27 ottobre 2015

Elezioni svizzere 2015 nel solco della continuità




Le recenti elezioni del 18 ottobre 2015 per il Consiglio nazionale svizzero (corrispondente alla Camera dei deputati italiana) sono state interpretate da gran parte della stampa nazionale e internazionale come una svolta pericolosa a destra del popolo svizzero. I due maggiori quotidiani italiani, il Corriere della Sera e La Repubblica, non hanno esitato a descrivere il partito più votato in assoluto, l’Unione democratica di centro (UDC), «il partito nazionalista, anti europeo e anti immigrati» e «il partito della destra più conservatrice e antieuropeista». In realtà le elezioni si sono svolte nel solco della continuità e non rappresentano affatto un pericolo.

Virata a destra o nel solco della continuità?
Premesso che ho pieno rispetto per tutte le opinioni, non ritengo il ricorso alle categorie spaziali di destra e sinistra lo strumento più idoneo per analizzare le elezioni politiche, soprattutto in un Paese che considera la democrazia diretta come la massima espressione della libertà e della identità del suo popolo. Oltretutto, l’uso di tali categorie denota un pregiudizio di fondo, perché introduce in un discorso che dovrebbe restare politico categorie sostanzialmente etiche o ideologiche, ossia che la sinistra sia migliore e volta al progresso, mentre la destra sia piuttosto retrograda.
Quanto alla «svolta», vorrei osservare che anche le elezioni federali di quest’anno, sebbene rispetto alle al 2011 mettano in evidenza alcuni cambiamenti importanti riguardo alla forza dei singoli partiti, si sono svolte all’insegna della normalità e della continuità di una tendenza in atto almeno da vent’anni. La fiducia del popolo svizzero nell’UDC non nasce all’improvviso in questi ultimi anni in cui si sono acuiti i problemi riguardanti il lavoro, gli immigrati, i rapporti con l’Unione europea (UE), ma cresce costantemente (a parte una battuta d’arresto nel 2011) da almeno un ventennio. Dal 14,9 per cento di consensi alle elezioni federali del 1995 l’UDC è passata nelle recenti elezioni al 29,4 per cento, il record di consensi per un partito politico svizzero dall’introduzione del sistema proporzionale, avvenuta nel 1919. Al contrario, nello stesso lasso di tempo 1995-2015, tutti gli altri partiti di governo hanno perso consensi: il Partito socialista è passato dal 21,8 al 18,8 per cento, il Partito liberale radicale dal 20,2 al 16,4 per cento, il Partito popolare democratico dal 16,8 all’11,6 per cento.

