non è condizionato dai partiti e non è sempre disposto a premiare il partito di maggioranza (alle ultime elezioni dello scorso anno l’UDC è risultato il primo partito svizzero), ma giudica e decide con la testa non con la pancia, alla luce di molteplici considerazioni.

Motivi del rigetto
E’ probabile, per esempio, che la maggioranza dei votanti abbia ritenuto sufficiente la decisione del 2010 (che prevedeva leggi, ordinanze d’applicazione e decisioni dei tribunali per attuare un’espulsione) ed esagerata la proposta del 2016 di inserire nella Costituzione una sorta di espulsione automatica (per certe tipologie di reati, anche di lieve gravità se ripetuti). Se ciò fosse vero (e personalmente ne sono convinto) sbaglierebbe chi pensasse a una sorta di addolcimento del popolo svizzero nei confronti dei criminali stranieri, come se avesse cambiato idea in questi ultimi anni nei loro confronti. L’elettorato che si è recato a votare sapeva infatti benissimo, anche perché la ministra della giustizia Simonetta Sommaruga l’ha ripetuto più volte, che sta per entrare in vigore una legge federale sulle espulsioni tra le più severe in Europa. Proprio per questo ha ritenuto inutile e forse dannosa la nuova iniziativa dell’UDC.
Credo inoltre che il popolo svizzero, notoriamente moderato e sostanzialmente conservatore, non ami affatto tutte quelle proposte innovative che potrebbero sconvolgere la vita sociale o le istituzioni consolidate da tempo. Certamente molti dei votanti hanno ritenuto che l’accettazione dell’iniziativa dell’UDC avrebbe significato esautorare in qualche modo la magistratura, attentare ai principi dello Stato di diritto (fondato sulla separazione dei poteri), sfiduciare lo stesso Parlamento incaricato di approvare una giusta legge di applicazione dell’iniziativa approvata nel 2010, esporre la Svizzera a molte critiche da parte di importanti istituzioni internazionali, ecc.
Sono anche convinto che almeno una parte di coloro che hanno respinto l’iniziativa hanno valutato anche il rischio di compromettere, se fosse stata accettata, la politica d’integrazione che le istituzioni svizzere (Confederazione, Cantoni e Comuni) stanno portando avanti da almeno una ventina d’anni con indubbi successi. Molti gruppi di popolazione straniera (e metterei ai primi posti gli italiani) non solo sono ben integrati, ma si sentono corresponsabili del futuro della Svizzera.

Il futuro esige maggiore integrazione e collaborazione
Se dopo la bocciatura dell’iniziativa UDC si può tirare un sospiro di sollievo da parte dell’elettorato moderato e maggiormente aperto agli stranieri, non credo che si possa da nessuna parte (politica) gridare alla vittoria, perché se si è evitato il peggio, non è detto che il futuro sia ormai definitivamente privo di ostacoli.
Intanto non va sottovalutata la forza dell’UDC che conserva un solido radicamento nell’elettorato svizzero e incontra ancora molti consensi (a favore dell’iniziativa si è espresso oltre il 40% dei votanti, ossia una percentuale che va ben oltre la consistenza degli elettori del 2015 che hanno portato l’UDC ad essere il primo partito della Svizzera). Inoltre si può stare certi che questa forza verrà utilizzata per vigilare sull’applicazione della legge sulle espulsioni, non certo per evitarle.
Resta pertanto ancora molto da fare per una convivenza serena e collaborativa e tutti, svizzeri e stranieri, dovrebbero contribuire a sviluppare ulteriormente la politica d’integrazione, stimolare il senso di appartenenza e di collaborazione, restare uniti perché la Svizzera prossimamente sarà chiamata a una grande prova di compattezza e di solidarietà nelle trattative con l’Unione europea.
Giovanni Longu
Berna, 1° marzo 2016