Il popolo orienta la politica e non viceversa
Molti commentatori delle recenti elezioni si sono soffermati sulla forza persuasiva dell’UDC, lasciando intendere che la propaganda e la retorica del partito e di alcune figure simbolo tipo Christoph Blocher riescano a spostare ingenti quantitativi di voti. Questa raffigurazione è vera solo parzialmente. Infatti, contrariamente a quel che avviene per esempio in Italia, dove la forza dei partiti è molto spesso esorbitante e tale da condizionare l’elettorato, i partiti svizzeri sono poco influenti sull’opinione pubblica. Nella sostanza, è sempre il popolo che orienta la politica. L’esercizio della democrazia diretta, a cui gli svizzeri sono attaccatissimi nonostante vistosi difetti ammessi comunemente, fa sì che specialmente il Parlamento sia efficacemente controllato non solo attraverso le elezioni quadriennali, ma anche attraverso il ricorso (assai frequente) al referendum e sistematicamente dalla stampa d’opinione.
Inoltre, il popolo svizzero ha votato anche stavolta come ha sempre votato, ossia dando fiducia a quei partiti e rappresentanti che sembrano offrire le migliori garanzie per la soluzione dei problemi che preoccupano la gente comune in quel momento. E poiché la maggioranza del popolo svizzero è soddisfatta del presente ma teme per il suo futuro, ha favorito nelle recenti elezioni particolarmente l’UDC, ritenuto il partito di governo che più di ogni altro tematizza le preoccupazioni del momento, ossia la gestione dell’emergenza profughi e richiedenti l’asilo, la gestione dell’immigrazione e la gestione dei rapporti della Svizzera con l’Unione europea.
Tematiche che preoccupano maggiormente gli svizzeri
(Fonte: Sondaggio Tamedia. Grafica: Sotomo)
Non è dunque l’UDC che orienta l’opinione pubblica, ma è il popolo svizzero che nelle scorse elezioni ha fatto chiaramente intendere che nella gestione dei richiedenti l’asilo si deve distinguere tra quelli che ne hanno diritto secondo le regole internazionali e quelli che non ne hanno diritto in quanto migranti economici. Anche riguardo all’immigrazione vale la stessa considerazione. Sebbene in Svizzera non ci sia probabilmente nessuno così sprovveduto da non rendersi conto che senza l’immigrazione l’economia svizzera non crescerebbe (come non crescerebbe la scienza, la cultura, l’arte e la stessa demografia), la maggioranza degli svizzeri non è disposta ad accettare un’immigrazione incontrollata (ad esempio, qualora si applicasse senza clausole di salvaguardia il principio della libera circolazione delle persone a livello europeo).
Quanto ai rapporti con l’UE, è certamente lecito ritenere l’UDC un partito conservatore e nazionalista, ma non si può ignorare che è in certo senso «conservatrice» e «nazionalista» la stragrande maggioranza se non la totalità del popolo svizzero. Fiero della sua storia di conquista della libertà e dell’indipendenza, non è certo disposto a cedere anche solo una parte rilevante della propria sovranità all’UE adottando senza riserve, per esempio, il diritto europeo, ossia riducendo drasticamente la democrazia diretta. Che poi il popolo svizzero intenda anche salvaguardare oltre ai valori democratici anche «l'elevato tenore di vita», com’è stato scritto, mi pare comprensibile.

La democrazia svizzera non è in pericolo
Mi ha sorpreso il giudizio di un giornale tedesco (Süddeutsche Zeitung), secondo cui l’avanzata dell’UDC metterebbe a repentaglio «il modello politico di successo del Paese». Probabilmente l’autore dell’articolo non sa che tale modello vincente si fonda fin dal 1959, salvo brevi interruzioni, sulla cosiddetta «formula magica» che assegna due rappresentanti a ciascuno dei tre partiti principali (a prescindere dal numero dei seggi in Parlamento) e un rappresentante al quarto partito. Tale «formula magica» sarà adottata con ogni probabilità anche alle prossime elezioni del Consiglio federale di dicembre.
Inoltre, basterebbe sapere due o tre cose fondamentali della Svizzera per rendersi conto che certe visioni allarmistiche sono esagerate. Anzitutto, la Svizzera è da sempre un Paese moderato: nessun partito politico raggiunge il 30 per cento dei consensi. Le intese parlamentari e governative non si formano solitamente in base al principio di maggioranza, ma in base alla cosiddetta «democrazia consociativa» o «democrazia di concordanza», che privilegia le soluzioni di compromesso. Tanto più che il sistema bicamerale perfetto in vigore fin dal 1848 fa sì che la maggioranza di una Camera non corrisponda necessariamente a quella dell’altra, per cui l’accordo è generalmente possibile solo grazie a mediazioni e compromessi. Anche il governo dei Sette Saggi (Consiglio federale), che funziona come organo «collegiale», senza un vero e proprio capo dell’esecutivo, cerca anch’esso al suo interno la massima «concordanza» possibile, anche perché i sette Consiglieri sono collegialmente responsabili delle decisioni governative.
In conclusione
In conclusione, comunque si interpretino i risultati elettorali dello scorso 18 ottobre, non penso che la democrazia svizzera sia messa in pericolo dall’avanzata dell’UDC o che siano compromessi i rapporti bilaterali tra la Svizzera e l’Unione europea. Non credo neppure che il popolo svizzero cambi atteggiamento nei confronti degli immigrati e dei profughi, deviando dal suo tradizionale senso di accoglienza. Ritengo anzi che l’esito delle ultime elezioni possa rappresentare anche a livello europeo un’indicazione preziosa per confermare e rafforzare i valori in cui i popoli credono, ma anche per correggere e disciplinare meglio fenomeni come l’accoglienza profughi, l’immigrazione, l’integrazione, che rischiano di andare fuori controllo.
Giovanni Longu
Berna 27.10.2015